Magazine Economia
DL Il referendum alla Fiat è un esempio illuminante di «democrazia». E’ come se agli operai fosse stato detto: votate pure liberamente, ma se votate in modo «sbagliato», siete condannati alla disoccupazione e alla fame! Sul piano nazionale Marchionne esprime lo stesso atteggiamento assunto da Bush (e Obama) sul piano internazionale. A suo tempo anche gli abitanti di Gaza sono stati chiamati a esprimersi liberamente: avendo votato in modo «sbagliato», sono ora costretti a subire la fame più nera e persino la morte per inedia, mentre i piloti israeliani sono autorizzati ad esercitarsi al tiro al bersaglio contro i palestinesi che danno prova di non comprendere le regole del gioco democratico e della modernità.Contro il comportamento di Marchionne e della Fiat comincia finalmente a manifestarsi un sussulto di indignazione, ed è bene che a tale proposito si sviluppi il fronte unito il più largo possibile; spetta ai comunisti spiegare che la democrazia di Marchionne non è diversa dalla democrazia di Bush (e Obama).Cina, Brasile e India presentano un elemento comune: sono tre paesi che hanno un passato coloniale o semi-coloniale e che ora cercano l’indipendenza e il riscatto anche sul piano economico dopo averli conseguiti sul piano politico.
Ma ora vediamo le differenze. La Cina è stata la protagonista di una delle più grandi rivoluzioni della storia mondiale. Il Brasile è impegnato in un modo o nell’altro nel processo rivoluzionario con cui l’America Latina si sta scuotendo di dosso il peso della dottrina Monroe. L’India è stata invece la beneficiaria di una sorta di indipendenza octroyée: il movimento di emancipazione dei popoli coloniali, che ha preso le mosse dalla rivoluzione di Ottobre e che poi ha conosciuto un impetuoso sviluppo grazie alla vittoria della Grande guerra patriottica in Urss e della Guerra di indipendenza anti-giapponese in Cina, ha inflitto sì la capitolazione a Germania, Giappone e Italia, ma ha anche costretto alla ritirata la Gran Bretagna. Proprio perché l’India ha conseguito un’indipendenza octroyée, non mancano in quel paese forze che vorrebbero assumere l’eredità del tramontato impero inglese.E’ evidente che nell’ambito dei paesi che hanno alle spalle un passato coloniale o semi-coloniale la Cina occupa un posto di assoluto rilievo. E non solo perché essa è guidata da un Partito Comunista.Alla vigilia della conquista del potere Mao dichiarava: Washington desidera che la Cina si «riduca a vivere della farina americana», finendo così col «diventare una colonia americana». E cioè Mao era consapevole che la lotta anticolonialista stava passando dalla fase politico-militare alla fase politico-economica. Questa consapevolezza non mancava agli esponenti più lucidi dell’imperialismo Usa. Agli inizi degli anni ’60 un collaboratore dell’amministrazione Kennedy, e cioè Walt W. Rostow, esprimeva trionfalmente la sua convinzione che, grazie all’embargo decretato da Washington, lo sviluppo economico della Cina era stato ritardato almeno per «decine di anni». Questa lotta non è cessata. La sinistra più primitiva non lo comprende; ma gli storici futuri consideraranno la lotta condotta dalla Cina per spezzare il monopolio occidentale dell’alta tecnologia come la più imporatante lotta di classe sviluppatasi tra XX e XXI secolo, come il colpo più grave inferto ad un’infausta tradizione di colonialismo e neocolonialismo.
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