“…Ogni individuo è unico e ogni individuo è numerosi individui che non conosce…”
O. Paz
Procedendo nel cammino di conoscenza mi rendo sempre più conto di come ogni cosa affrontata con interesse e curiosità porti con sé una buona dose di mistero che, procedendo nello studio e nell’approfondimento, ha un che di magico per la mente che mi stupisce, mi affascina, mi colpisce e non mi abbandona mai.
La magia, con i suoi simboli, i sui riti e miti, non è prerogativa di maghi e stregoni, ma la ritroviamo tutti i giorni in tutte le cose fatte con amore, con passione, coinvolgimento ed entusiasmo.
C’è magia nella parola: attraverso la comunicazione, ma soprattutto nell’ascolto delle persone; esse si rivelano a noi, si aprono ed è possibile entrare in contatto, entrare nel loro mondo e lasciarle entrare nel proprio. In una sua affermazione Austin diceva: ”Fare le cose con le parole”, cioè, attraverso le parole è possibile richiamare un’esperienza e nello stesso tempo l’azione ad essa connessa (il “chiedere scusa” implica l’essere scusati; la formula “vi dichiaro marito e moglie” implica una continuità, ecc.). La magia della parola evoca un’esperienza, contiene ciò che simboleggia ed il sostantivo dispone del potere di evocare la cosa nominata.
C’è magia nella parola scritta: ogni volta che si aprono un libro od una pagina web e si affronta un qualsivoglia argomento, ci si stupisce di quanto si può apprendere; lo scoprire ciò che si può leggere “tra le righe”, ciò che l’autore ci comunica oltre le frasi scritte nero su bianco, ha uno straordinario potere e la mente può volare ed arricchirsi di sempre nuovi saperi.
C’è magia nelle esperienze di vita di tutti i giorni, in ogni cosa che si fa: dalla vita in famiglia e con gli amici, al lavoro, alle attività ricreative, se ci si lascia stupire ed incuriosire da ciò che può accadere. Ogni esperienza, perfino la più ripetitiva, non può mai essere uguale ad un’altra; ogni persona, anche la più scontata, a guardarla bene ha espressioni, reazioni, modi di fare di volta in volta diversi.
La diversità poi ha un suo fascino particolare; è molto più stimolante ed accattivante relazionarsi con le persone e con le cose attraverso le differenze, piuttosto che le similitudini. E’ grazie alle differenze che noi possiamo essere unici, irripetibili ed è per mezzo delle diversità che si possono trovare punti di forza e coesione tra le persone: le differenze le rendono complementari, le aggregano, fanno sì che ognuno possa mettere al servizio degli altri le personali competenze e le proprie modalità espressive, compensandosi a vicenda. L’altro è al tempo stesso il simile e il dissimile: simile per i suoi tratti umani o culturali comuni, dissimile per le sue singolarità individuali o per le sue differenze etniche e porta effettivamente in sé l’estraneità e la somiglianza. La qualità di soggetto ci permette di percepirlo nella sua somiglianza e nella sua diversità.
La chiusura egocentrica ci rende estranei all’altro, l’apertura altruista ce lo rende fraterno. Il soggetto è per natura chiuso e aperto: spesso ci troviamo in una relazione ambivalente di fronte ad uno sconosciuto, in bilico tra simpatia e paura, non sapendo se costui si mostrerà amico o nemico. Per pacificare la relazione e aprirci all’amicizia scambiamo con lui gesti di cortesia, ma siamo pronti in caso di ostilità, a fuggire, a difenderci o ad attaccare.
La relazione con l’altro è inscritta virtualmente nella relazione con se stessi: il tema arcaico del doppio, così profondamente radicato nella nostra psiche, mostra che ciascuno porta in sé un alter ego (Io-stesso-altro) nel contempo estraneo ed identico a sé. Sorpresi davanti a uno specchio, ci sentiamo estranei a noi stessi pur riconoscendoci: è perché portiamo in noi questa dualità nella quale “Io è un altro” che possiamo, nella simpatia, nell’amicizia, nell’amore, introdurre ed integrare l’altro nel nostro Io.
Il bisogno di riconoscimento è inseparabile dal bisogno soggettivo di auto-affermazione. Se il soggetto è misconosciuto è ferito, handicappato, dolorante. Rousseau ha ben sottolineato il bisogno dello sguardo altrui per esistere umanamente. Hegel ha sottolineato il bisogno umano di riconoscimento. Il bisogno dell’altro è radicale e testimonia l’incompletezza del Me-Io quando è senza riconoscimento, senza amicizia e senza amore. Hugo ha pienamente ragione: “L’inferno è tutto nella parola solitudine”.
