Il soccorso dei recensori professionisti- “Il senso di una fine” è uno di quei libri che quando inizi a leggerli pensi “è bellissimo” e che quando arrivi in fondo ti senti inadeguata e pensi che la colpa sia tua se quel “bellissimo” non lo senti più vivo come nelle prime pagine. Procediamo per ordine, il libro nell’insieme è bello ma non è da annoverare tra i capolavori, è diviso in due parti, non entrambe purtroppo allo stesso livello. Insomma, è un capolavoro mal riuscito. Si passa da un registro molto filosofico riflessivo nella prima parte ad uno stile quasi da thriller con tanto di colpo di scena finale nella seconda, che tanto colpo comunque a me non è sembrato. Son tornata indietro a rileggere le pagine, perché sicuramente ero io, povera lettrice media, incapace di comprendere certe cose e di apprezzarle, ma senza esito positivo. E qui sono arrivati in mio soccorso Christian Raimo e Franco Cordelli con le loro recensioni illuminanti che mi hanno rinfrancata non poco e di cui riporto i link alla fine di questo commento. Sì, perchè quando mi trovo perplessa, prima di scrivere un commento su un libro letto, vado a leggermi le recensioni di chi mastica la letteratura veramente, e non per scopiazzare sia ben chiaro, bensì per trovare conforto a sensazioni che provo ma non sono in grado di esporre in frasi comprensibili oppure per trovare delucidazioni su parti non digerite del libro in oggetto. Di fatto leggere questi commenti mi ha fatto rendere conto che non sempre sono io, l’incolta lettrice, incapace di comprendere snodi e concetti della storia, ma che a volte è l’autore stesso che si infogna in vicende faraginose e un po’ ruffiane e non riesce ad uscirne alla perfezione. Chiusa la parentesi sulle recensioni altrui voglio spiegare cosa invece mi è piaciuto di questa storia. Innanzitutto ho trovato bellissimo l’inizio, affascinanti e misteriosi ricordi in ordine sparso, che poi saranno ampiamente spiegati nel corso della lettura. Ho trovato bello anche il modo di scrivere, seppur dovendomi fidare come spesso accade della traduttrice, uno stile limpido e scorrevole anche quando tratta di argomenti che potrebbero risultare noiosi. Mi è piaciuto leggere del tempo e dei ricordi, del valore non univoco di entrambi, di quanto può essere soggettivo un ricordo, selettivo in base a chi lo ricorda, di come certe cose le rimuoviamo dalla nostra memoria, di come la verità possa essere distorta a secondo di chi la racconta e così via. Di materiale interessante per riflettere Julian Barnes ce ne ha dato e se dovessi riportare tutte le frasi che mi hanno interessata sicuramente dovrei usare un bel po’ di spazio. Nonostante riesca a produrre pensieri interessanti il protagonista non è una simpatia d’uomo, è il contrario dell’eroe, una figura che a me ha trasmesso malinconia perché incarna l’uomo medio, quello in cui la maggior parte di noi alla fine si può riconoscere... ma ammettiamolo, riconoscersi nella mediocrità non è proprio esaltante.
Citazioni:
“ Sono sopravvissuto. Come si dice, <vivere per raccontarla>, giusto? Non è affatto vero che la storia è fatta delle menzogne dei vincitori,...; adesso lo so. E’ fatta più dei ricordi dei sopravvissuti, la maggior parte dei quali non appartiene nè alla schiera dei vincitori nè a quella dei vinti.”
“ ...dovrebbe apparirci ovvio come il tempo per noi non agisca affatto da fissativo, ma piuttosto da solvente. “
“ La mia esistenza si era sviluppata, o solo accumulata?”
Recensione di Christian Raimo
http://www.minimaetmoralia.it/wp/pare-che-il-senso-dell…
Recensione di Franco Cordelli
http://foglianuova.wordpress.com/2012/08/11/risposte-no…
Magazine Cultura
Il senso di una fine di Julian Barnes
Creato il 16 dicembre 2013 da Monica Spicciani @monicaspiccianiPossono interessarti anche questi articoli :
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