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Il rapporto ONU sul cambiamento climatico.

Creato il 28 settembre 2013 da Retrò Online Magazine @retr_online
Onu, Clima, Cambiamento Climatico

Photo credit: NASA Goddard Photo and Video / Foter / CC BY

Negli scorsi giorni a Stoccolma si è tenuta la seduta plenaria dell’IPCC, Intergovernmental Panel on Climate Change, la squadra di scienziati ONU che ha discusso il quinto Rapporto di Valutazione sul Clima delle Nazioni Unite. Attraverso l’azione di ricerca di questa task force è stato possibile rivedere i dati già in nostro possesso sul cambiamento climatico, dati che conosciamo già da molti anni ma che ora stanno spostandosi nel tempo: i margini di incertezza si restringono e diminuiscono gli anni a nostra disposizione per un’azione concreta su questo problema globale.

Tra gli indici calcolati troviamo il livello del mare, che si alzerà di 82  centimetri entro il 2100, molti di più rispetto ai 26 centimetri delle vecchie previsioni; la temperatura della terra dovrebbe aumentare di 4,8 gradi centigradi, sempre entro la fine del secolo. E ancora si accumulano sempre più dati sullo scioglimento dei ghiacci artici, l’aumento delle concentrazione di biossido di carbonio, l’acidificazione dei mari e il moltiplicarsi di fenomeni come uragani e altre catastrofi naturali. Le probabilità che le attività antropiche da sole (l’emissione di gas serra, l’uso di combustibili fossili e la deforestazione) abbiano prodotto i cambiamenti climatici in atto oscillano tra il 95 e il 100%, ma continuano a persistere le fazioni dei negazionisti, che rallentano la piena comprensione e la presa di coscienza di una situazione in rapido peggioramento ormai da decenni.

Un quadro gravissimo e delle prospettive ancora peggiori, ma che conosciamo già da molti anni: basta ricordare che il primo libro di importanza mondiale scritto sull’argomento, “Rapporto sui limiti dello sviluppo”, risale al lontano 1972. Il libro prediceva che la crescita economica non avrebbe potuto continuare indefinitamente a causa della limitata disponibilità di risorse naturali, specialmente petrolio, e della limitata capacità di assorbimento degli inquinanti da parte del pianeta. Il germoglio di un’idea, subito confermata dalla crisi petrolifera dell’anno successivo; la prima consapevolezza che il pianeta non avrebbe potuto sostenere i ritmi della crescita umana. Si aprirono fin da allora diverse strategie di azioni possibili: in primis il movimento della Decrescita, a favore di una crescita controllata, specialmente negli aspetti più superflui della produzione occidentale, e di contro un miglioramento delle condizioni di vita dei paesi più poveri; in secundis tutti i movimenti ambientalisti che nacquero proprio in quegli anni.

Ora è il momento di passare all’azione: entro il 2030, secondo l’IPCC, le emissioni di gas serra prodotte dalla civiltà umana dovranno essere tagliate del 60% rispetto ai livelli attuali. Per riuscirci, sarà necessario accelerare la conversione energetica, riducendo sempre più il ricorso al carbone, ma anche al petrolio e al gas naturale. L’utilizzo delle energie rinnovabili e a emissioni zero dovrà essere incentivato soprattutto nei paesi del primo mondo nei quali queste strade sono ormai facilmente praticabili.

Il fascicolo dell’Ipcc si sofferma proprio su questo: se la vera partita si aprirà nei prossimi anni, forse a partire dal 2035, è necessario  prendere ora delle decisioni sagge in materia di politiche ambientali.


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