Tutta la nostra esistenza, dunque, ha un suo fascino, una sua magia perché nascendo dall’interno di ciascuno di noi, ci porta alla scoperta del nostro personale mondo interiore, delle potenzialità della nostra mente, fino a confini ai quali non si sarebbe mai immaginato di poter arrivare. Il nostro mondo interno ed il mondo esterno si compenetrano ed emergono alla consapevolezza; il cammino per la loro scoperta è magico, perché è curioso stare a vedere cosa accade e nello stare a vedere c’è quel momento di attesa, di attenzione “a fiato sospeso” che porta a gustare a pieno i risultati e le manifestazioni sempre diversi, che la vita di tutti i giorni si porta con sé.
Dove c’è magia c’è mistero, ci sono riti e simboli che ritornano simili, ma diversi; e dove c’è mistero c’è curiosità, voglia di scoperta, di comprensione. La scoperta della novità, allontanando il rischio della noia, è magica e fantastica allo stesso tempo.
La magia permea tutta la nostra esistenza, ogni giorno, in ogni circostanza e può essere il “sale” della vita, ciò che ci permette di non dare nulla per scontato ma di cercare, giorno dopo giorno, lo stupore e l’entusiasmo che ci dà modo di vivere a pieno e con consapevolezza la nostra esistenza, nei suoi aspetti personali e sociali.
Tutto ciò che la storia dell’uomo ci racconta lo ritroviamo nel pensiero magico del bambino; dinnanzi a qualsiasi situazione aleatoria (dubbi, incertezze, situazioni irragionevoli, calamità), l’uomo tende a rifugiarsi nella magia del gesto, del rituale, della storia dei miti. Dinnanzi ad ogni novità tendiamo a dare spiegazioni che si rifanno alla necessità di legare fatti tra loro, anche quando questi non hanno nulla da collegare; nella logica dell’abbinamento dei fatti, il caso diventa sempre una necessità inesplorata, perché abbiamo costantemente bisogno di dire e dare spiegazioni causali ad ogni cosa.
La magia si rileva essere la strada maestra nella logica dell’abbinamento, una logica che attinge le sue ragioni nella forza del simbolo, nel perpetuarsi del rito, affondando le radici nel mito.
Il pensiero, accostandosi alla magia, riduce la sua complessità riportandoci al pensiero semplice; abbassando la critica ci permettiamo una comune unione (comunione) speciale tra eventi diversi.
C’è magia sia nella “disintegrazione” dell’individuo (morte fisica o morte come metamorfosi psicologica, cambiamento), sia nell’”integrazione” dell’individuo (identità, identificazione, immedesimazione, proiezione). La magia dell’identificazione si ritrova nell’idea che si ha di sé, nella magia del confine, il confine che crea le cose e le persone. La magia della disintegrazione si ritrova nell’idea della rigenerazione, del cambiamento, della metamorfosi e della rinascita (Lankton 1989; Bandler e Grinder 1981)
Grazie al pensiero magico i bambini imparano e crescono: imparano a controllare sé stessi e ad orientarsi nella realtà. Il pensiero magico-animistico e la comunicazione simbolico-metaforica sono essenziali all’equilibrio psichico del bambino ed al superamento dell’adolescenza. Anche se queste strutture cognitive magico-metaforiche saranno superate con il principio della realtà al termine dell’adolescenza, è bene che non siano mai del tutto rigettate; anzi, è opportuno che in alcuni ambiti siano proprio questi processi non razionali a prevalere: le espressioni affettive, ricreative, artistiche ed etiche.
E’ importante saper individuare quando e come lasciarsi trasportare dal sentimento e dalla fantasia e quando invece operare e decidere su basi prevalentemente logico-razionali. Questa capacità di differenziazione e di misura fa parte dell’equilibrio psichico e quest’ultimo dipende dai vissuti degli stadi evolutivi precedenti. Questo specifico processo cognitivo deve avere il suo adeguato spazio proprio nell’infanzia, affinché possa poi essere superato in una morale adulta. (Gordon 1992; Mills e Crowley 1988)
La magia, con i suo riti, i suoi miti, i suoi simboli sta, quindi, nella natura propria dell’uomo, che sia esso antropologicamente evoluto, primitivo o selvaggio, a qualunque età ed in qualunque luogo della terra.
