Il risveglio dei bass

Da Pietroinvernizzi


Giovedì scorso, spinto dalla notizia che i bass hanno iniziato ad azzannare le esche, decido di provarci. Ho la sveglia puntata alle cinque. Mi sveglio alle tre e mezza e non riesco più a riprendere sonno. Esco di casa con parecchio anticipo e arrivo sullo spot che è ancora molto, molto buio. Nel tragitto mi diverto a vedere i rimasugli umani che rotolano fuori dalle discoteche. Monto la canna al volo e sono sull’acqua. Silenzio e buio.
Innesco la gomma a texas e inizio a lanciare. Sono le 5,39. Il freschino spinto che mi fa rabbrividire di tanto in tanto, mi suggerisce dei recuperi molto lenti, e così faccio. Anche qualche minuto a lancio. Con una pesca così lenta la mente ha tempo per andare per i fatti suoi ma dopo una ventina di minuti la mia attenzione viene catalizzata da una macchina che vedo arrivare in lontananza. Scende una coppia di ragazzi, che si siedono ad aspettare l’alba mentre lei si stringe in un lungo impermeabile. Che tenerezza. Io continuo nei miei intenti, recuperi il più lenti possibili conditi da una buona dose di vibrazioni, ma non sento una tocca né cacciate che mi facciano pensare a una ripresa dell’attività.

Inizia a schiarire e i due tornano verso la macchina, ma, stranamente, entrano dalle porte posteriori. Ancora più stranamente la macchina non parte. Guardo la mia gomma volare e, prima che la senta toccare il fondo, non posso fare a meno di pensare, che di sicuro si stanno divertendo molto più loro di me.

Lancio e cammino finché la natura milanese mi offre uno dei suoi spettacoli più toccanti: il bagno mattutino della pantegana da metro. Un momento di altissima poesia, superato in aulicità solo dall’incontro di tutta la prole che sguazza poco più avanti. Smadonno in terzine e tiro dritto sperando di non trovare altri roditori a disturbare le acque. Il sole sta sorgendo e mi siedo, un po’ scorato, a fumare una sigaretta, nella speranza di captare qualche movimento interessante. Da lontano vedo aprirsi le porte posteriori della macchina dell’amore. Sono passati pochi minuti da quando si sono chiuse. La loro non sarà stata una performance memorabile, ma per adesso la mia è anche peggiore. Mi rimetto in piedi e riprendo a martellare l’acqua e pettinare il fondo. Cambio esca e montatura. L’acqua, di quando in quando si rompe per microcacciatine. Ma non c’è verso di stimolare la benché minima risposta pinnula ai miei inganni.

Mi attardo in un sottosponda a giocare con dei persici sole incazzosissimi. Gli lancio esche da cinque pollici e mi sorprende la cattiveria con cui ci si avventano contro. L’amo abbastanza enorme li tiene al sicuro ma la proporzione è imbarazzante, è come se io me la prendessi con l’anaconda dell’omonimo film con Jennifer Lopez: un serpente in grado di ingoiare un autobus a due piani e avere ancora abbastanza spazio per un Bertram 70. Il simpatico siparietto finisce e io torno a cercare i pesci, quelli seri.

Poco davanti a me vedo una bella sagoma scura subito sotto il pelo dell’acqua. Non ho tempo per spiombare l’esca. Rischio, gli lancio il vermozzo verde scuro proprio sopra la testa. Una frazione di secondo e vedo solo il movimento delle mascelle che tornano in posizione “naturale”. Ferro forte e lui parte. Qualche sfuriata che mi porta via qualche metro di filo ma lo conduco velocemente a più miti consigli. Lo porto in un punto in cui riesco a salparlo e finalmente posso ammirarlo in tutto il suo splendore: 52 cm di bass veramente grosso e in forma, una meraviglia. Un paio di foto al volo e poi veloce in acqua con tanto di scodata lavante.

Riprendo a camminare finchè nel sottoriva vedo una zona chiara, pulita. Mi avvicino per curiosare e infatti, a guardia del nido, trovo un bass borioso sui 35 cm intento a scacciare dei persici sole. Quando mi vede, mi fissa in cagnesco per tutto il tempo che rimango a guardarlo. È il momento di lasciarlo per i fatti suoi, sperando che faccia meglio dell’amico che “fregava” in macchina. Smonto la canna. Sono le 7,41.



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