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Il signore delle mosche

Creato il 02 settembre 2014 da Elgraeco @HellGraeco

 

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Ieri mi è capitato di rivedere Il Signore delle Mosche (1990).
Cos’è il Signore delle Mosche, in breve?

Tratta di un gruppo di ragazzini naufragati su un’isola disabitata che, a dispetto dell’iniziale volontà di regolamentare la loro neonata società coi dettami del vivere civile, si lascia sopraffare dalla prepotenza, dalla superstizione, dalla paura, precipitando, nel giro di poche settimane, a uno stato d’esistenza selvaggio e violento.

Cose che succedono.
Non mi dilungherò sulla bellezza del film, su quella ancora superiore del romanzo di Golding, anche se ammetto di avere l’intenzione di recuperare il film del 1963 e, magari, di trattarlo qui sul blog alla vecchia maniera.

 

Sta di fatto che ieri, per la prima volta, mentre osservavo l’escalation di violenza folle che inonda le giovani menti, fino al cieco furore, non ho potuto non instaurare un paragone immediato con internet e le sue lande selvagge.

Come dice Silvia, Il Signore delle Mosche è, in nuce, un’analisi del bullismo, nei minuti iniziali, in cui Piggy, il ragazzino ciccione e occhialuto, diviene bersaglio “naturale” del prepotente di turno, il belloccio Jack, subito spalleggiato dalla cricca di gregari dalla personalità informe, che si limita a fare massa.
Solo dopo, l’opera diventa analisi assoluta della specie umana.
Una specie selvaggia, manipolabile, violenta e suggestionabile.
Complimentoni.

Ma torniamo al bullismo. Esso presuppone due estremi, prepotente e vittima, e in terza istanza la massa, che congiunge i primi due, il pubblico necessario affinché il bulletto possa farsi bello ai danni del brutto e paffuto. E il pubblico riderà delle azioni del primo e delle lacrime del secondo.

Tra l’altro, per fini puramente estetici, è intrigante notare come, alla prima assemblea indetta sull’isola, tramite suono della conchiglia (il temporaneo possesso della quale garantisce libertà d’espressione), il primo dei ragazzi che rinuncia alla sua uniforme (e quindi, simbolicamente, ai vestiti, al simbolo stesso del vivere sociale), sia proprio Jack (Jack, o meglio Chris Furrh, che si ritirò dalla scene proprio nel 1990, finendo poi per aprire un anonimo profilo facebook, come tutti, dove figura ipertatuato; ma questa è un’altra storia).

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La violenza sull’isola va di pari passo col sonno della ragione. Il sonno della ragione genera mostri (cit.).
Il Signore delle Mosche, dall’essere un mero corpo in decomposizione, diviene creatura mitologica che acquisisce i contorni leggendari del mito, quando gli stessi individui che, settimane prima, ancora incontaminati dalla paura, avrebbero riconosciuto in lui un semplice essere umano, ne fanno idolo totemico, spirito, mostro (monstrum = prodigio).
La giungla si popola di mostri.
La ragione si spegne.
L’isola, da essere una semplice isola, comincia a fare paura per la propria stessa natura (“Non la trovi strana, quest’isola? Non ti fa paura?”).

La portata di questo ragionamento si riesce soltanto a intuire, considerando la giovane età dei protagonisti della vicenda. Menti meno razionali, meno lucide, e quindi destinate a regredire con velocità, sotto i colpi di un leader arrogante.
Vecchia, vecchissima storia. È sempre quella.

E se la violenza letale si manifesta dapprima nel delirio generalizzato, quando i ragazzini uccidono uno dei loro, colpevole di non essersi fatto riconoscere subito, e poi nel consapevole abbattimento dell’ultimo residuo di civilizzazione (la suddetta conchiglia), tramite una roccia scagliata sulla testa di Piggy, in internet il fenomeno si ripropone attraverso schermi e tastiere, nelle medesime forme.

C’è il bulletto che fa la voce grossa. Di solito un blogger.
C’è la vittima.
C’è il pubblico, che provvede senso e significato al tutto. Insieme artefice e destinatario del fenomeno, che si esalta lasciando commenti infuocati.
E c’è il sonno della ragione.

E credetemi, la ragione dorme, quando si augura a qualcuno la morte tramite internet, tramite malattie incurabili e altre delicatezze di sorta.

Manca, a noi altri, soltanto il Signore delle Mosche. Ci manca un simbolo. Qualcosa che venga reinterpretato (o meglio frainteso) e caricato di significati esoterici, qualcosa che scuota le nostre menti per poi intorpidirle.
O forse c’è già, lo adoriamo tutti. Chissà…

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