Settembre è il mese dei ritorni. Finita l’estate si ritorna alle nostre vite che ci attendono (quasi) uguali a se stesse. Non facciamoci cogliere impreparati, ripassiamo il ritorno in questi magnifici film con Richard Gere, Nicole Kidman, Jeff Bridges, Jane Fonda, Daniel Day Lews, Jodie Foster, Gemma Arterton, Jude Law …
Chevet in francese significa più o meno comodino.Le livre de chevet si tiene sul comodino per per sfogliarlo, rileggerlo, accarezzarlo. Come i libri, i film de chevet si amano, si guardano, si sfogliano, si accarezzano, si portano sempre con sé.
In viaggio con 11 film de chevet
Meritiamo il lieto fine in 11 film de chevet
11 film de chevet da “leggere” sotto l’ombrellone
11 film de chevet carichi di speranza
Settembre è il mese dei ritorni: si torna dai viaggi, dalle vacanze, dal limbo in cui ci si è rifugiati per staccare la spina. E si torna dove si era partiti: si torna a casa, al lavoro, al vecchio amore cui credevamo di non pensare più. A volte torniamo come eravamo partiti, a volte siamo cmabiati noi, ma probabilmente piccoli o grandi cambiamenti ci accoglieranno al ritorno. Per prepararci a tutto ciò ci guardiamo e riguardiamo questi meravigliosi 11 film che del ritorno parlano. Appunto.
Tornando a casa (Coming Home)
di Hal Ashby, USA, 1978. Con Jane Fonda, John Voight, Bruce Dern, Robert Carradine
“Basta basta con la guerra. No alla vostra sporca guerra!”
A occhio e croce una guerra qualche cicatrice la lascia per forza
Questo lo conosco, perché ne feci la critica in parallelo con I Predatori de L’Arca Perduta in un tema delle superiori: il padre di Angelina Jolie, che ancora non era Angelina Jolie (ma il padre era già John Voight), lasciato sul marciapiede Dustin Hoffman, torna dal Vietnam su una sedia a rotelle. Diventa un attivista pacifista, si tromba una scintillante figlia di Henry Fonda, che fa volontariato nell’ospedale per veterani per vincere la noia di essere la moglie progressista di un capitano dei Marines (Bruce Dern, il padre della magnifica Laura Dern), che poi torna anche lui dal Vietnam e si ammazza. Una volta, nell’ospedale di cui sopra, a John Voight gli si blocca per un black out la macchina per la dialisi, ma poi la luce torna e si salva. E a questo punto qualcuno dirà: “Ma va là, ma è Nato il quattro di luglio” di Oliver Stone con Tom Cruise (anche lui che ha appena lasciato in una clinica per autistici Dustin Hoffman)! Forse è la stessa storia, ma raccontata da Ashby 11 anni prima e con un tocco meno greve di Stone. Pluripremiato, tanto da meritarsi l’accusa di ruffianeria; ma non date retta, è un bel film.
Da guardare facendo mente locale sui figli d’arte a Hollywood
Clienti in attesa dell’orario di apertura
Zombi (Dawn of dead)
di George A. Romero, 1978. Con Gaylen Ross, David Emge, Tom Savini
“Cosa stanno facendo? Perché vengono qui?” “E’ una specie di istinto. E’ la memoria di quello che facevano. Questo è stato un posto importante nelle loro vite”
Il ritorno più improbabile è quello dall’aldilà. Che si sappia solo Uno ci è riuscito, ma anche per Lui per crederci bisogna fare un atto di Fede. Invece in questo horror di Romero i morti, non si sa per quale motivo ritornano. Noi accettiamo con entusiasmo che “Quando non ci saranno più posti all’inferno, i morti cammineranno sulla terra” perché, giustamente, non si danno spiegazioni per qualcosa di inspiegabile. Questi morti viventi, gli zombie, seminano il terrore, anzi sono il terrore stesso perché sono fisicamente la morte che arriva per farci diventare come lei. Ma sono anche persone che fino a poco tempo fa erano vive e quindi hanno l’istinto di tornare dove andavano da vivi, di ripetere meccanicamente i gesti che compivano (meccanicamente) nella loro esistenza. Quindi non è strano che la parte più rilevante del film si svolga in un centro commerciale dove i nostri eroi asserragliati dovranno difendersi dalle orde di morti viventi che istintivamente tornano a cercare il cibo dove l’hanno sempre cercato.
