Magazine Psicologia

Il segreto del linguaggio

Da Anna
Ogni essere umano in quanto fatto di carne e ossa, inserito in un contesto sociale ben definito e caratterizzato da una propria ed unica storia personale sviluppa una sua visione, un suo modo di sentire e percepire la realtà che lo circonda, differente da quella di ogni suo altro simile. Possiamo tranquillamente affermare che al mondo esistono tante di queste diverse mappe quanti sono gli essere umani presenti sul nostro pianeta.
La percezione che abbiamo della realtà è filtrata in primo luogo dal nostro sistema nervoso attraverso i propri recettori (vista, udito, tatto, gusto e olfatto) che non sono in grado di percepire tutti i fenomeni fisici che ci circondano: così ad esempio l’orecchio umano è in grado di sentire solo le onde sonore comprese tra i 16 e i 20.000 hertz, l’occhio è in grado di percepire solo forme d’onda comprese tra 380 e 680 millimicron ed addirittura le sensazioni e percezioni relative alla nostra
epidermide possono essere influenzate dal sistema nervoso.
Vediamo infatti, ad esempio, che la nostra capacità di avvertire la sensazione di essere toccati in due punti della superficie dell’epidermide varia notevolmente a seconda delle differenti zone del nostro corpo: la distanza minima tra due punti che sono sentiti come separati sul mignolo va aumentata circa trenta volte affinché si avverta la stessa sensazione sulla parte superiore del braccio.
Il secondo modo attraverso il quale modelliamo la nostra esperienza è rappresentato da quelli che vengono chiamati filtri o vincoli sociali. 23
Una serie di valori, regole, prescrizioni, modi comuni di vedere, sentire e percepire a cui ci adeguiamo durante la crescita in quanto esseri umani inseriti in contesti sociali come la famiglia, la scuola ed il lavoro… ma anche e soprattutto lo strumento attraverso il quale ci viene trasmesso tutto il sapere e con il quale noi comunicheremo tutta la nostra esperienza… quel potentissimo strumento rappresentato dal linguaggio.
La nostra esperienza e la capacità di trasmetterla agli altri sarà allora tanto più ricca quanto più numerose saranno le distinzioni che la lingua sarà in grado di permetterci.
Vediamo di sviscerare questo concetto parlando della lingua maidu.
In questa lingua Amerinda della California settentrionale, l’intero spettro dei colori è suddiviso in tre categorie rappresentate da soli tre termini linguistici: lak per definire i colori appartenenti allo spettro del rosso, tit per verde-blu e tulak per giallo-arancionemarrone. Questo significa che un parlante maidu, pur essendo capace di vedere le differenti sfumature di un colore e percepire la differenza esistente tra un oggetto verde ed uno blu, non sarà in grado di comunicarla ad un suo simile.
Altrettanto affascinante è il rapporto che in alcuni casi si vede tra i valori e le necessità della collettività ed il linguaggio adottato, che sarà dotato di maggiore precisione e più ricco di distinzioni relativamente ad aspetti percepiti come rilevanti ed importanti per quella comunità.
Un esempio farà maggiore chiarezza.
In lingua eschimese ha senso la presenza di un centinaio di termini differenti per definire la neve, mentre la stessa distinzione non avrebbe senso per un dialetto di una tribù del centro Africa.
Il terzo e forse più peculiare modo attraverso il quale la nostra percezione del mondo può differire dal mondo in sé è rappresentato da quelli che chiamiamo filtri individuali.
Ognuno di noi ha una sua personalissima storia, il proprio dna, ha visto cose, vissuto avvenimenti, ascoltato consigli di parenti ed amici, avuto esempi positivi e negativi e soprattutto ha dato la sua interpretazione di tutto ciò in base alle proprie inclinazioni e al suo modo di percepire gli avvenimenti.
Se, ad esempio, chiedessimo ai figli di un uomo alcolizzato (di cui uno alcolizzato come il padre e l’altro completamente astemio) cosa li ha portati ad essere così, ci potremmo sentirci rispondere da entrambi: “con un padre così non potrei essere diverso da quello che sono diventato”.
Abbiamo quindi visto una serie di filtri o vincoli che già inizialmente, dal momento in cui apriamo i nostri occhi sul mondo, emettiamo il primo vagito o proviamo per la prima volta una qualsiasi sensazione corporea sia essa esterna o interna influenzano le percezioni alla base della costruzione del nostro modello del mondo….. della nostra mappa.
I controllori del nostro modello
Ho un carissimo amico che dopo aver messo su casa, una splendida villa immersa nel verde e nella tranquillità, con una vista sul lago da togliere il fiato, decise per la propria sicurezza e quella dei suoi familiari di comprare tre splendidi cani da guardia. I cuccioli erano affettuosi con i bimbi, non crearono problemi e crebbero sani e forti. Il mio amico fu contentissimo, si sentì finalmente al sicuro potendo contare sulla difesa dei suoi cani dai pericoli esterni.
