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E ora silenzio. Finalmente! Non se ne poteva più. Il circo sta per smontare le tende, le curve dello stadio si stanno svuotando, i protagonisti si prenderanno un paio di giorni di riposo. Da lunedì, si ricomincia con i commenti post-elettorali. Le consuete dichiarazioni con le quali tutti si dichiareranno vincitori e nessuno ammetterà la sconfitta. Nell’attesa, abbiamo assistito all’ennesima conferma di quanto triviale sia diventato il dibattito politico in Italia. In barba alle quotidiane esortazioni al fair play fatte dal presidente della Repubblica. È proprio il caso di dirlo: in cauda venenum. Lo ha sperimentato sulla propria pelle il candidato a sindaco di Milano per il centrosinistra, Giuliano Pisapia, per bocca della rivale Letizia Moratti, trasformatasi in una Santanché qualsiasi pur di sputare fango e falsità sull’avversario, all’ultimo secondo per impedirne la controreplica. Da manuale. Talmente abnorme nelle accuse da suscitare l’imbarazzo e i distinguo di diversi esponenti del suo stesso schieramento. L’impressione è che l’unico a godere nel clima arroventato di questa chiusura di campagna elettorale sia proprio Berlusconi, che da anni trascina imperterrito il Paese nel gorgo in cui soltanto lui riesce a sguazzare beato. Prima ha riproposto il tema sempreverde della spazzatura napoletana, per la quale sarebbero colpevoli nientemeno i giudici. Un buffetto, in confronto alla dichiarazione che qualche giorno addietro aveva scatenato un putiferio (“un cancro da estirpare”). Quindi si è catapultato a Crotone per tirare la volata a Dorina Bianchi e ha sferrato l’ennesimo attacco alla costituzione, rea di prevedere pochi poteri per il presidente del consiglio e molti per il capo dello Stato. Le considerazioni politiche si sono concentrate sulla scarsa cura dell’igiene personale tipica dei comunisti, ma non hanno toccato l’arcinota barbarie della preferenza dei rossi per lo stufatino di bambini innocenti. Ha inoltre squadernato l’abusato libro dei sogni, anzi delle ricette cucinate in salsa pitagorica: aeroporto, statale 106, porto. Per ripetere la cantilena già sentita a L’Aquila e a Lampedusa mancavano il casinò, l’ospedale, il campo da golf e l’acquisto di un palazzo storico. Ribadita, ovviamente, la responsabilità di Fini e di Casini sull’inazione dei suoi governi, per il tripudio del Palamilone e l’imperturbabilità della candidata a sindaco. D’altronde, quella vecchia volpe di Loiero, uno che di migrazioni se ne intende, ha vaticinato il prossimo approdo della deputata Udc al Pdl. Per comprendere a cosa si sia ridotta la politica è sufficiente leggere il “fuori onda” riportato da Fabrizio Ronconi sul Corriere della Sera: “Siamo fuori intervista, no? Beh, allora, scusi: tra Cesa e Berlusconi, secondo lei, chi è che mi riempie un palazzetto dello sport, eh?”. Chissà, tra qualche anno si potrebbe arrivare a tenere le elezioni con il televoto, dopo tre mesi di convivenza dei candidati all’interno della casa del Grande Fratello. La campagna elettorale rappresenta uno dei rari momenti in cui i politici, ricordandosi che in fondo allo stivale esiste una regione, fanno un po’ di ipocrita passerella. Per dire, hanno fatto la loro apparizione anche il ministro dell’economia Tremonti, finito dietro la lavagna dopo essere stato colto impreparato sulla questione del porto di Gioia Tauro, e quello della pubblica amministrazione, Brunetta, che addirittura si è autoproclamato “ministro della Calabria”, senza che nessuno degli astanti scoppiasse in una fragorosa risata. Osservazione finale (e scontata): le vicende locali sono per lo più passate in secondo piano e il voto, da amministrativo, si è trasformato in una verifica politica del governo (la ricerca di un nuovo equilibrio tra Pdl e Lega), ma soprattutto nel solito referendum pro o contro Berlusconi. Il terreno sul quale il premier riesce a dare il meglio di sé. O il peggio.
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