I film di Romero sono film di genere che si prestano a letture più stratificate e complesse sul disfacimento della società americana e sull’insensatezza del mito del consumismo. “L’alba dei morti viventi”, in Italia Zombi, è il secondo film di Romero sui morti viventi dopo lo straordinario “La notte dei morti viventi”. E’ uno di quei film che gli amanti del genere conoscono a memoria perché ha fatto scuola, è stato copiato, citato, saccheggiato. Ma le scene più belle mai viste in un film di morti viventi sono proprie queste girate nel centro commerciale deserto assediato dalle orde di zombie. Probabilmente oggi gli zombie cercherebbero di digitare qualcosa sul loro iPhone con le loro goffe manone, non ci riuscirebbero e morirebbero di fame.
Se di vederlo in un cimitero non ve la sentite, allora sdraiatevi sul divano e ogni tanto tiratevi su, sbavate e cercate di mordere chi vi sta vicino.
Chi cazzo è che suona a quest’ora, che non aspettavamo nessuno?
Heimat – Una cronaca in undici film
Di Edgar Reitz, Repubblica Federale Tedesca, 1984.
“Vado all’osteria un attimo”
In 11 (!) film-capolavoro, la vita di una umile famiglia (i Simon) e di una piccola cittadina della Germania (Schabbach), una storia che inizia all’indomani della Prima Guerra Mondiale, quando iniziano a tornare a casa i reduci, e finisce con la festa di paese del 1982, quando la Germania torna a guardare tutti dall’alto in basso. In questa storia due ritorni: uno tentato (ed abortito contro le rigide regole del Nazismo), ed uno riuscito nel Secondo Dopoguerra. In tutti e due i casi a tornare è Paul Simon, andato via di casa lasciando una moglie e due figli nel 1920 e finito non si sa come a far fortuna in USA. Ma mentre tu facevi i dollaroni, noi qua ci si è fatti il culo senza di te, tenendo insieme una famiglia, crescendo i figli e ritirando su un Paese devastato. Scusaci, se del tuo ritorno non ce ne può fregà de meno… Ah, a proposito: tu dormi sul divano in cucina.
Da guardare canticchiando Deutschland Deutschland uber alless
Sarà anche un ritorno da regina, ma abbiamo visto dei sorrisi più sorridenti
Texasville
Di Peter Bogdanovich, USA, 1990. Con Jeff Bridges, Cybill Sheppard
“I giochi della TV sono la cosa che assomiglia di più alla vita: tu vinci cose che subito ti sembrano eccezionali che si rivelano rifiuti. E perdi cose che avresti voluto conservare per sempre … solo perché sei stato sfortunato”
Il seguito de L’ultimo spettacolo: stesso posto, stessi personaggi (ma 30 anni dopo), stessi attori e registi. Operazione nostalgia, ma con la grazia di uno dei registi più grandi e meno pompati di Hollywood. E con un tema di fondo: essere vecchi è già una sconfitta rispetto a quando si era giovani ed era tutto ancora intero. Però con tanta autoironia, soprattutto in Cybill Sheppard, la stronzissima de L’Ultimo Spettacolo, tornata a casa da ex-attrice di successo e con gli angoli del caratteraccio ben smussati. E alla fin fine con molto di autobiografico anche negli attori. Un film garbato, intenso e malinconico come ogni ritorno, ma che non riesce tuttavia a liberarsi del senso di operazione per cinefili (facciamo una scommessa: guardatelo senza avere visto prima L’ultimo spettacolo, vedrete che non riuscirete a trattenere gli sbadigli, ma comunque se non avete visto L’ultimo spettacolo vi meritate di sbadigliare tutta la vita).
Da guardare senza menarsela troppo su quanto si è invecchiati male
Adesso che lo vedo da vicino mi viene qualche dubbio
Sommersby
di Jon Amiel, 1993, con Jodie Foster, Richard Gere, Bill Pullman,
Il ritorno di Martin Guerre (Le retour de Martin Guerre)
di Daniel Vigne, 1981, con Gérard Depardieu, Nathalie Baye
“Ora, Laurel, dimmi, dal profondo del tuo cuore. Sono tuo marito?” “Sì.”
“Mio marito! Tornato dalla guerra! Sano e salvo! Cambiato, cambiatissimo, ma si può capire, tutti quegli anni in guerra… In ogni caso, è molto più premuroso, più affettuoso, gran lavoratore… A guardarlo bene anche più bello, forse un filo più alto…” La moglie di Martin (nell’originale francese) e la moglie di Jack Sommersby (nel remake hollywoodiano) vegliano riflettendo su chi dorme al loro fianco, ma presto si convincono che il reduce di guerra è il loro sposo partito soldato: anche perché, sarà stato il tempo o le sofferenze, è un uomo migliore rispetto a prima… Ma è lui o non è lui? Chissà. E come potrebbe non essere lui? Solo un disgraziato, un disperato, un uomo che non ha niente da perdere potrebbe, invece di tornare alla sua vita, tornare a una vita non sua, abbandonare se stesso per fingere, per tutti i suoi giorni, di essere un altro: rischiare la vita per una nuova vita, non propria, rischiare ogni giorno di essere scoperti o persino rischiare di pagare per crimini non propri. A che punto può arrivare il coraggio di un impostore, colpevole di avere riempito il vuoto di un’attesa?
