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IL PUZZLE-POST DI OGNI MALEDETTA DOMENICA. Dai risarcimenti ai precari alla polveriera siriana

Creato il 27 marzo 2011 da Massimoconsorti @massimoconsorti
IL PUZZLE-POST DI OGNI MALEDETTA DOMENICA. Dai risarcimenti ai precari alla polveriera siriana Questo è un paese nel quale non ci si annoia mai. Uno dice: “oggi mi faccio i cazzi miei, prendo la bici, me ne vado al mare, magari un concerto o un teatro nel pomeriggio, stasera tivvù, frittatona di cipolle e rutto libero e fanculo la domenica”. No, in Italia non si può. E la colpa è tutta dei giornali che, almeno il dì di festa, potrebbero pubblicare le foto dei festini di Arcore con il Berlusca vestito da Sandokan con tante pirla di Labuan intorno mentre invece, stoicamente, parlano di quello che non va. E giù, pagine e pagine di nefandezze e qualche buona notizia. Una buona notizia di oggi, ad esempio, è che i giudici del lavoro di Genova hanno condannato il ministero dell’Istruzione, e quindi la evanescente, immateriale ministra Gelmini, a risarcire 15 precari della scuola con 30mila euro a testa di media, per una somma complessiva di oltre 500mila euro. Un disastro, come vedremo, per le casse dello Stato senza precedenti. Dunque. La legge dice che se presti la tua opera in una qualsiasi azienda privata, alla scadenza dei 36 mesi l’azienda deve assumerti. Siccome questo è il paese del doppiopesismo e del cerchiobbottismo, la medesima legge non si può applicare nei confronti dello Stato. I giudici di Genova hanno detto che non è più possibile e che i 36 mesi valgono tanto per il privato quanto per il pubblico. Interessante la motivazione con la quale hanno dato ragione ai precari della scuola. Scrivono i giudici: “Se il ricorso al docente precario è ripetuto nel tempo, e il tempo di utilizzo della ‘mano d’opera’ supera i 36 mesi, si configura non più una necessità temporanea ma stabile. La scuola si trova quindi in una situazione di utilizzo illegale del contratto a termine”. Se il caso riguardasse solo i 15 precari di Genova, il danno sarebbe circoscrivibile, per l’appunto, a qualche centinaia di migliaia di euro, ma così non è perché nella stessa situazione ci sono 10mila posti vacanti a fronte di 120mila supplenze annuali. Questo significa che se i precari possono dimostrare di aver lavorato più di tre anni nella scuola, il ministero li deve assumere e risarcire dei danni subiti. Siccome è domenica, e a noi la matematica sta da sempre sui cabasisi, i conti fateveli da soli. Nonostante questo sia un paese pseudo democratico sì, ma allo stremo, l’”esodo biblico” solo preannunciato dal ministro Maroni (che si è guardato bene dall’attrezzarsi), si sta trasformando in un incubo altrettanto biblico. Innanzitutto, per legge, tutti i tunisini arrivati in Italia sono clandestini. Dice Gnazio, e ripete a pappagallo Gaspar: “Vengono dalla Tunisia? In Tunisia c’è la guerra? No! Allora sono clandestini e non rifugiati” facendo intendere che l’Italia è l’unico paese al mondo che si sia dotato di una legge che “previene” e punisce, e nella quale, ad esempio, uno diventa omicida nel momento stesso in cui pensa di far fuori Gnazio e lo stesso Gaspar anche se non riesce nello scopo. Ora si sono messi in testa di pagare i clandestini con 2500 dollari a testa purché se ne tornino a casetta loro, decisione che fa dire a Gramellini “Ora avremo anche i clandestini precari”. Ma Bossi dice: “Pagare un cazzo, li prendiamo e li riportiamo a casa”. Ma neppure questa è una buona idea perché subito dopo arriva Lombardo e afferma perentorio: “Ma che pagare! Ma che rimpatriare! Occorre solo una mitragliatrice ben oliata, una cartucciera inesauribile e il problema è risolto. Spariamo a tutti”. Nel frattempo, mentre gli statisti ai quali l’Italia si affida per risolvere un problema problematico, stanno pensando seriamente di costruire forni crematori sul modello di Auschwitz, a Lampedusa assistiamo alle stesse scene viste nel Darfur: tende di stracci e neppure un po’ d’acqua per dissetare esseri umani e non i cammelli di Gheddafi, situazione igienica da quinto mondo e indifferenza totale da parte di uno stato pappone. E ci definiscono un paese civile. Giuliano Ferrara sta diventando peggio del Capo del quale si limita a leggere, per la misera somma di 1 milione e mezzo di euro, il bollettino giornaliero di paraculate. Aveva appena detto che De Magistris era stato la causa dello scialo di un sacco di soldi del ministero della Giustizia per le sue inchieste farlocche, che è arrivata una sentenza della UE nella quale, invece, si ringrazia il magistrato per aver evitato alla stessa Comunità lo sperpero di 48,8 milioni di euro pronti ad essere ingurgitati dalla ex giunta regionale di centrodestra della Calabria. Qualcuno ricorderà lo “scippo” dell’indagine “Poseidone” all’ex magistrato, ebbene, basandosi proprio sulle carte di De Magistris, l’Unione Europea bloccò i fondi destinati alla Calabria che ammontavano appunto a più di 48 milioni di euro e oggi, con la sentenza della quale abbiamo appena scritto, l’ha multata di 57 milioni di euro, un bel colpo! Soprattutto alle certezze granitiche dell’orso Yoghi-Ferrara. Ci sarebbe da scrivere anche della resuscitata monnezza partenopea ma, visto che a Pasqua puzzerà molto di più che a Natale, ne parleremo quando il fetore sarà insopportabile. Resta la Siria, il monolite arabo con uno dei servizi segreti più efficienti del mondo, una dittatura che si trasmette di padre in figlio per gemmazione, e centro di accoglienza preferito di quasi tutti i terroristi del pianeta prima che facesse la comparsa sulla scena Al-Qaeda. La Siria è in “fiamme” e i rivoltosi comunicano soprattutto attraverso FaceBook che è diventato lo strumento principale di “chiamata alle armi”. Fra un po’ parleremo diffusamente di quanto il pianeta Internet abbia contribuito alla diffusione della rivolta nei paesi governati da regimi totalitari, ma per il momento ci accontentiamo di accennare a Bashar al-Assad, figlio del ben più potente e conosciuto Hafez, nemico storico di Israele. Convinto anche lui di poter tenere sotto controllo il suo paese semplicemente con la sola presenza, si è reso conto che nulla può contro il nascente vento di libertà che sta spirando sui paesi dell’Africa e del Medio Oriente. In possesso di maniere spicciole, come il suo venerato padre, Bashar sta pensando di risolvere il problema di quattro giovani contestatori con l’uso delle armi. Le prime notizie parlano di una cinquantina di morti nella sola giornata di ieri, qualcuno c’era già stato nei giorni precedenti, altri ce ne saranno oggi. Cosa c’è di diverso fra la Siria e la Libia che impedisca all’Onu di adottare una risoluzione come la 1973? Il petrolio. Se la Siria ne fosse produttrice ne avremmo viste delle belle ma siccome non lo è, non vale la pena esportare dentro i suoi confini una democrazia che puzza sempre più di dollari e sempre meno di libertà. E adesso basta. È domenica.

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