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Il ragazzo invisibile. La parola fantasy esiste (in Italia)

Creato il 19 dicembre 2014 da Oggialcinemanet @oggialcinema

Il giudizio di Maurizio Ermisino

Summary:

Che cosa vuol dire essere invisibile? Avere un superpotere, la capacità di scomparire all’improvviso, come accade a Michele grazie a (almeno lo crede lui) una tuta comprata in un negozio cinese? Oppure significa sentirsi un essere insignificante, uno che i compagni di scuola non notano, anzi vessano e prendono in giro? Il ragazzo invisibile, il nuovo film di Gabriele Salvatores, è tutto giocato su questo doppio piano: invisibilità come superpotere degno de I fantastici 4, e invisibilità come simbolo della condizione di tanti adolescenti.

Il ragazzo invisibile è una grande operazione produttiva: è il primo fantasy italiano, il primo film pensato per ragazzi e famiglie e dedicato a un supereroe, il fantastico esperimento della creazione di un prodotto che gli americani fanno benissimo e da noi nessuno osa nemmeno pensare. Gabriele Salvatores, che si è lanciato con entusiasmo in un’idea di Nicola Giuliano e Francesca Cima della Indigo Film, prende un film per adolescenti e coglie la grande occasione di farne un film sull’adolescenza, misteriosa Terra di Mezzo delle nostre esistenze. E questa è invece un’occasione che i film americani spesso non colgono. Accanto a Michele, ragazzo invisibile del titolo, vediamo giovani schiacciati dalle aspettative dei genitori, o destinati a scontare le loro pene, o ancora sballati dalla loro assenza. Anche qui, Salvatores ci parla in fondo di famiglia e del rapporto tra padri e figli, grande tema di tutta la seconda fase della sua opera, quella iniziata nel 2000-2001 con Denti e Amnesia.

Il ragazzo invisibile

L’intelligenza dell’autore di Mediterraneo sta nel trovare una propria via al fantasy/comic movie, una via che potremmo dire europea (e non, si badi, italiana nel senso dello stile), lontana da quella americana: niente colori accesi, esplosioni, personaggi caricaturali, ma colori desaturati, grigi come il cemento e il ferro, molta tensione narrativa e molta psicologia. Lo spleen dell’adolescenza, momento fatto di sfumature di grigio e non di bianco e nero, si riflette nell’estetica del film. Ad aiutare l’atmosfera è Trieste, meravigliosa e misteriosa città di confine, di mare e di vento, mai così ben sfruttata e così bella al cinema. Perfetta per donare, con la sua atmosfera mitteleuropea che guarda verso est (come fa, a un certo punto, anche la trama), un tocco decisivo a un prodotto alternativo e antitetico a quello americano.

Un universo, quello americano, a cui comunque appartengono i supereroi. Non si può non tenerne conto, e Salvatores gioca con l’immaginario tipico del fumetto senza che questo appesantisca la sua idea di racconto. Se la citazione da Batman è geniale e poetica, e quelle da Spider-man più scontate, come concetto siamo dalle parti degli X-Men, declinati però in sintonia con la Storia europea più recente. Il ragazzo invisibile può essere visto come uno di quei film di supereroi che, pur non essendo tratti da fumetti, scavano nell’essenza profonda dell’essere supereroe, della sua genesi e delle implicazioni che comporta, come Unbreakable e Chronicle. La storia, è bene dirlo, segue le precise regole di ogni storia di supereroi che si rispetti: dalla scoperta dei poteri, al loro controllo, al loro uso per il bene degli altri, fino alla scoperta di una “divisa” in grado di costruire l’identità dell’eroe.

Gabriele Salvatores gioca e vince un’altra sfida, l’ennesima della sua carriera, una sfida che ricorda tanto quella che nel 1997 affrontò con Nirvana, un grande film italiano di fantascienza quando nessuno osava immaginarlo, un film forse ancora sottovalutato (quando invece anticipava alcuni discorsi di Matrix). Stavolta ha i compagni giusti: Nicola Giuliano e Francesca Cima di Indigo Film, la casa di produzione de La grande bellezza, ma soprattutto di altri film, come La doppia ora (i cui sceneggiatori firmano questo film) e Il gioiellino, che hanno provato a cambiare il modo di fare cinema in Italia, cercando di trovare quella terza via tra commedia e cinema d’autore che rischiava di lasciare il nostro cinema in uno stallo senza fine. Grazie a loro oggi, in Italia, la parola fantasy esiste. E, se guardate il secondo finale, dopo i primi titoli di coda, potreste intuire che domani potrebbe esistere un’altra parola: saga.

Di Maurizio Ermisino per Oggialcinema.net


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