Quando io gli chiesi se non avesse paura che quegli animali potessero nuocere a
qualcuno lui rispose che non c’era nulla di cui preoccuparsi perché erano addestrati ed obbedivano ad ogni suo ordine. Poco tempo dopo i tre cani divennero così protettivi e aggressivi da non permettere a nessuno di avvicinarsi alla casa del mio amico. Io stessa non potei più andarlo a trovare come del resto tutti gli altri suoi amici.
Un giorno li riportò all’allevamento in cui li aveva presi.
Meccanismi per la formazione ed il mantenimento del nostro modello
la generalizzazione
la cancellazione
la deformazione o distorsione
La “generalizzazione” è il processo attraverso il quale un’esperienza o un evento viene preso dal suo contesto originario ed elevato a verità universale valida per tutti gli avvenimenti rientranti in quella specifica categoria.
Generalizzare significa in sostanza non riuscire a vedere, sentire o percepire
determinate sfaccettature che caratterizzano un evento, una persona o un fatto e lo rendono del tutto peculiare rispetto ad altri se pur simili, organizzando il mondo per categorie. Da un certo punto di vista questo tipo di processo agevola potentemente la nostra vita permettendoci di interpretare la realtà secondo schemi e categorie già esistenti senza doverci porre nei confronti di ogni nuova esperienza sia essa un’immagine, un suono, un sentimento o sensazione interiore con lo stesso spirito che caratterizza l’apprendimento di un bambino piccolo.
C’è il rovescio della medaglia: lo stesso processo può rappresentare un terribile limite alla nostra capacità si scorgere nuove soluzioni, zavorrandoci in modo pesante.
Pensiamo all’esperienza di una scottatura sui fornelli di casa: se da tale evento trarremo come direttiva la norma di non toccare i fornelli roventi a mani nude tale tipo di generalizzazione ci proteggerà e aiuterà ad evitare futuri incidenti; se da tale evento dovessimo trarre viceversa l’insegnamento che avvicinarsi ai fornelli è
pericoloso potremmo limitarci fino al punto di mettere in pericolo la nostra stessa esistenza.
Se da un incidente stradale sul bagnato dovessimo trarre l’insegnamento che quando piove bisogna essere più prudenti alla guida questo ci preserverebbe nella nostra integrità di esseri umani; se la regola generale che dovessimo intravedere fosse, invece, che viaggiare in automobile con la pioggia è pericoloso questo probabilmente ci costringerebbe a non uscire di casa in macchina se non con il sole, con notevole pregiudizio.
Altri esempi di generalizzazioni che impoveriscono il nostro modello del mondo potrebbero suonare pressappoco così:
“gli altri non mi stimano”, “non piaccio alle persone”, “nessuno mi ama”.
La “cancellazione” è il procedimento attraverso il quale selettivamente vediamo, ascoltiamo metabolizziamo solo alcuni aspetti della nostra esperienza andando a filtrare la realtà escludendo una parte degli stimoli esterni.
Anche in questo caso bisogna sottolineare in primo luogo l’aspetto ecologico di tale processo: ogni secondo infatti una quantità infinita (secondo Paul Watzlawick, studioso del Mental Research Institute di Palo Alto e docente di psichiatria e scienza comportamentale dell’Università di Stanford, circa diecimila impressioni sensoriali) di stimoli (suoni, immagini, sensazioni corporee, odori ecc.) raggiunge i nostri sensi e se noi non possedessimo questo meccanismo naturale di difesa saremmo letteralmente sopraffatti e annientati: è scientificamente dimostrato che il cervello umano può gestire contemporaneamente sette pezzi di informazione (con uno scarto individuale di più o meno due), oltre questo limite la mente va in corto circuito.
Accanto a questa funzione positiva, come per la “generalizzazione”, c’è l’aspetto
limitante: è il nostro stesso modello a decidere cosa e come filtrare dell’esperienza
complessiva in funzione della congruità delle informazioni al modello stesso, escludendo di norma messaggi destabilizzanti e in contrasto con esso. All’essere umano non piace contraddirsi e in funzione di questo, dando un’occhiata a quanto appena detto sulla “generalizzazione”, un uomo, convinto di non piacere alle donne, tenderà a filtrare tutti i messaggi in contrasto con la sua profonda convinzione cancellando quelli di apprezzamento provenienti dall’altro sesso e la medesima cosa si può tranquillamente affermare anche per gli altri esempi fatti.
Il terzo procedimento attraverso cui ci creiamo il nostro modello è la “deformazione”.
