Il signor U non ha un Padre poiché prima di lui non esisteva il Cosmo, figuriamoci un Padre. Ciò spiega ma non emenda. Di cosa si vorrebbe emendare domanda il Coro? Dell’incapacità di amare un figlio. Dell’incapacità di essere a sua volta un Padre.
Solo una Madre, la signora G, esisteva prima di lui e ancora esiste.
Non disponendo di un modello genitoriale maschile, il signor U non ha idea di come si faccia a fare il Padre. Ciononostante decide di diventare Padre. Poiché non esistono fanciulle o signore da fecondare tranne la signora G (che ricordiamo essere sua Madre), feconda proprio la signora G. Irrorandola di sé.
A margine si può dire l’ami o simuli afflato compatibile. Probabilmente simuli.
La signora G, preventivamente irrorata del signor U, genera gli Ecatonchiri. Li chiama Briareo, Cotto e Gige. Hanno cento braccia e cinquanta teste ciascuno. Tutti e tre sorprendentemente (persino in quanto Ecatonchiri) alti e corpulenti. La signora G, a questo punto, si riposerebbe volentieri. Ma il signor U insiste per fecondarla nuovamente irrorandola di sé. Lo fa a sorpresa mentre lei accudisce gli Ecatonchiri nella fattispecie interessati a tre esclusive cose: suzione, lallazione e gattonamento. La signora G, percepitasi irrorata dal signor U, reagisce scomposta: fa vorticare attraverso il Cosmo pannolini e biberon destinati a collidere con galassie sventurate.
La signora G, inaspettatamente irrorata dal signor U, genera suo malgrado i Ciclopi. Li chiama Arge, Sterope e Bronte. Ciascuno di loro dispone di un unico occhio collocato in mezzo alla fronte. Ciascuno di loro rinuncia volentieri alla visione stereoscopica e ai film in 3D presso i chiassosi multisala del pianeta. Ciascuno di loro sa, in cuor suo, che rispetto agli altri esseri trascorrerà la metà del tempo a scaccolarsi gli occhi al risveglio. Circostanza apprezzabile.
Al signor U non vanno a genio i figli Ciclopi. Troppo nerboruti. Troppo volitivi. Troppo monoculari. Soluzione: li mette in catene e li getta nel Tartaro, ovvero nelle viscere della signora G da cui provengono. La signora G tollera malvolentieri ma la quiete domestica richiede sacrifici e lei li fa. Almeno sino a quando il signor U non decide a suo rischio e pericolo di fecondarla nuovamente. Lettore versati superalcolico che ci vuole.
Quando il signor U propone alla signora G di stare ferma cosicché lui possa irrorarla ulteriormente di sé, la signora G sorride e dice, sorprendendolo e sorprendendoci, “Va bene caro” e poi “Come vuoi tu tesoro”. Adesso sta ferma. Lui la irrora di sé. Lettore versatene ancora un po’ che adesso ci vuole proprio.
La signora G, lasciatasi sorprendentemente irrorare dal signor U, genera consenziente i Titani. Li chiama Oceano, Ceo, Iperione, Crio, Giapeteo, Abseto. Genera inoltre le Titanidi. Le chiama Tethys, Rea, Temi, Mnemosine, Febe, Dione e Tia. Genera infine, e soprattutto, il signor K. Cessa lettore di arrovellarti su quel “e soprattutto”: egli è destinato a un ruolo non secondario nella vicenda. Ecco qui.
Utile digressione tassonomica. Orchiectomia: intervento chirurgico finalizzato all’asportazione di uno o entrambi i testicoli. Insieme al testicolo vengono asportati anche l’epididimo e il tratto prossimale dei funicolo spermatico. Dettagli irrilevanti.
La signora G distribuisce anche questa settimana la paghetta a tutti i figli ma al signor K consegna, in luogo dei consueti spiccioli di dracma, una falce dentata. Subito dopo gli sussurra qualcosa nell’orecchio. Quando il signor U si avvicina alla signora G intenzionato a fecondarla (non ce lo saremmo mai aspettato da lui!), il signor K lo sottopone a orchiectomia. L’utilizzo di un lessico tecnico-scientifico ci esenta dal sottoporre il testo a commissioni di censura o analoghe istituzioni deputate a tutelare minori e baciapile.
