NON MI CONVINCERETE A CHIAMARLO SENATORE
I nostri eroi che se la sono cercata
Di Claudio Fava
Se l’è cercata Falcone, se l’è cercata Borsellino, se la sono cercata Terranova, Costa, Chinnici: potevano fare i giudici come si suggerisce adesso, processi corti, brevi, stretti, un occhio di riguardo a chi se lo merita, cassetti generosi per ingoiare e dimenticare i fascicoli più sfacciati. E invece no: la mafia, i mafiosi, gli amici intoccabili dei mafiosi… come un’ossessione, una compulsione, un’ansia di carriera. Ecco, professionisti. Nella vita e nella morte: se la sono cercata, questa loro bella morte, di che si vengono a lamentare oggi gli orfanelli?
Se la cercò pure il generale Dalla Chiesa, e su questo Andreotti era già stato allusivo quanto basta due giorni dopo che l’ ammazzarono. Venne a lagnarsi da me di suo figlio Nando, disse in un’ intervista, quel ragazzo gli dava solo dispiaceri… Mentiva, grossolanamente. Ma a tanti piacque credergli. E’ questo il punto.
Andreotti, amico conclamato di capi mafia che protesse e curò in salute per lo meno fino al 1980 (sta scritto nelle sentenze), interpreta un senso comune molto volgare ma molto diffuso. Che si esaurisce in due parole: cazzi loro. Di chi ha voluto fare l’eroe ad ogni costo, di chi s’è messo a fare il poeta, il don Chisciotte, il cacciatore di draghi e mulini a vento, il fustigatore di costumi. Cazzi suoi, se Ambrosoli se la volle prendere proprio con la P2 e Michele Sindona, il banchiere che salvò la lira (Andreotti dixit). Quando Giovanni Falcone, dopo l’attentato all’Addaura, cominciò ad andare incontro alla propria morte, il Giornale di Sicilia ricevette una letterina (che subito pubblicò, incorniciata come un Picasso) da parte di un gruppo di cittadini palermitani. Erano i vicini di casa del giudice e gli mandavano a dire che, orgogliosi delle sue battaglie, preferivano che se l’ andasse a combattere altrove: che se poi lo facevano saltare in aria davanti al portone com’era accaduto alla buon’anima di Rocco Chinnici, chi l’avrebbe pagato il conto per rifare l’intonaco alla facciata?
Andreotti, ormai prossimo a rendere conto a chi di dovere delle proprie verità e delle proprie menzogne, ha detto solo quello che pensa e che ha sempre pensato. Su Ambrosoli e su quanti hanno ritenuto, in questi anni, di dover mettere la vita al servizio della propria onestà intellettuale. Nella miseria di quelle sue parole, è stato sincero. E adesso possiamo girarci attorno quanto vogliamo, ma sappiamo che sono due idee di Italia inconciliabili tra loro: da una parte l’ex presidente del Consiglio, dall’altra Ambrosoli e quelli come lui.
In mezzo ci siamo noi, notai del nulla, pronti sempre a distinguere, a comprendere, a spiegare che è vero ma anche, ad ammirare i furbi, a sorridere di complicità su ogni volgarità, a maledire i Palazzi in attesa d’essere invitati a pranzo anche noi. E a trovare sempre un pretesto per parlar d’altro, per indignarci d’altro, per cambiare canale.
Non mi convincerete a chiamarlo senatore, il signor Andreotti. Né in questo pezzo né mai. Sono quelli come lui i veri clandestini della repubblica, non i nigeriani che sbarcano a nuoto sulle nostre spiagge. In fondo ce la siamo cercata anche noi, facendo finta per tutti questi anni che quelli come Andreotti siano stati davvero padri della patria. Non certo la nostra patria, non certo la mia patria.