Per qualche giorno non riuscirò ad aggiornare questo blog. Vi lascio perciò qualcosa da leggere:un mio racconto di quasi fantascienza non troppo lungo e un tantino bizzarro (come, del resto, quasi tutti i miei scritti). Buona lettura e a presto!
Sulla luna
Era il giorno di apertura. SP3 era in agitazione come sempre. Se si fosse sbagliata, confusa, impappinata. L‘ultima volta fu un vero disastro quando, nel pieno del racconto, le parole cervello e uccello si sovrapposero improvvisamente, creando non poca confusione sulle modalità di apprendimento utilizzate dagli avi. Non sopportava le risatine di scherno, i bisbigli, che questo genere di incidente di solito procura nei visitatori.Ultimamente le accadeva sempre più spesso di non essere così lucida e chiara come un tempo. E non poteva neppure attribuire quegli errori alla vecchiaia: la parola vecchiaia era stata abolita.
Successe quando ci si accorse che era diventata economicamente troppo onerosa. Fu così che tutti iniziarono a morire nel fiore degli anni (non meno di 90) e nel pieno della loro attività lavorativa. D’altra parte, da tempi immemorabili, non ci si potevano più permettere costosi ozi pensionistici, e quindi, la fine arrivava quasi sempre lì, sul posto di lavoro.
Le carriere erano quindi lunghissime, ma la qualità delle mansioni affidate aveva un andamento a campana, soprattutto ai livelli più alti. Infatti si raggiungeva un culmine e poi, sebbene le qualifiche prendessero nomi sempre più altisonanti, con il passar del tempo, le attività svolte concretamente comportavano sempre meno responsabilità. Per intenderci, il gradino finale della carriera di un ricercatore dell’Ambiente era: Responsabile Sanificatore Unico, un’ attività che consisteva nella pulizia quotidiana di una strada o di una piazza..
SP3 era appena stata promossa da Direttore Generale del museo a Responsabile Diretto delle Relazioni Esterne ovvero, accompagnava i visitatori nel giro del museo. E questa non era certo la tappa finale della sua carriera, che prevedeva il titolo di Capo Edificio Espertissimo (mansione: indicare l’ubicazione delle toilette di tutti i piani).
Intanto SP3 girava vorticosamente per gli ambienti per evitare di fare errori di datazione e di collocazione dei reperti nel corso della visita: lì c’era la ruota di una Ferrari da corsa, là un cellulare vicino a un ridicolo modello di computer, e così via. Tutti pezzi preziosissimi portati lì dal pianeta di origine, Terra. Così almeno si diceva. SP3 sorrise. Ne aveva sentite di storie sulla Terra nella sua lunga permanenza al museo!
Si diceva che quel pianeta fosse stato un tempo abitato anche da viventi diversi dall’uomo: cose chiamate piante, roba che nasceva spontaneamente dal terreno e che a volte emetteva molecole di deodorante non sintetico. Inoltre si narrava dell’esistenza degli Animali, esseri che potevano avere due, quattro e anche mille gambe e che volavano, strisciavano e perfino nuotavano. Fin dove può arrivare l’immaginazione!
Intanto era giunta all’ultimo piano del museo. In un luogo un po’ nascosto, c’era una teca poco illuminata e con indicazioni vaghe nel cartellino. Conteneva un reperto sulla cui autenticità correvano molti dubbi e che quindi era stato isolato e dimenticato. SP3 aprì la vetrina, e ne trasse uno strano oggetto. Non era che un oggetto, un oggetto qualsiasi, ma ogni volta che lo vedeva qualcosa di strano si metteva in moto in lei. Era una specie di recipiente: finiva a punta e sulla parte opposta all’apertura aveva una sorta di appendice alta otto centimetri. Era rosso lucente, bellissimo. Non esisteva niente di simile lì sulla Luna nel 3000dT (dopo Terra).
Aveva fatto delle ricerche; da antiche scritture era venuto fuori un nome: scarpa. Si diceva si mettesse ai piedi per spostarsi (allora si diceva camminare) e quel particolare tipo di scarpa si indossava per ballare. SP3 non era riuscita a capire che cosa significasse ballare ovvero, muoversi a tempo di musica. Era la frase “tempo di musica” a riuscirle estremamente oscura. Sul significato di musica, infatti, si erano varie ipotesi, ma nessuno sapeva dire cosa fosse. Sulla Luna, infatti, non esisteva neppure il suono e ci si capiva attraverso sensori che traducevano i pensieri.
