Ieri mattina Totò Cuffaro, in attesa della sentenza della Corte di Cassazione era andato a messa. Nella chiesa della Minerva a Roma, l’ex governatore della Sicilia era andato a pregare insieme con la famiglia nella speranza che il padreterno gli desse una mano. Non ci sogneremmo mai di entrare nei misteri della fede però, conoscendo le origini della carriera politica di Totò, non ci sorprenderebbe sapere che più che a Dio, Cuffaro si era rivolto al parroco perché gli facesse trovare una lima nella pagnotta nella cella di Rebibbia, destinazione e sede dei suoi prossimi sette anni lontani dal Tibet. Siccome il padreterno era occupato a consolare mons. Fisichella, in piena crisi depressiva per la vicenda del figliuol prodigo Silvio, non si è reso conto di quanto stesse accadendo nell’aula della Corte. E così, Totò è stato condannato e riconosciuto amico e sodale di mafiosi. Ovviamente l’Udc ha reagito. Dopo aver strenuamente difeso per anni la loro gallina dalle uova d’oro siciliana, Casini e Follini (oggi Pd) hanno rilasciato una dichiarazione che, definire imbarazzante, è poco. Democristiani e dorotei dentro (e non è un merito), si sono detti “Umanamente dispiaciuti per la condanna di Totò Cuffaro” ed hanno espresso “rispetto per la sentenza, come è doveroso in uno Stato di diritto e tanto più da parte di dirigenti politici. Ma, non rinneghiamo tanti anni di amicizia e resta in noi la convinzione che Cuffaro non sia mafioso”. Che è come dire “noi rispettiamo la magistratura però su Cuffaro ha clamorosamente sbagliato. Anche questa è delegittimazione e senza passare dal “Via”. In perfetta sintonia con la “teoria dell’impunità”, di cui è il massimo ideologo Silvio Berlusconi, Cicchitto e Quagliariello hanno espresso la loro solidarietà a Totò dicendo: “Esprimiamo la nostra solidarietà all'amico Totò Cuffaro per la scelta che ha compiuto. Quanto al merito della vicenda, ci ha convito più la Procura della Cassazione che il collegio giudicante”, insomma 2232 e il “Quaglia” ritengono ancora una volta un mafioso un eroe, vizio durissimo da perdere.Si perpetua, ad ogni latitudine, il detto latino “pecunia non olet”. Ieri, ricevendo dall’Università di Genova la laurea honoris causa, Roberto Saviano ha detto: “Dedico questa mia laurea ai magistrati Boccassini, Sangermano e Forno che stanno vivendo momenti difficili solo per aver fatto il loro mestiere di giustizia”. Non lo avesse mai fatto! A stretto giro di posta è arrivata la dichiarazione al fulmicotone di Marina Berlusconi che, grazie al padre, è la presidente di Mondadori, la casa editrice dell’autore di Gomorra. L’imprenditrice per volontà paterna, veramente incazzata, ha dettato alle agenzie: “Mi fa letteralmente orrore che una persona come Roberto Saviano, che ha sempre dichiarato di voler dedicare ogni sua energia alla battaglia per il rispetto della libertà, della dignità delle persone e della legalità, sia arrivata a calpestare e di conseguenza a rinnegare tutto quello per cui ha sempre proclamato di battersi... Il ‘mestiere di giustizia’ - come lo chiama Saviano - e coloro che sono chiamati ad esercitarlo non dovrebbero avere nulla a che vedere con la persecuzione personale e il fondamentalismo politico che questa vicenda mette invece tristemente, e con spudorata evidenza, sotto gli occhi di tutti”. Una dichiarazione che non dovrebbe lasciar dubbi sul fatto che Saviano non pubblicherà più per la Mondadori...e invece no. Già in una precedente occasione il Dg libri di Mondadori, Ricky Cavallero aveva messo una pezza al dissidio crescente fra la presidente e l’autore di punta della casa editrice. A smuovere Cavallero sono i “numeri” di Saviano, uno scrittore da quattro milioni e mezzo di copie che non sono proprio una bazzecola. Vedrete, tanto accadrà anche stavolta. E fanculo la coerenza.
