Caos, sempre e comunque. Anche quando siamo in vacanza, anche durante le feste, anche quando guidiamo. Figuriamoci sui mezzi.
Telefoni che squillano, ragazzi che ascoltano la musica a volume altissimo, conversazioni chiassose, rumori di fondo. Avere un po’ di silenzio è quasi impossibile.
Come dicevo, in vacanza non va meglio. D’estate siamo perseguitati dalla movida, dall’incessante fracasso dei locali notturni. Oramai anche in molte località di montagna siamo perseguitati da un fracasso ossessivo, quasi persecutorio. Dai fuochi d’artificio alla musica incessante dei centri sportivi, è sempre più complicato isolarsi anche sui monti, che una volta erano oasi di pace e di relax.
Per assurdo pare che l’italiano – intollerante per natura – sia capace di accettare il caos, perfino di apprezzarlo. Forse perché rimanere in silenzio fa paura? Forse. O perché fare casino è un modo come un altro per affermare la propria presenza? Anche.
Per non appesantire il discorso eviterò di estendere il significato del termine “rumore”, che potrebbe abbracciare anche l’overload di informazioni e chiacchiere virtuali a cui siamo sottoposti*. Tuttavia si rischia di scadere nell’orrido qualunquismo e nell’inutile luddismo, perciò preferisco limitare il discorso al rumore letterale, quello che ci bombarda i timpani 365 ore al giorno.
La domanda è una sola, e semplice: ma voi non avete mai l’esigenza di godere di qualche ora di silenzio?
Io sì.
Non è solo per scrivere – attività che necessità di un’atmosfera quieta e silenziosa. Si tratta soprattutto di salvaguardia dei neuroni.
Odio le conversazioni inutili, specialmente quelle che mi vengono rifilate passivamente. Le peggiori di tutte sono quelle che mi capita di ascoltare in treno o su mezzi pubblici. Al punto di rimpiangere i bei tempi in cui almeno la metropolitana era un’oasi, un santuario in cui eravamo salvi quantomeno dalle suonerie dei cellulari e da ciò che da esse ha origine (chiacchiere inutili e personali, vanity chitchat spesso volgari, etc etc).
La ricerca del silenzio è sempre più spesso utopica, perfino in casa.
In un breve articolo di Sebastiano Vassalli, pubblicato sul Corriere di settembre 2012, si dice quanto segue:
Il diritto al riposo, in questo Paese, è in perenne conflitto con la naturale propensione dei suoi abitanti al rumore: che ci dà fastidio, giustamente, quando è il rumore degli altri. Ma con cui ci riconciliamo e che anzi amiamo quando siamo noi a farlo. L’unica cosa che si sopporta male, in Italia, è il silenzio.
Abbastanza realistico, non vi pare?
Il silenzio, tra l’altro, è una componente essenziale della comunicazione. Anche in campo professionale, tanto per parlarci chiaro. Ne parla con competenza Mauro Miccio, nell’interessante saggio Ascoltare il Silenzio, che affronta una serie di questioni correlate all’ascolto, al messaggio veicolato attraverso il silenzio medesimo, e ai danni prodotti dal caotico sovrapporsi di voci e urla (virtuali o reali, a questo punto fa poca differenza).
Ecco, se proprio vogliamo fare una connessione con gli argomenti trattati su Plutonia Experiment, potremmo dire che ascoltare è una naturale conseguenza del silenzio. Imparare a farlo può migliorare il nostro benessere mentale, ma anche il modo in cui comunichiamo col prossimo.
Nel mondo analogico e in quello digitale. Senza differenze.
E non venitemi a parlare di silenzio assordante: è una frase fatta di quelle che trovo insopportabili.
* Buona intenzione disattesa poche righe dopo, ovviamente.
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