Don Anderson Alves*
*dottorando in Filosofia
da Zenit.it 20/02/13
In un testo precedente ci siamo chiesti se sarebbe stato possibile conciliare il relativismo con l’ateismo. Secondo il parere di tre famosi atei (Nietzsche, Adorno e Horkheimer), l’ateismo negando l’origine della conoscenza e acquisendo come dato di verità l’inesistenza di Dio, cade in un’insuperabile contraddizione (M. Horkheimer e Th. Adorno, “Dialettica dell’illuminismo”, Einaudi, Torino 1966).
Chi nega l’esistenza della verità, non potrebbe neppure, infatti, affermare che Dio non esista. Chi si sforza molto nel conciliare relativismo con ateismo, pone l’ateismo in maniera dogmatica quale fondamento del relativismo e costruisce un sistema di pensiero in cui il punto di partenza è proprio la negazione di Dio. E da questa verità pressoché “divina”, fonda un relativismo morale e cognitivo radicale.
Un pensatore che pose in stretto collegamento l’ateismo con il concetto di verità fu Friedrich Nietzsche, il quale venne a considerarsi “ateo per istinto”. Certamente il suo ateismo volontarista aveva come conseguenza affermare un forte relativismo in cui la verità era come “un esercito di metafore, metonimie”, “illusioni di cui non si tenne presente proprio della natura illusoria”, “monete dall’immagine sbiadita” (F. Nietzche, “Sobre verdade e mentira no sentido extra-moral”, ed. Hedra, São Paulo 2007). In un altro testo abbastanza famoso, Nietzsche osservava in maniera interessante: “temo che non potremmo mai allontanarci da Dio poiché crediamo ancora nella grammatica” (F. Nietzche, “Crepúsculo dos Ídolos”, ed. Companhia das Letras, São Paulo 2006). In tal modo l’ateismo radicale dovrebbe portarci verso una società senza scienza, senza spiegazioni finali, una società nella quale l’uomo sarebbe solo in grado di riconoscere i suoi propri stati d’animo (sensazioni).
Tuttavia ciò prende le mosse da un’affermazione con valore di verità assoluta: “Dio è morto, continua morto, noi lo abbiamo ammazzato” (F. Nietzche, “A Gaia ciência”, ed. Hemus, Curitiba 2002, p. 134). Il teocidio sarebbe in fondo l’atto supremo di una volontà alla ricerca di un’autonomia assoluta e non piuttosto di una dimostrazione razionale; un gesto che porterebbe con sé un relativismo radicale, e non certo assoluto. È indiscutibile che oggi molti pensino che il relativismo sia il fondamento dell’ateismo, però ciò si deve ad un modo superficiale di approccio al problema. Se il relativismo è totale, se non c’è alcuna verità, altrettanto impossibile sarebbe quella verità che sostiene che Dio non esista. Perciò, di modo sorprendente, lo stesso ateismo pone limiti al relativismo. In altre parole, può anche esistere un ateismo relativista, cioè un ateismo a partire dal quale si deduce il relativismo, ma non un relativismo dal carattere ateo.
È dunque impossibile un relativismo assoluto? Poniamoci la domanda in maniera diversa: può essere vero che non esiste verità alcuna? Ci sono solo due possibili risposte: “Sì, è vero che non c’è nessuna verità”. Chi afferma questo, si rende conto, forse incoscientemente, che ci sarebbe pure qualche verità. Se qualcuno rispondesse invece: “No, non è possibile esser vero che non esista verità alcuna”, di certo starebbe usando meglio la propria ragione e troverebbe una risposta logica. In un modo o nell’altro, la conclusione è la medesima: non può esistere un “relativismo assoluto”, la verità fa sempre parte del nostro pensiero e del nostro discorso.
La conseguenza di tutto ciò è che, per incredibile che sembri, il relativismo può solo essere relativo, una volta che si riduce ad essere unicamente parziale. Ciò accade perché è sempre necessario accettare l’esistenza di una verità, di qualcosa che può essere conosciuta. Un certo tipo di relativismo può essere accettato attraverso opinioni che sono affermazioni di un qualcosa con scarso fondamento, facendo sì che quando ciò venga valutato emerga il timore che l’affermazione contraria sarebbe in realtà quella vera. Però non tutto nella nostra comunicazione risulta essere una semplice opinione. Aristotele diceva che, essendo la verità una realtà primaria del nostro pensiero, chi nega la verità, l’afferma. Ossia chi nega che la verità esista, è consapevole di cosa sia, affermando che è verità la sua non esistenza, cioè una contraddizione in termini.
Un altro modo di sfuggire al compromesso con la verità sarebbe quello di far propria la posizione scettica, quella secondo cui non sarebbe possibile né affermare come neppure negare la verità. Chi si pone in questa prospettiva si libera del linguaggio e della “grammatica”, facendo sì però che tutto ciò comporti una conseguenza nefasta: non negare né affermare nulla, lascia l’essere umano trasformarsi in qualcosa di simile ad una pianta, con cui non sarebbe educato discutere. Ragion per cui il relativismo può solo essere applicato a certe affermazioni e mai a tutte. La verità non può mai essere esclusa dalla vita e dal linguaggio umano, a meno che qualcuno non abbia intenzione di vivere come un vegetale. Friedrich Nietzsche poté dire soltanto che la verità è “un esercito di metafore”, “un’illusione”, “una moneta senza valore”, proprio perché sapeva perfettamente cosa sarebbe una metafora, un’illusione, una moneta con valore. Negare la verità implica accettarla, così come negare Dio implica presupporre la sua esistenza.
Ecco perché dobbiamo a questo punto porci la scomoda domanda: cos’è la verità? Platone diceva che “vero è il discorso che dice le cose così come sono” (Platone, “Crátilo” 385 b; cfr. anche Sofista, 262 e ss). E Aristotele affermò una cosa tanto semplice quanto essenziale: “Negare quello che è, e affermare quello che non è, è falso, poiché affermare ciò-che-è e negare ciò-che-non-è, è la verità” (Aristotele, “Metafísica”, IV, 7, 1011 b 26 e ss.). La verità si afferma quando il nostro discorso esprime ciò che le cose davvero sono. In che senso quindi può essere accettato il relativismo? Diamo qui una risposta solo iniziale, per approfondire il tutto in un’altra occasione. Ciò che importa adesso è chiarire bene a cosa giungiamo: il relativismo non può essere assoluto, solo può essere, per incredibile che sembri, relativo.