Da guardare prendendo le impronte digitali del coniuge.
Caro Daniel Day Lewis se quando torni a casa non trovi più il tuo posto, sappi che ci sono milioni di donne disposte ad ospitarti
The Boxer
di Jim Sheridan, 1997, con Daniel Day Lewis, Emily Watson, Brian Cox.
“– Perché sei tornato? – È casa mia.”
Passano gli anni (e quattordici son lunghi) e Danny boy (Daniel Day Lewis) torna dalla galera nella sua Belfast straziata da una guerra da cui lui si è (pericolosamente) chiamato fuori. Vuole essere soltanto un pugile. In quelle strade è stato un eroe, ma ora non lo vuole più nessuno. Aveva un amore, ma lei (Maggie, Emily Watson) si è sposata con un altro uomo ora carcerato, ha avuto un figlio, è imprigionata nei suoi doveri diprisoner’s wife. Quelle strade, però, per Danny restano comunque l’unico mondo a cui appartiene, ed è lì che vuole ricominciare e persino provare a cambiare le cose. Apre una palestra in cui per entrare non è indispensabile essere cattolici: pericoloso. Rivede Maggie: molto pericoloso. Trova una cosa non sua e la butta: pericolosissimo. Si pente di essere tornato? Impossibile pentirsi di essere tornati a casa.
Da vedere coi guantoni e (mi raccomando) tenete la guardia alta e morbidi sulle gambe!
C’è gente che si tatua il nome della fidanzata, ma tra le persone non funziona come per i giocattoli
Toy Story 2
di John Lassater, Lee Unkrich, Ash Brannon. Pixar
“Non siamo giocattoli da 0 a 5 anni: sappiamo leggere!”
I tre episodi della saga di Toy Story hanno al centro della trama un obiettivo comune: bisogna riuscire a tornare a casa, perché quello è il posto dove stare e anche solo un minuto tra le braccia di chi ti ama, anche solo il pensiero di renderlo felice per un’ultima volta vale più della possibilità di diventare famosi e di viaggiare per il mondo.
Se il primo Toy Story è il più divertente e l’ultimo è il più straziante, questo Toy Story 2 è il più complicato: perché se trovi una bella cow girl, un ricco contratto, la fama e l’amore chi te lo fa fare di tornare a casa, specialmente se già sai che a casa non sei più l’oggetto del desiderio di una volta? E invece è proprio quelle circostanze che si vede chi sei, cosa è importante per te. Perché se il mondo cambia, i figli crescono, le mamme imbiancano i tuoi valori diventano inesorabilmente vintage, ma, Cristo Santo, quelli sono i tuoi valori, sono loro che ci dicono chi sei. E allora per fortuna che ci sono i tuoi amici che sfidano mille pericoli per farti tornare al tuo posto, al loro posto. Certo il fatto che i protagonisti siano dei giocattoli che quindi non cambiano mai (non sono neanche biodegradabili) la dice lunga su chi possa ancora oggi essere così fedele alla causa.
Da guardare insieme al vostro Big Jim o alla vostra Barbie. Non sapete dove sono finiti? Malissimo, loro lo sanno dove siete voi e magari vi stanno cercando. (se non li trovate fatevi compagnia con un maiale o una patata)
Se parti da un punto improbabile, il ritorno sarà ancora più improbabile
Il ritorno di Cagliostro
Di D. Ciprì e F. Maresco, Italia, 2003, Con Robert Englund
“Buonciorno. Me manda il Caddinale Sucando. Dice io deve parlare con loro. Sucando.”
Vita, morte e miracoli di una scalcinata casa di produzione cinematografica nella Sicilia post bellica (la Trinacria film), chiamata a produrre con una grande star USA in disarmo (interpretata nientemeno che da Robert Englund, in libera uscita dal personaggio di Freddy Krueger) un film sulla figura del Conte Cagliostro, mezzo mago e ciarlatano in collegamento con il mondo dei morti. Girato in stile documentaristico, finché resta sul lato grottesco il film è semplicemente straordinario (basti per tutte la rassegna sul catalogo di opere della Trinacria film), quando però prova a farsi serio, inoltrandosi sul terreno delle spinte indipendentistiche siciliane degli anni ’40 e ’50 a guida mafiosa, perde un po’. Però nel complesso un’opera prima ben fatta e divertente dei due Cinici TV.
