La scissione è avvenuta. Ma invece di farla ciò che rimane della sinistra Pd o i brandelli di ex sinistra radicale che navigano dentro il sistema in nome della governabilità e delle poltrone, l’ha fatta Renzi, lasciando che il suo uomo dei soldi, il finanziere Davide Serra si scagliasse addirittura contro il diritto di sciopero proprio mentre a Roma c’era la manifestazione contro il governo. Gli argomenti di Serra, enfant gatè, che non ha mai visto un operaio o una fabbrica in vita sua, secondo cui lo sciopero crea disoccupazione, sono davvero imbarazzanti per la pochezza intellettuale, l’incultura che esprimono e fanno un bel selfie del brodo culturale del renzismo che è poi il bar di Paese, il reazionarismo opaco di padroncini e notabili l’atarassia politica e sociale della piccola borghesia italiana. Certo possiamo democraticamente consolarci col fatto che anche un cretino fatto e finito, se dispone di qualche miliarduccio di famiglia e un cuore di cane alla Bulgakov, può fare il finanziere e dunque sovvenzionare i suoi simili perché facciano i propri interessi.
Ma il fatto è che con la Leopolda, nonostante le pezze che il caudillo di Rignano tenterà di mettere su questo sipario strappato, Renzi ha mostrato in via definitiva di non aver nulla a che vedere con la sinistra e che il Partito della nazione non è altro che un tentativo oligarchico voluto e pagato dai Serra dentro e fuori dal Paese. Si è finalmente e chiaramente tirato fuori da ogni tradizione che abbia a che vedere non solo con la classe operaia, ma con la solidarietà, il welfare e soprattutto con la dialettica sociale che è il sale della democrazia. Adesso nessuno potrà dire di non avere capito o far finta che il progetto renziano assomigli a quello dell’ulivo quando con tutta evidenza ne è solo il nipote degenerato e corrotto. Perché dire interclassismo, ammesso che abbia davvero un senso, è dire niente se non si specifica l’equilibrio che si vuole trovare tra le classi. Adesso, dopo l’ultima leopoldata, lo sappiamo con certezza: tutto ai ricchi.
Si, la scissione è avvenuta. E’ avvenuta anche in Piazza San Giovanni dove il mare di manifestanti da una parte ha sentito le parole dure della Camusso su un’Italia e un’Europa a guida finanziaria da combattere, ma ha anche toccato con mano i tanti se e ma riguardo allo sciopero generale, il vuoto riguardo alla strategia da seguire, il senso di pura sopravvivenza organizzativa che s’intuiva nella manifestazione. Si è reso conto che non sarà l’attuale dirigenza sindacale a troncare la collateralità con il Pd, che ormai è quasi solo il Pd della Leopolda, almeno finché i contestatori continuano a far parte della regia del massacro sociale. Lo dimostra persino il fatto che negli striscioni ufficiali si è evitato di indicare con nome e cognome il nemico e le leggi contro cui si manifestava. Lo dimostra, su un altro fronte, il patetico sillogismo di Civati secondo cui “Chi manifesta oggi non lo fa contro il governo, ma contro politiche che sono sbagliate” le quali per chi non lo sapesse vengono elaborate su Marte. Un’intera linea di condotta sindacale, perseguita da un quarto di secolo , è franata e non bastano certo gli scatti di orgoglio di fronte agli assalti leopoldeschi a mutare l’opposizione sindacale in opposizione politica strutturata.
Così è evidente che da tutto questo non nascerà un’opposizione di sinistra, nonostante che le cose siano ormai chiarissime: saranno le persone in piazza che dovranno rimboccarsi le maniche e creare un nuovi strumenti politici e sindacali o impedire che le elite attuali li svendano. Lo stesso numero di partecipanti sarebbe di per sé una massa d’attrazione sufficiente a ricreare una cultura. Perché è di questo alla fine che si tratta. Evitando come la peste l’idea che la ricostruzione debba essere fatta badando alla governabilità o all’entrata nella stanza dei bottoni, ad essere cinghia di trasmissione e tanto meno ad essere maggioranza nei tempi brevi ricorrendo ad ogni compromesso e annacquamento. Questo è già il passato fallimentare.