Goffredo Parise scrive “Il ragazzo morto e le comete” prima di compiere vent’anni, in un mese, in una soffitta affittata a Venezia. E nessuna di queste notizie biografiche è qui per caso. Del libro, l’autore stesso dirà che è scritto “ con il sentimento con cui, a quell’età, si scrivono poesie”. Di Venezia è rimasto impigliato tra le righe il mistero, la nebbia mattutina, i giochi di specchi dei canali, le cose che si riflettono, si deformano, si rifrangono e si sfaldano nella città gemella che scorre sotto i ponti. E la liquidità è forse la lente necessaria attraverso cui osservare il mondo del libro. Zanzotto, parlandone, lo paragona al “sughero che ondeggia sul cupo ‘liquor’ dell’esistenza facendosi spia delle correnti nascoste che lo travagliano”. Dall’acqua e nell’acqua prendono forma figure, storie, colori, portandosi dietro un gusto di fiaba triste o di sogno. C’è il ragazzo di quindici anni, fulcro inconsapevole dell’ azione. E poi ci sono gli altri, Edera e i suoi occhi da stracciona vergine, Squerloz il barcaiolo, Fiore, Antoine, Leopolda e Massimino e le loro infinite malattie. Il libro si popola di apparizioni surreali, oniriche, e la storia corre lungo fili sottili ed eterei, che quasi scivolano dalle mani e si perdono, ingarbugliandosi e ritrovandosi, per poi riapparire improvvisi e definitivi come le comete del titolo. La scrittura del giovanissimo Parise nel suo romanzo d’esordio è leggera, aerea, mobile e lucente, infinitamente si incarna in nuove forme per poi perdersi trasformandosi in altre, evocando immagini evanescenti ma nitide come apparizioni. Una favola sulla fine dell’infanzia, un racconto sulla morte di Dio, una novella sugli ultimi giorni del mondo o una riflessione sui labili confini tra vivi e morti e senso e nonsenso. Un piccolo gioiello del fantastico in pieno clima neorealista.
Goffredo Parise
Il ragazzo morto e le comete
Biblioteca Adelphi