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Il puzzle-post della domenica. Totò, Pierfy, Marina e Roberto. È l’Italia dei nomi propri
Creato il 23 gennaio 2011 da Massimoconsorti @massimoconsorti
Ieri mattina Totò Cuffaro, in attesa della sentenza della Corte di Cassazione era andato a messa. Nella chiesa della Minerva a Roma, l’ex governatore della Sicilia era andato a pregare insieme con la famiglia nella speranza che il padreterno gli desse una mano. Non ci sogneremmo mai di entrare nei misteri della fede però, conoscendo le origini della carriera politica di Totò, non ci sorprenderebbe sapere che più che a Dio, Cuffaro si era rivolto al parroco perché gli facesse trovare una lima nella pagnotta nella cella di Rebibbia, destinazione e sede dei suoi prossimi sette anni lontani dal Tibet. Siccome il padreterno era occupato a consolare mons. Fisichella, in piena crisi depressiva per la vicenda del figliuol prodigo Silvio, non si è reso conto di quanto stesse accadendo nell’aula della Corte. E così, Totò è stato condannato e riconosciuto amico e sodale di mafiosi. Ovviamente l’Udc ha reagito. Dopo aver strenuamente difeso per anni la loro gallina dalle uova d’oro siciliana, Casini e Follini (oggi Pd) hanno rilasciato una dichiarazione che, definire imbarazzante, è poco. Democristiani e dorotei dentro (e non è un merito), si sono detti “Umanamente dispiaciuti per la condanna di Totò Cuffaro” ed hanno espresso “rispetto per la sentenza, come è doveroso in uno Stato di diritto e tanto più da parte di dirigenti politici. Ma, non rinneghiamo tanti anni di amicizia e resta in noi la convinzione che Cuffaro non sia mafioso”. Che è come dire “noi rispettiamo la magistratura però su Cuffaro ha clamorosamente sbagliato. Anche questa è delegittimazione e senza passare dal “Via”. In perfetta sintonia con la “teoria dell’impunità”, di cui è il massimo ideologo Silvio Berlusconi, Cicchitto e Quagliariello hanno espresso la loro solidarietà a Totò dicendo: “Esprimiamo la nostra solidarietà all'amico Totò Cuffaro per la scelta che ha compiuto. Quanto al merito della vicenda, ci ha convito più la Procura della Cassazione che il collegio giudicante”, insomma 2232 e il “Quaglia” ritengono ancora una volta un mafioso un eroe, vizio durissimo da perdere.Si perpetua, ad ogni latitudine, il detto latino “pecunia non olet”. Ieri, ricevendo dall’Università di Genova la laurea honoris causa, Roberto Saviano ha detto: “Dedico questa mia laurea ai magistrati Boccassini, Sangermano e Forno che stanno vivendo momenti difficili solo per aver fatto il loro mestiere di giustizia”. Non lo avesse mai fatto! A stretto giro di posta è arrivata la dichiarazione al fulmicotone di Marina Berlusconi che, grazie al padre, è la presidente di Mondadori, la casa editrice dell’autore di Gomorra. L’imprenditrice per volontà paterna, veramente incazzata, ha dettato alle agenzie: “Mi fa letteralmente orrore che una persona come Roberto Saviano, che ha sempre dichiarato di voler dedicare ogni sua energia alla battaglia per il rispetto della libertà, della dignità delle persone e della legalità, sia arrivata a calpestare e di conseguenza a rinnegare tutto quello per cui ha sempre proclamato di battersi... Il ‘mestiere di giustizia’ - come lo chiama Saviano - e coloro che sono chiamati ad esercitarlo non dovrebbero avere nulla a che vedere con la persecuzione personale e il fondamentalismo politico che questa vicenda mette invece tristemente, e con spudorata evidenza, sotto gli occhi di tutti”. Una dichiarazione che non dovrebbe lasciar dubbi sul fatto che Saviano non pubblicherà più per la Mondadori...e invece no. Già in una precedente occasione il Dg libri di Mondadori, Ricky Cavallero aveva messo una pezza al dissidio crescente fra la presidente e l’autore di punta della casa editrice. A smuovere Cavallero sono i “numeri” di Saviano, uno scrittore da quattro milioni e mezzo di copie che non sono proprio una bazzecola. Vedrete, tanto accadrà anche stavolta. E fanculo la coerenza.
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