Da guardare tra una seduta spiritica e l’altra, meglio se condotta dal Mago Casanova
Crinoline e lavoro nei campi: una volta certe cose erano per sempre
Ritorno a Cold Mountain (Cold Mountain)
di Anthony Minghella, 2003, con Jude Law, Nicole Kidman, Renée Zellweger, Donald Sutherland.
“Se state combattendo, smettete di combattere. Se state marciando, smettete di marciare. Tornate da me… Tornate da me… Questo vi chiedo. Tornate da me, tornate da me.”
La guerra fa schifo, fa paura, e io me ne vado, pensa il soldato Inman (Jude Law) sfinito e ferito: io torno da lei. Al diavolo la Guerra di Secessione, io torno da Ada, pensa il soldato Inman: e diserta. L’innamorato è colui che torna (sembra di Roland Barthes, ma l’ho inventata, confesso). Stanco, affamato, impaurito e ormai fuorilegge, affronta mille traversie dalla Virginia alla North Carolina, per tornare a Cold Mountain da Ada (Nicole Kidman ante botulino sugli zigomi), che ama follemente e con la quale ha scambiato mille sguardi, un solo bacio, una promessa: tornare. Prima della posta celere, dei voli low cost, del turismo sessuale per signore in Giamaica, e prima ancora dei collant e della liberazione femminile dalla prigione del busto, non soltanto era per sempre quando ci si sposava, non soltanto era per sempre quando ci si innamorava, ma quando si prometteva di tornare, si tornava a tutti i costi (o almeno così risulta nei pressi di Hollywood). Invocando il ritorno di Inman, la raffinata giovinetta Ada ha affrontato stenti e soprusi (addestrata e spalleggiata dall’ottima amica Renée Zellweger), ha conosciuto paura e violenza e – non stupitevi – non ha mai smesso di aspettarlo. Il costo del ritorno per il fuorilegge Inman sarà impagabile: in tutti i sensi.
Da guardare sbellicandosi dalle risa nelle scene in cui la Kidman lavora la terra, perché è credibile quanto un gabbiano che consegna panettoni.
Prima che tornasse il padre ai laghi non andavano mai
Il ritorno (Vozvrašcenje)
di Andrei Zviagintsev, 2003, con Vladimir Garin, Ivan Dobronravov, Konstantin Levronenko.
“– Ma da dove è sbucato? – Non so. È tornato, non sei contento?”
Fratelli, Andreij e Ivan vivono con la madre e la nonna, passano le giornate ruzzando e litigando, sfidando il proprio coraggio e gli amici, ragazzini in un mondo di ragazzini. A cambiare il loro mondo arriva il ritorno del padre, andatosene dodici anni prima. Di lui non hanno nemmeno un ricordo: su una vecchia foto, in cui la madre ride (a vederla adesso sembra impossibile), controllano che sia proprio lui. È lui, è tornato, e questi sono gli unici dati che è possibile raccogliere sul suo conto (a parte che non mangia il pesce perché ne ha mangiato troppo in un certo periodo, dice). Partono per una breve gita, che si trasforma in un viaggio complicato e affollato da dubbi, da ombre: Andreij si affida al padre, subito lo ama, ne riconosce l’autorità, Ivan scalcia, dubita, teme, si oppone. Zeppo di riferimenti pittorici e biblici, girato immergendosi nei colori umidi del lago Ladoga (nel nord della Russia), un film doloroso e suggestivo su un drammatico percorso di perdita dell’innocenza.
Da guardare in cima a una torre di legno che dà su un immobile specchio d’acqua, cercando la forza di tuffarsi.
Gemma Arterton potrebbe tornare anche a New York che lascerebbe tutti a bocca aperta
Tamara Drewe – Tradimenti all’inglese (Tamara Drewe)
di Stephen Frears, 2010, con Gemma Arterton, Bill Camp, Roger Allam
“– Quella chi è? – È Tamara Drewe. – Buon Dio, e che le è successo? – Si è rifatta il naso.”
Torna al paesello natale Tamara e non sembra più lei! Ha un naso nuovo (“non è nuovo, è solo più piccolo”), un appassionante lavoro da giornalista, un notevole stacco di coscia e un insospettato piglio volitivo. Abbandonate spoglie e toni da timida ragazzotta della campagna inglese, Tamara libra decisa sul vicinato, stravolgendo soprattutto la routine di un Buen Retiro per romanzieri. Vecchi fidanzati cedono alle sue grazie, nuovi e celebri pretendenti la concupiscono: il famoso e pomposo scrittore, la rockstar psicopatica. Animi e sentimenti si surriscaldano e il paesello va in fibrillazione. Tratta dalla graphic novel di Posy Simmonds, la storia satirica di un ritorno da vincente che somiglia a una spassosa vendetta.
Da guardare strappando le vostre foto prima della rinoplastica.