A questo punto il signor K subentra al signor U scorazzando nel Cosmo e facendovi il bello e il cattivo tempo come più gli aggrada. Si fidanza con la signora R (sollevando la madre, signora G, dall’essere coinvolta in ulteriore incombente incesto) e la irrora di sé allo scopo di fecondarla.
A margine si può dire l’ami o simuli afflato compatibile. Probabilmente simuli.
Poiché il signor U come modello genitoriale maschile non è stato granché, suo figlio il signor K, appena nascono Istie, Demetra, Era, Ade ed Enneosigeo, li divora. Il fatto che la nonna dei pargoli, la solita signora G, avesse insinuato che uno dei suoi nipotini avrebbe spodestato il signor K, contribuisce a innervosire quest’ultimo.
Ma la signora R è furba e partorisce di nascoso l’ultimogenito, il signor Z. A Lycto. Quando il signor K seduto davanti alla TV le chiede di condurre a lui il figlio tanto per fare uno spuntino, lei gli dà una pietra infilata dentro un pannolino e lui la mangia senza accorgersi dell’inghippo.
Lieto fine. Quando il signor Z cresce si innervosisce, va a cercare il padre, lo piglia e gli fa vomitare tutti suoi fratelli divorati e digeriti. Innanzitutto fa vomitare al signor K la pietra, poi il resto.
A parte le frequentissime avventure erotiche extraconiugali, il signor Z sarà un discreto padre. Nonostante il signor U, il signor K e i documenti depositati da un avvocato divorzista presso il tribunale di Alicarnasso, egli indubbiamente lo è.
Epilogo edificante. Il signor K da vecchio soffre di ipertrofia prostatica benigna che procura ostruzione del dotto uretrale e conseguente blocco della minzione cui si rimedia cateterizzando il signor K con veemenza tale da causare emorragia tenace. Il signor Z, seduto presso il padre ricoverato in Urologia pre-olimpica, vuota il sacco: “Io ti guardo soffrire mentre soffri. Io ti guardo pisciare sangue mentre pisci sangue da un catetere di gomma e ti contorci pronunciando gemiti ancestrali creati prima del linguaggio. Io ti sono accanto e ti assisto come figlio fa. Sposto la sacca di plastica piena di piscio e sangue assecondando i tuoi movimenti. Ti sbuccio la mela. Ti distraggo dal dolore e dal tedio ospedaliero narrandoti delle gesta dei Titani tuoi fratelli, che ho sconfitto senza sforzo eccessivo prima di colazione. Ti compro il cioccolato della macchinetta automatica e te lo do affinchè addolcisca la tua bocca intonacata di secco catarro. Io bacio le tue guance e lavo il tuo collo. Io lavo le tue vesti impregnate di sangue e urina. Sono io stesso impregnato di sangue e urina di un Padre che non è mai stato mio. Di un Padre che non è mai stato Padre. Di un dio che non è mai stato altro da un dio. Il Coro domanda perché io ti sia accanto e perseveri nell’assisterti. Il Coro domanda perché io ti stia perdonando, ti perdoni, ti abbia perdonato. Il Coro ignora quando sia accaduto allora coniuga a tappeto. Che tu non abbia mai saputo cosa fosse un padre è il motivo che scelgo. Tu, il tuo Padre che prima di lui non ebbe Padri, non potesti perdonarlo. Il Coro domanda ancora poiché al Coro spetta domandare. Quello fa. Ora domanda come io possa essere discreto Padre o Padre tout court se a tua volta tu non lo fosti. Ora che vieni privato della virilità dal catetere e dal Lasix come imponesti a tuo Padre con la falce dentata. Giunge la risposta. Nel perdono trovo il motivo. Perdonando te trovo il Padre che è in me. Perdono il tuo non essere Padre. Me stesso per averti annientato. Ora posso diventare padre. Minuscolo ma autentico. E, se vuoi, posso diventare anche il tuo.”