Noi manipoliamo, coloriamo e deformiamo la realtà in funzione di ciò che vogliamo o ci aspettiamo di vedere e sentire. Questo esercizio che ci mette a disposizione uno dei più potenti strumenti di cui la mente umana sia dotata permettendoci di operare cambiamenti nella nostra esperienza e di prepararci a esperienze per noi non abituali proiettandoci nel futuro (ad esempio con la tecnica del “ponte sul futuro”) a volte ci limita.
La “deformazione” sotto l’abile direzione d’orchestra del nostro modello riscrive lo spartito delle nostre esperienze. Quelle che viste in chiave positiva possono essere definite profezie autoavverantesi, diventano spesso premesse autosuggellanti o, con un gioco di parole, autosigillanti, rendendoci prigionieri del nostro modello impoverito. Ne parleremo in seguito.
Il nostro modello in definitiva ha la caratteristica della circolarità. Una volta costituito avrà la capacità di generalizzare, cancellare e deformare tutte le nostre esperienze al fine di mantenersi e consolidarsi.
Avete presente i cartoni animati in cui dalla superficie dell’acqua si vedono affiorare le pinne degli squali che girano intorno alla preda di turno? Questo accade anche nel nostro modello.
A John Grinder e Richard Bandler24 si deve l’elaborazione di uno dei modelli più efficaci di studio ed interpretazione delle potenzialità umane: la PNL (Programmazione Neurolinguistica).
Agli inizi degli anni settanta iniziarono a studiare e soprattutto osservare il lavoro di
alcuni dei più famosi psicoterapeuti dell’epoca, tra cui Virginia Satir, Fritz Perls e Milton Erickson e si interrogarono sull’origine dell’efficacia della loro terapia.
In breve si accorsero che partendo da approcci delle specifiche terapie differenti e talvolta addirittura incompatibili vi erano degli elementi comuni e ricorrenti che rendevano l’approccio terapeutico di questi “maghi” irresistibile.
La successiva decodificazione di queste strategie e la loro applicazione ai più svariati campi delle interazioni tra individui ha dato origine a questa neuroscienza ancor oggi in continua evoluzione e definita come lo studio della struttura dell’esperienza soggettiva.
Proprio Grinder e Bandler affermano quanto abbiamo appena detto in La struttura della magia25, scrivendo: “Abbiamo constatato per esperienza che le persone vengono tipicamente in terapia soffrendo, con la sensazione di essere paralizzate, senza avvertire alcuna possibilità di scelta o libertà d’azione nella loro vita. Ciò che abbiamo scoperto non è che il mondo è troppo limitato o che non vi sono scelte, ma che costoro impediscono a se stessi di scorgere le opzioni e le possibilità che gli si dischiudono perché queste non sono disponibili nei loro modelli del mondo. .. Sicché i processi che ci permettono di svolgere le più straordinarie ed eccezionali attività umane sono gli stessi processi che bloccano la nostra crescita ulteriore se commettiamo l’errore di confondere il modello con la realtà.”
Chiediamoci ora cosa contiene il nostro modello.
Quali sono gli elementi che lo costituiscono?
I processi di cui abbiamo appena parlato danno origine all’interno del nostro modello ad una serie di credenze, valori, regole, alla nostra identità, ancore e concetti simbolo.
Io personalmente sono stata convinta per anni di non essere capace di parlare
in pubblico. Ogni volta che dovevo rivolgermi ad una platea anche di poche persone l’imbarazzo e questa mia forte convinzione mi bloccavano. Mi vedevo piccola come una formica, sentivo la mia voce farsi flebile e un nodo mi stringeva la gola.
Era una mia credenza!
Le credenze sono convinzioni radicate, generalizzazioni consce od inconsce, che
possono riguardare aspetti particolari del mondo (credenze specifiche) oppure interi settori della nostra vita, dell’individuo o dell’ambiente in cui ci troviamo (credenze globali). Tali elementi del modello assumono maggior vigore se corroborati da una vasta base di riferimenti, se in sintonia con altre credenze, se derivanti da esperienze caratterizzate da una forte carica emotiva. Si formano, infatti, proprio con le esperienze vissute, con ciò che abbiamo visto, udito e percepito durante il nostro sviluppo come esseri umani e tanto maggiore è l’emozione associata ad un evento che genera la credenza tanto più profonde saranno le radici.
Una pianta con radici profonde è ben salda nel terreno, trae nutrimento dal profondo alimentandosi ed è difficile da estirpare.
Così sono le nostre credenze.
Cosa orienta il nostro comportamento ogni giorno? Quando usciamo di casa la mattina per andare a lavorare o ci concediamo una giornata di svago con la famiglia o gli amici cosa consideriamo prioritario e cosa secondario?
Dipende dai nostri valori.
