Esiste un malinteso a proposito del self-publishing: si dice che rappresenti un sogno che si avvera. Non capisco come “sogno” e “scrittura” possano andare a braccetto. Eppure sono poche le cose più concrete della scrittura. Il lettore, tanto per cominciare: non è certo uno spirito che aleggia, entra in libreria e sceglie.
Lo stesso libro ha un peso: sia cartaceo che digitale ha una sua natura concreta e perciò “misurabile”.
E le storie? Concretissime, se di valore ed efficaci: smuovono, aprono la mente, spingono il lettore a osservare con sguardo differente la realtà.
I personaggi? Come sopra: o sono di carne e sangue, o non sono niente.
Non scordiamoci del denaro che gira attorno. Lo so, qualcuno chiuderà gli occhi inorridito: il denaro! Che faccia tosta mescolare una cosa tanto sublime come la letteratura con quell’altra sordida, sì, quella roba lì. I soldi.
Il denaro garantisce alla casa editrice l’indipendenza. Quando se ne infischia, alla fine è costretta a portare i libri contabili in tribunale. Dopo un po’ di tempo arriverà magari un’altra casa editrice che ha sempre badato ai soldi e l’assorbirà. E a quel punto è finita l’avventura.
E poi: il pane ve lo regalano? L’acqua pure?
Ditemi dove vivete, che vi raggiungo.
In questi ultimi anni anche il self-publishing è stato issato a forza sul Carro dei Sogni. Che c’è di più bello di scrivere una storia e pubblicarla? È il sogno che finalmente si avvera!
Niente affatto. Proviamo a ricapitolare.
Scrivere non è un sogno: è un lavoro. Poi (dove quel “poi” significa: trovi un piccolo editore serio che ti pubblica), diventa un lavoro che ti fa perdere del denaro. Era meglio prima, quando rubava solo del tempo. Bisogna effettuare delle presentazioni (e i soldi per spostarsi, e dormire in un bed & breakfast, chi li mette?).
Devi discutere o litigare col datore di lavoro o moglie perché: “Ma dove vai? Sempre a girare invece che lavorare? Proprio di questi tempi, poi. Bravo. Vai, vai…”.
Figuriamoci il self-publishing. Se non ricordo male, gli ebook su Amazon sono 900.000, e aumentano. Un sogno pubblicare? Un incubo. O un lavoro? La seconda che ho scritto, esatto. La “facilità” grazie alla quale tutti possono pubblicare non fa altro che gonfiare l’idea che è un sogno, ed è a portata di mano. Diventa invece indispensabile togliersi dalla testa queste fisime, e affrontare la faccenda come se fosse una scalata.
Se la storia esiste (spesso è una specie di lista della spesa, e basta), occorre iniziare a studiare (studiare) il funzionamento di Google. Scartare Facebook. Imparare a usare con intelligenza Twitter. Aprire un blog non per vendere la propria merce, bensì per dialogare.
Tutto qui? Si chiederà qualcuno.
Altri affermeranno che questo modo di agire non fa per loro poiché essi sono artisti.
So che in Svizzera ci sono dei luoghi tranquilli gestiti da uomini robusti in camice bianco. Lì si possono trovare un mucchio di artisti, Napoleoni, eccetera eccetera. Non hanno molta libertà di movimento, ma insomma…
Torniamo invece a coloro che pensano sia una roba da bambini usare il Web. Se è semplice, allora lo è anche per tutti gli altri, non solo per me. Quindi è un bel problema. E ho lasciato fuori da questo ragionamento alcuni “dettagli” come la scelta di una copertina, l’editing, la conversione in epub (che può essere anche fatta con un clic, però attenzione…).
Le cose semplici tendono a uniformare tutto verso il basso, ma anche a rendere brillanti quelle di valore.
Ma il valore dipende solo da me e da nessun altro.






