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Il rosso sul bianco: il sangue che impone le domande

Creato il 18 novembre 2014 da Redatagli
Il rosso sul bianco: il sangue che impone le domande

«Abbiamo visto in passato molti attentati, anche con più vittime, ma questa volta si è trattato di Ebrei in sinagoga fatti a pezzi con asce, coperti di sangue, con tallit e tefillin ancora indosso, e libri sacri gettati in terra: scene simili le abbiamo viste solo durante la Shoah».
Shoah, la parola che incarna - meglio di tutte quelle finora usate - i dolorosi scheletri dell'Occidente europeo.
Colpe iniziate secoli fa col colonialismo; perpetratesi negli anni, nei territori; ingigantitesi fino al ventesimo secolo, quando la ragione illuminista, tanto elogiata prima come “l'essenza dell'Europa”, venne ricoperta e soffocata dall'ennesima ingombrante responsabilità del Vecchio Continente.

La Shoah, portabandiera indiscussa: colpe altrettanto gravi continuano ad accumularsi, genocidi ed efferatezze continuano ad essere commessi negli anni che trascorrono; eppure, a causa di un inferiore valore mediatico, restano sempre in ombra, sempre un passo indietro. Oscurati dalla tragica luce riservata alla Shoah. 

Ennesima conferma: non c'è progresso nella storia. Immagini come quella in apertura sono d'impatto per chiunque: soprattutto se vive in una realtà ovattata, lontana da tutto questo. Immagini come questa, che ci piombano nei telegiornali, grottescamente programmati durante l'ora di pranzo o di cena, provocano anche un po' di nausea.
In immagini come questa, il colore dominante colpisce la vista e s'impone sulla nostra coscienza. Cosa c'è in quel rosso così vivo proveniente da un corpo morto?

Chi ha voluto macchiare di rosso quelle pareti fa parte di una masnada di fanatici. Fanatici per cui ammazzare a sangue freddo altre persone non solo è giusto, ma è anche necessario.
Necessario a cosa, se le vittime erano cittadini semplici, colti durante la preghiera? E se poi i due assassini sono stati rapidamente annientati da due colpi di pallottola della polizia israeliana?
Necessario a far sentire la propria voce. Che è certamente una voce di rabbia e di odio, ma è soprattutto e innanzitutto una voce di risposta. 
È la risposta che un gruppo sociale, religioso e politico si sente in dovere di dare a un oppressore: privati delle proprie terre, delle proprie abitudini, delle proprie case, dei propri cari e, cosa più importante, della propria legittimità.

Stranamente, non è una risposta ad una domanda. Tra Palestina e Israele si è smesso di avere un rapporto domanda-risposta molto tempo fa. Quello tra Palestina e Israele è un rapporto affermazione-risposta; e dunque, affermazione perentoria contro affermazione perentoria.
Nessuna domanda, nessun punto interrogativo, solo imperativi che s'impongono all'interlocutore. Non si chiede più: “Quando ve ne andrete?”, “Che cosa ci fate ancora qui?”, “Perché volete la nostra terra?” - tutte domande che si noterà essere ambivalenti, e utilizzabili da entrambi gli schieramenti.
Si afferma ormai semplicemente la propria presenza. Affermo la mia presenza come risposta alla presenza affermata del mio rivale.

Da una parte s'impongono la politica, il sostegno internazionale, il denaro, i carri armati e la forza; dall'altra s'impongono le autobombe, le cinture di esplosivo, il terrorismo e talvolta, come ieri, le asce. Strumenti diversi, fini uguali: imporsi.
Sempre e da entrambe le parti domina però il sangue, e assieme al sangue la miopia fanatica di chi, pur potendolo, si rifiuta di indossare un paio di occhiali.
Sempre e da entrambi le parti dominano le risposte imposte.

Quel rosso sulle pareti impone di cambiare dialettica: restituire cittadinanza alle domande. Vale per loro, che questa situazione la vivono; vale per noi, che questa situazione soltanto la commentiamo - con un diverso grado di fanatismo, di tifoseria, di pregiudizio; ma pur sempre con ottusità. 
Le persone direttamente coinvolte nel conflitto, la cui quotidianità è già fin troppo soffocata dall'ineluttabilità degli eventi, non vogliono (o non possono, o non possono più) porsele. Allora è un dovere nostro: di noi che leggiamo i giornali da lontano e vediamo immagini come quella iniziale. 
Abbiamo il dovere di chiederci perché del sangue rosso abbia macchiato quella parete bianca. 

LT & UM
@twitTagli


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