Questi sono la bussola del nostro comportamento indicando quale sia la rotta da
tenere e quale il fine a cui tendere nella vita. Fissare nella nostra esistenza dei valori precisi ci aiuta a raggiungere più in fretta e con maggior facilità i nostri obiettivi.
A volte gli insuccessi derivano dall’incapacità di darsi delle priorità, dalla poca chiarezza della propria scala di valori o ancora dal conflitto non risolto tra alcuni di
essi.
Oggi ci sentiamo felici?
Alcuni di noi risponderanno che lo sono, altri affermeranno il contrario. Stiamo facendo tutti la stessa identica cosa eppure… la risposta che ognuno di noi darà dipende dalle proprie regole: l’insieme delle condizioni necessarie e sufficienti che si devono realizzare affinché noi si possa affermare che un determinato evento o stato d’animo si è realizzato.
Pensiamo al concetto di felicità e riflettiamo su quelle che sono le regole affinché si possa provare questa sensazione. Io potrei essere felice per il solo fatto di trovarmi insieme a persone che stimo e che considero amiche mentre altri potrebbero desiderare un grosso conto in banca o una bella casa, ecc.
Avere regole troppo complesse o troppo rigide può provocare conflitti o incomprensioni con gli altri per cui saper comprendere e applicare le regole altrui è un formidabile strumento per comunicare in modo efficace, aumentare la nostra flessibilità e stare bene con noi stessi e gli altri.
Vi è mai capitato di guardarvi allo specchio e di chiedervi chi siete? O ancora
di domandarvi cosa gli altri vedano in voi? A me personalmente è successo più di una volta.
L’identità è la percezione che abbiamo di noi stessi, delle nostre risorse, potenzialità e limiti, del chi siamo e del chi potremo diventare, di ciò che potremo e non potremo
fare. Il nostro modo di vederci e percepirci ed anche l’immagine che gli altri hanno di noi (identità proiettata) sono alla base del nostro modello e rappresentano un pilastro della nostra capacità di crescita.
Ogni cambiamento profondo e duraturo parte proprio dalla modifica del nostro senso di identità. Non si potrà mai essere ciò che non ci si sente di essere.
Una sera di aprile per ultimare la mia tesi mi sono seduta in cucina, ho appoggiato il mio portatile sul tavolo e mi sono messa al lavoro. Poco
dopo mi sono accorta di aver scritto nel giro di un paio d’ore un bel pezzo di tesi. Un risultato eclatante considerando che l’avevo raggiunto lavorando di fianco alla lavastoviglie in funzione che per alcuni sarebbe stata solo di disturbo. Io ero stata coccolato da quel rumore, mi aveva riportato alle sere prima degli esami universitari in cui mi chiudevo in cucina per studiare ed ero piena di voglia e di risorse per apprendere.
Si era attivata in me un’ancora (positiva).
Per ancora si intende un suono, un’immagine, una sensazione fisica o un odore che ha per noi un forte senso evocativo.
Sarà sicuramente capitato a tutti di ascoltare una musica che ha fatto riemergere sensazioni piacevoli o rievocato ricordi e stati d’animo particolari?
Queste ancore agiscono sia a livello conscio che inconscio attivando in noi risposte positive o negative a determinate situazioni o eventi.
Un particolare tipo di ancora e poi rappresentato dai concetti simbolo, dove lo stimolo che dà origine alla nostra reazione emotiva è costituito da un concetto o una persona che incarna e rappresenta un determinato valore per noi rilevante. E’ bene ricordare che tutti gli elementi del nostro modello sono tra loro dipendenti e insieme, attraverso i processi di generalizzazione, cancellazione e deformazione, tendono a preservarsi e rinforzarsi.
Credenze ed identità in particolare svolgono un ruolo fondamentale nell’alimentare quel processo che viene definito “profezia autoavverantesi”.
Cos’è una profezia?
Una previsione sugli avvenimenti futuri o sul risultato delle azioni di oggi sul domani.
Alan Kay afferma: “Il miglior modo di prevedere il futuro è inventarlo!”.
Se noi siamo convinti di essere in un determinato modo lo saremo; se abbiamo la
certezza di farcela ce la faremo; se siamo certi fin dall’inizio di non saper fare una
cosa non la riusciremo mai a fare.
Se entro in un’aula di formazione convinta che non servirà a nulla, a fine giornata
non avrò appreso nulla.
Se sono convinta che al lavoro mi attende una giornata terribile, avrò una giornata terribile.
La nostra convinzione profonda accende la miccia di una serie di azioni e comportamenti consci ed inconsci che ci porteranno ad ottenere o no i risultati desiderati. E quando non li otterremo sarà perché non li abbiamo desiderati abbastanza: è il punto di partenza che conta, il resto viene di conseguenza.

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