Il consenso, figurarsi, non è sempre il segno del contatto.
Questo lo scriveva la scrittrice statunitense Eudora Welty. Se ero alla ricerca di una definizione per spiegare il rischio di considerare il consenso (e il successo) metri di giudizio troppo imperfetti, ecco, credo di averla trovata.
Siamo tutti alla ricerca di consenso. Figuriamoci chi scrive, che ha un ego che confina con l’Antartide. Però quello che mi sembra unico e interessante è là dove la Welty parla di “contatto”.
Un pugno o una stretta di mano sono contatti. Come diavolo ci riesce invece la scrittura?
Se un autore vuole raccontare una storia sa che è indispensabile passare attraverso i sensi, non quelle bizzarre creature chiamate “emozioni”. Solo in quel caso si riesce a stabilire un contatto, a parlare alla carne del lettore. Quello siamo e resteremo; tutto il resto sono chiacchiere.
Quando la creatura di un altro mondo cerca di toccare la fanciulla (o il fanciullo), questi corre via urlando. Una reazione del tutto ovvia: anche perché la creatura ha fame, e indovina un po’ di che cosa si nutre? Esatto!
Il toccare lo permettiamo di solito a chi riconosciamo prossimo a noi. Vicino. Scrivere è un mestieraccio, perché non hai la fortuna del cinema, oppure della pittura. Si sa che un’immagine vale più di mille parole. Né della musica: canticchiamo una melodia senza conoscerne il senso (perché il testo è in inglese). Dopo lo scopriamo e magari non ci sembra neppure quel capolavoro di prima, ma ormai…
Il toccare non è solo l’avvicinarsi a un’altra persona, ma soprattutto in quello che accade in seguito. La manomissione, lo spostamento. Un contatto ha sempre una conseguenza, e un autore con un po’ di talento bada a quello che accade dopo il contatto. Cura sia la prima, che al seconda fase. E sa che entrambe sono intrecciate e hanno un’importanza capitale.
Dobbiamo usare un mezzo imperfetto come la parola (meno seducente dell’oralità), e ottenere gli stessi effetti, o quasi, della musica o della pittura. Vale a dire spostare, manomettere il mondo di chi ci legge. Quello è il segno che abbiamo creato un contatto col lettore.
