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Il segreto di Chet

Da Villa Telesio
Il segreto di Chet

Chet Baker (1929-1988)

Difficile raccontare il jazz. Spiegare il colore del suono, il rumore di una nota rotta, l’ovale di un vuoto, la speranza di un’attesa, la vertigine di una perdita. Difficile andare a tempo, come fosse uno spartito, usando lettere e rotondità, virgole e aggettivi. E difficile pure dare un senso a un libro nato con la potenzialità di un giallo senza volerlo essere, una biografia senza poterlo essere, un romanzo o un sogno. Ma non è una sfida quella di E nemmeno un rimpianto (il segreto di Chet Baker), il nuovo romanzo di Roberto Cotroneo.

E’ l’ascolto di un vinile dai solchi consumati, rovinato, usato, vissuto e in grado, a ogni giro di puntina, di riportare in vita la voce e la tromba del genio maledetto di Chet Baker, volato da una finestra del Prins Hendrik Hotel di Amsterdam il 13 maggio del 1988. In grado di risuscitarlo quasi vent’anni dopo, una mattina del 2006, quando il protagonista del romanzo riceve una telefonata che sostiene come Chet non sia morto ma viva nel cuore del Salento.

Il libro non è solo il viaggio alla ricerca del fantasma di un mito. Non finisce con l’incontro, non è solo il tentativo di sentire ancora parlare di uno dei più grandi musicisti del Novecento, né quello di svelare misteri sulla morte architettata da un uomo che voleva sparire da demonio invece che da santo disintossicato dall’eroina e redento. Perché iI libro di Cotroneo non è l’evoluzione fantasiosa sul decesso di una star. Come potrebbe essere la morte di Jim Morrison nella vasca di Rue de Beautreillis, quella nel bagno di Graceland di Elvis, la bara vuota di un Michael Jackson anestetizzato o quella di Marilyn o quella del sosia di Paul di McCartney.

Che Chet Baker sia morto davvero a Amsterdam non è mai stato messo in dubbio. Che fosse un eroinomane ridotto a dimostrare 20 anni più dei 59 che aveva quando morì, neanche. Che facesse fatica a suonare per colpa della dentiera che aveva sostituito denti marciti dalla droga, lo stesso. Cotroneo non riporta in vita un uomo morto dannato per redimerlo, né per farlo suonare ancora, lo ritrova vivo in una casetta della Puglia come si fa coi sogni. Per sognarlo ancora un po’.

“Ancora non mi è facile spiegare quello che c’è in questo libro”, dice l’autore, “non so quello che voglio dire, non so perché il Salento, ci sono ragioni per tutto ma è inutile spiegarle. Volevo scrivere un libro su Chet per dimostrare che la musica non ha niente a che fare con la consapevolezza del mondo. Non c’è un grande scrittore che non abbia consapevolezza, ma i musicisti sono un’altra cosa. Lui aveva qualcosa nella voce e nel suo modo di suonare che ho cercato di descrivere. E’ sempre stato una mia passione, una delle tante però, non era una mia ossessione. Quando ho cominciato a scrivere sapevo che avrei voluto scrivere di lui, ma il resto è venuto fuori giorno dopo giorno. Anche immaginarlo ancora vivo in Salento non è stato difficile. In Puglia Chet c’ha suonato almeno tre volte e nel locale Nostra Signora dei Turchi ha avuto anche una camera effettivamente”.

(continua su Repubblica.it)


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