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Il quinto potere

Da Fabio1983
Agghiacciante la vicenda di Sarah Scazzi. Sono poco avvezzo ai fatti di cronaca, generalmente cerco di starmene alla larga. E infatti non voglio parlare del ritrovamento del cadavere, ma di come ci si è arrivati mediaticamente parlando. Per settimane si è cercato un cavillo che spiegasse la scomparsa della ragazza attraverso Facebook e questo è stato il leit motiv che si è letto sulla stampa per giorni. Facebook compare troppe volte sui giornali o comunque sui media tradizionali. Zuckerberg potrà vantare 500 milioni di utenti iscritti al suo social network, ma la reale funzione sociale del mezzo è a mio avviso sopravvalutata. L’ho già scritto in altre occasioni, semplicemente ribadisco un concetto. Nasce un cucciolo di orso allo zoo ed è già un idolo su Facebook. Scompare una ragazza, se ne cercano le ragioni su Facebook. Le due storie cozzano tra loro, ma è questo che i giornali ci propinano quotidianamente come se Fb risultasse l’unico termometro sociale in grado di misurare gli umori della gente. Tra i top tweet che ho letto nelle ultime ore ce n’è uno di stefa93: “Gli utenti non dovrebbero aver paura dei propri Social Network, sono i Social Network che dovrebbero aver paura degli utenti”. In soli 140 caratteri mai osservazione fu più azzeccata di questa. Aggiungo, però: i social network devono avere paura anche dei media che li demonizzano o ne amplificano la rilevanza a seconda dei casi. Il che è sempre un male. Poi, per fortuna (una fortuna fittizia considerata la tragica fine di Sarah), chi deve fare bene il proprio mestiere spesso non ascolta le fesserie relative ai social network o a quel diavolo di una Rete. Meglio di me lo ha scritto Vittorio Zambardino sul suo blog:
Nei primi giorni dalla sparizione della povera Sarah, c’è stato più di un servizio televisivo in cui la parola Facebook veniva ripetuta con ossessività: si cercava nella pagina facebook della ragazza un motivo alla sua sparizione o volontaria o indotta da chissà chi. Ad onor del vero i carabinieri che indagavano hanno chiarito subito di non credere a questa pista, e così il “buzz” , come lo chiamano gli americani, è finito lì.
E questo spiega perché quando parliamo di media non diciamo nulla. Perché al fondo i giornali e i giornalisti pensano “con” l’intero corpo sociale e gli danno voce. Il “nocciolo” della narrazione di cronaca non nasce in redazione. E se i pezzi del corpo sociale che occupano i punti chiave della “narrazione” danno messaggi depistanti, è più facile che i giornalisti seguano. Il brutto è quando tutto finisce nelle mani dei professionisti dell’inquietudine, di quelli che intendono trarre un profitto politico o culturale dalla tragedia. Una corrente di pensiero di cui, grazie al cielo, i carabinieri di Avetrana e di Taranto evidentemente non sono seguaci.

C’è ancora una questione che rimane aperta. Dei social network si parla in termini sesquipedali ovunque, anche in strada. E non si tiene conto che, ancora oggi, il medium più forte resta la televisione malgrado un’informazione spazzatura e i programmi trash che tanto vanno di moda in questo periodo. La dimostrazione c’è stata ieri sera, durante Chi l’ha visto, quando Federica Sciarelli ha informato la madre della ragazza riguardo le operazioni dei carabinieri. Se la tv si fosse fermata dinanzi al dolore i successivi commenti sui social network o sui blog non sarebbero spuntati come funghi. Segno inequivocabile che è sempre l’audience a determinare lo scoop. E la televisione, in questo senso, continua a essere maestra.

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