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Il silenzio cura molti mali

Da Marcofre

“Ciò nondimeno” e “conformemente a ciò” li hanno inventati i funzionari. Io leggo e sputo dallo schifo.

 

Di certo Anton Cechov non era uno che girava attorno alle cose; amava parlar chiaro.
Ai suoi tempi c’erano i funzionari; anche adesso va di moda un modo di parlare (quindi di scrivere, e di pensare) ampolloso e insulso. Oltre a questo, c’è la televisione, certo.

Però, quando affermo che la parola viene spesso usata per allontanare, invece che avvicinare, a che cosa diavolo mi riferisco?

In uno dei suoi colloqui radiofonici lo scrittore Giuseppe Pontiggia fa un esempio illuminante. Cita il modo di parlare di quanti dicono:

 

Signor imbianchino.

 

In apparenza è tutto molto educato e corretto, esattamente come si deve, e come i tempi richiedono. In realtà è un distillato di apartheid. Si finge di voler elevare (elevare da cosa? Non si tratta di una persona che lavora? E se anche non lavorasse, resta sempre un individuo, giusto?) una persona al rango di signore, e però non si riesce affatto a dimenticare la sua condizione lavorativa che si percepisce inferiore.

Anzi, la si sottolinea in questo modo, si marca una distanza tra chi parla e ascolta. Ecco quindi la parola usata per separare.
Sarebbe sufficiente chiamare questa persona:

 

Signore

 

Mi rendo conto che spesso si scivola in questo errore senza nemmeno rendersene conto. D’accordo, ma questo dimostra solo che l’omologazione ha svolto un ottimo lavoro. Ogni società cerca sempre di darsi un ordine, direi che è inevitabile. Uno degli strumenti più utilizzati è appunto la parola; basta leggere 1984 di George Orwell per capire quanto sia vitale il controllo della parola per dominare.

Non serve dire che quella era una società totalitaria, e questa è libera. Questa non è niente, finché le persone non decidono in qualche maniera di darle un senso. Spesso lo fanno adeguandosi, quindi “Signor imbianchino” a manetta.

Un autore come Cechov, o Orwell, comprendono al volo (o quasi) la trappola, e riescono a evitarla. L’obiezione che recita:

 

“Bisogna parlare in modo semplice, perché i lettori ci intendano”

 

è aria fritta. Quello che sembra un nobile intento è solo la volontà di mantenere le distanze.

Quando si scrive bisogna comunicare in modo semplice, e anche quando si parla. E chi comunica ha già la consapevolezza che si gettano ponti, si avvicinano le persone. Ovvio che poi costoro spesso non ci badano affatto. Perché non interessa loro un accidente, oppure perché non si rendono conto di vivere in una realtà fasulla. Di questa si percepisce qualcosa quando si finisce sotto la ruota.

In parte ecco spiegato il mistero di certa letteratura (quella che resta attraverso i secoli): parla delle erbacce perché loro conoscono davvero il motore che spinge tutte le cose. Ed è un motore che non ha molti riguardi se sei erbaccia, ma ti riempie di attenzioni se sei Obama o Lady Gaga.

La semplicità infatti non vuol dire “parla come mangi”, ma scovare le parole in grado di raccontare con efficacia la realtà. Quindi “ciò nondimeno” va a quel paese, ma anche il signor imbianchino e tutto quel vocabolario composto da frasi fatte, cliché. E se a un certo punto non sai cosa dire o cosa scrivere, non preoccuparti. Il silenzio cura molti mali.


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