Tutti siamo stati bambini e tutti abbiamo avuto il pensiero magico; siamo stati capaci di ascoltare le fiabe e sognare ad occhi aperti. Ciascuno di noi, con le sue personali modalità, ha eseguito da bambino i propri riti ed ha avuto i propri miti e questi non sono diversi dai riti e dai miti che, nella storia dell’umanità, si sono succeduti nel tempo. E’ importante ritornare bambini e saper ancora sognare ad occhi aperti, perché soltanto in questo modo siamo in grado di lasciarci andare ed assaporare tutto quello di magico può regalarci la vita.
La curiosità, lo stupore, la sorpresa che ci colgono, all’alba di ogni nuovo giorno, nell’affrontare noi stessi e gli altri, il nostro mondo, la nostra realtà quotidiana, hanno un potere meraviglioso.
La magia può essere definita un “processo cognitivo” con un’importante funzione riparatrice, guaritrice, psicoterapeutica. Allenare la mente, giorno dopo giorno, a fronteggiare le situazioni più disparate con creatività, ci renderà certamente vincitori.
Entriamo allora nella “magia della parola” e lasciamoci trasportare dalla funzione terapeutica di un racconto.
Il principe e il mago
C’era una volta un giovane principe che credeva in tutte le cose tranne che tre. Non credeva nelle principesse, non credeva nelle isole, non credeva in Dio. Il re suo padre gli diceva che queste cose non esistevano. Siccome nei domini paterni non vi erano né principesse, né isole, né alcun segno di Dio, il principe credeva al padre.
Ma un bel giorno il principe lasciò il palazzo reale e giunse al paese vicino. Quivi, con sua grande meraviglia, da ogni punto della costa vide delle isole e, su queste isole, strane e inquietanti creature cui non si arrischiò di dare un nome. Stava cercando un battello, quando lungo la spiaggia gli si avvicinò un uomo in abito da sera, di gran gala.
“Sono vere isole, quelle?”, chiese il giovane principe.
“Certo, sono vere isole”, rispose l’uomo in abito da sera.
“E quelle strane e inquietanti creature?”.
“Sono tutte genuine e autentiche principesse”.
“Ma allora anche Dio deve esistere!”, gridò il principe.
“Sono io Dio”, rispose l’uomo in abito da sera con un inchino.
Il giovane principe tornò a casa al più presto.
“Eccoti dunque di ritorno”, disse il re, suo padre.
“Ho visto le isole, ho visto le principesse, ho visto Dio”, disse il principe in tono di rimprovero.
Il re rimase impassibile.
“Non esistono né vere isole, né vere principesse, né un vero Dio”.
“Ma è ciò che ho visto!”.
“Dimmi com’era vestito”.
“Dio era in abito da sera, di gala”.
“Portava le maniche della giacca rimboccate?”.
Il principe ricordava che erano rimboccate. Il re rise.
“E’ la divisa del mago. Sei stato ingannato”.
A queste parole il principe tornò nel paese vicino e si recò alla stessa spiaggia dove s’imbatté di nuovo nell’uomo in abito da sera.
“Il re mio padre mi ha detto chi sei”, disse il principe indignato. “L’altra volta mi hai ingannato, ma non m’ingannerai ancora. Ora so che quelle non sono vere isole, né vere principesse, perché tu sei un mago”.
L’uomo della spiaggia sorrise.
“Sei tu che t’inganni, ragazzo mio. Nel regno di tuo padre vi sono molte isole e molte principesse. Ma tu sei sotto l’incantesimo di tuo padre e non le puoi vedere”.
Il principe tornò a casa pensieroso. Quando vide il padre, lo fissò negli occhi.
“Padre, è vero che tu non sei un vero re, ma solo un mago?”
Il re sorrise e si rimboccò le maniche.
“Sì, figlio mio, sono solo un mago”.
“Allora l’uomo della spiaggia era Dio”.
“L’uomo della spiaggia era un altro mago”.
“Devo sapere la verità, la verità dietro la magia”.
“Non vi è alcuna verità, dietro la magia”, disse il re.
Il principe era in preda alla tristezza. Disse: “Mi ucciderò”.
Il re, per magia, fece comparire la morte. Dalla porta la morte fece un cenno al principe. Il principe rabbrividì. Ricordò le isole belle ma irreali e le belle ma irreali principesse.
“Va bene”, disse, “riesco a sopportarlo”.
“Vedi, figlio mio”, disse il re, “adesso anche tu stai diventando un mago”.
Da The magus, di John Fowles, Dell Publishing Co., Inc., pp. 499-500