In ogni caso, dopo anni di disquisizioni e ipotesi, gli studiosi avevano archiviato quell’oggetto come falso. E a ben pensarci, chi avrebbe mai potuto mettere quelle cose ai piedi e poi quali piedi. Ormai, quelle inutili appendici non esistevano più sostituite da parti meccaniche, che rendevano molto più veloce spostarsi sul terreno lunare. Si poteva così sfruttare la quasi l’assenza di gravità e sfiorare appena il suolo quasi in un principio di volo.
SP3 però aveva continuato a far ricerche su quell’oggetto dimenticato e aveva scoperto il resto del mito. La leggenda narrava che la prima donna a mettere piede sulla luna, volesse lasciare lì, sulla superficie lunare, qualcosa che potesse essere inequivocabilmente associata al genere femminile in modo che fosse chiaro che, fra i colonizzatori del nuovo mondo c’erano anche loro, le donne e con un ruolo da protagoniste. Così scelse le scarpe col tacco (il tacco doveva essere l’appendice di otto centimetri) e le lasciò lì, sulla superficie lunare, a perenne ricordo.
SP3 sorrise pensando all’inutilità di quel gesto. Nel suo mondo, infatti, uomo, donna erano solo nomi e non c’era differenza fra i due sessi. Anzi nel vocabolario quella parola, sesso, non compariva più in nessuno dei significati. Solo certi storici la citavano come una curiosità del passato. L’assurda pratica della procreazione era un fatto che interessava solo i medici: ovuli e spermatozoi si ritrovavano in provetta senza bisogno di inutili contatti. I bambini, poi. C’erano apposite unità mobili che li addestravano e impedivano che circolassero per il mondo fino a quando avessero perso quella fastidiosa voglia di conoscere e di far domande. Niente pianti, niente risa sulla luna. Tutto era silenzioso, pacato. Da tempo anche la parola amore era caduto in disuso, anche questa cancellata dai vocabolari. Bacio, carezza, non si sapeva neppure cosa fossero in quel mondo efficiente in cui il lavoro era l’unico valore. Si era tutti un po’ uomini, un po’ donne e un po’ macchine.
Il cambiamento era stato lento ma sistematico. I primi a cadere furono gli ideali, considerati troppo vaghi per essere utili; poi fu la volta delle idee. E poi anche il semplice pensare fu guardato con sospetto. I sensori applicati al cervello impedivano il pensiero libero se non per brevi istanti e anche i sogni erano controllati. La causa ufficiale, per giustificare tutto ciò, era che bisognava adattarsi condizioni estreme, era una questione di sopravvivenza. E così, pezzetto per pezzetto erano stati smontati e modificati. Ma sopravvivevano, anche se le ragioni di questo sopravvivere erano piuttosto oscure, ancora più oscure di quanto non fossero quelle del vivere per gli antenati terrestri.
Nessuno però si poneva domande esistenziali: erano programmati per vivere, vivere e basta.
Eppure, nonostante tutto, SP3, ogni volta che guardava quella scarpa rossa, sentiva rinascere stimoli antichi, sentiva nell’aria come una musica e aveva voglia di ballare. E così, anche quel giorno, dopo aver estratto la scarpa dalla bacheca, pur ignorando il significato di ciò che stava facendo, cominciò a ondeggiare ritmicamente e intorno le pareva di udire suoni, voci umane, grida di bambini.
Le pareva di sentire il calore di carezze e si sentiva felice, anche se non sapeva si dicesse così, mentre sentiva il battito veloce del suo cuore. Veloce, troppo veloce.
L’addetto alle pulizie D103 la trovò così, seduta sul pavimento e con una strana espressione sul viso. Un sorriso, seppe poi, dopo essersi documentato. Tra le mani. SP3 aveva un oggetto rosso. Un puro semplice oggetto nient’altro che un puro semplice oggetto eppure l’addetto D103 sentì un brivido, quando lo prese tra le mani e lo ripose nella teca. Per sempre.