a cura di Dale Zaccaria
Iole, da poco è uscito il suo libro “ Il sistema culturale mafioso” edito da Bonnano, come nasce questo lavoro?
Il lavoro nasce da una ricerca commissionatami nel 2009 dal CE.S.A.P.S. (Centro di Studi di Azione Politica e Sociale) di Catania, centro per il quale lavoro dal 2005 in qualità di responsabile del Settore Ricerca. All’origine la ricerca era alquanto corposa ed è stata successivamente ridotta per una versione editoriale che permettesse una lettura scorrevole, non appesantita da tanti riferimenti e citazioni, soprattutto a carattere storico.
Il titolo racchiude in sé un aspetto importante, ovvero la mafia in quanto sistema, si potrebbe dire quindi che mafia e mafiosità vivono attraverso più agenti, persone, gruppi, appunto in quanto sistema.
Ha colto esattamente il centro del problema. C’è, a mio avviso, una interrelazione costante fra le diverse parti sociali e fra queste e l’ambiente sociale e politico in cui si ritrovano ad operare. Ciò significa, in poche parole, che la mafia (in quanto organizzazione), i mafiosi (in quanto persone) e la mafiosità (in quanto cultura della prevaricazione) agiscono da agenti inquinanti della società nel suo complesso e costringono anche la parte più sana della società in un circolo vizioso in cui non è possibile una vera forma, libera e democratica, di gestione della cosa pubblica.
Come pensi e quali ritieni siano i modi per combattere la mafia, la mafia intesa anche come pensiero, come modalità culturale appunto.
Cambiare la cultura di una società non è facile, soprattutto quando un modello si rivela vincente nei confronti di traguardi materialistici, quali i soldi e il potere. Più volte mi sono ritrovata ad auspicare una “presa di coscienza” da parte degli individui singoli e/o associati ma solo eventi eccezionali, quali alcuni sanguinosi delitti di mafia che hanno colpito magistrati e forze dell’ordine, hanno permesso, per brevi periodi, di elevare i cuori verso più nobili ideali. Col tempo, tutto passa nel dimenticatoio e non sconvolgono gli animi neanche i discorsi più recenti sulle trattative Mafia-Stato. Tra l’altro, non si guarda indietro alla Storia per scorgere i prodromi dello stato attuale in cui versa la società civile e per prefigurare un futuro migliore. L’alienazione forzosa, operata dall’ambiente, allontana da questo impegno attraverso strategie di distrazione di massa. Combattere la mafia, intesa come modalità culturale, si rivela una partita difficile: il singolo può lavorare su se stesso per cambiare il proprio modo di essere e migliorarsi ma sa che cambiare gli altri è impresa ardua per non dire impossibile. Solo con l’esempio si può ottenere qualcosa e questo è il compito che ogni educatore dovrebbe assumersi nei confronti di ogni piccola anima in cammino. La scuola, tuttavia, può fare ben poco in quelle realtà, degradate da un punto di vista sociale, dove per i bambini è normale avere un papà delinquente, spacciatore o killer. Queste famiglie, per le quali il delitto è l’unico mezzo per vivere, per fare soldi e per mettersi in evidenza così da ascendere lungo la scala sociale “mafiosa”, hanno nella donna l’agente riproduttore del sistema mafioso medesimo di cui i ragazzi ne sono vittime inconsapevoli che vengono educate al crimine, come se fosse la cosa più normale di questo mondo.
Oggi sembra che il sistema mafioso sia entrato ovunque, la cosa forse più grave vive nella testa della gente: raccomandazione, clientelismo, non meritocrazia, talenti in fuga, sintomi di questo modus operandi sociale, cosa ne pensi?
Il sistema in cui viviamo condiziona la gente con i metodi tipici della cultura della prevaricazione: chi ha “amici” va avanti, avere capacità di qualsiasi tipo è ininfluente per riuscire nella vita a meno che tali capacità non siano rivolte ad operare nella alegalità se non proprio nella illegalità. Ieri parlavo con un anziano medico che, per sfuggire al sistema clientelare e baronale della nostra sanità, ha trascorso quarant’anni negli U.S.A. e adesso che è in pensione ha deciso di tornare in Italia per svolgere funzioni legate al sociale. Va in giro facendo conferenze in cui parla di etica, meritocrazia, pace. Vent’anni fa, personalmente, ho scelto di non partire e devo confessare che è diventata una scelta quasi insostenibile nell’Italia di oggi. Cerco di fare quanto posso e, soprattutto, del mio meglio per formare giovani e meno giovani alla cultura di una legalità eticamente corretta, sostenibile da un punto di vista sociale e ambientale.
La mafia o la mafiosità ribalta i valori, educa il mondo alla sopraffazione dell’altro, alla prepotenza, pensi che la scuola abbia delle responsabilità in tal senso? In quanto appunto veicolo educativo.
La scuola così come è attualmente strutturata fa quello che può ma più che all’educazione mi sembra dedita all’istruzione. Le maestre, ad esempio, soprattutto nei quartieri a rischio delle grandi città, non hanno mezzi per contrastare la cultura della sopraffazione. Ne andrebbe della loro sicurezza personale e verrebbero meno quei piccoli benefits derivanti dall’avere il figlio del mafioso in classe (tipo ritrovare l’auto rubata in meno di 24 ore, et similia). D’altronde come potrebbero delle maestrine impedire l’irruzione di uomini armati nella scuola per prelevare il figlio del boss all’orario di fine lezione? Non se ne parla nemmeno di avvisare le forze dell’ordine perché avrebbero ritorsioni. Spesso ripenso a quel vecchio film con Arthur Scharzheneigger “Un poliziotto alle elementari”, perché se la polizia mettesse tra il corpo docente dei poliziotti se ne scoprirebbero delle belle.
Non pensi che bisognerebbe iniziare a come dire “uccidere” metaforicamente parlando, la mafia presente ad esempio all’Università attraverso la formula del baronaggio, e quanto leggi e governi possono sanare questa situazione?
Il baronaggio nelle Università è la cosa, forse, meno grave che colpisce il nostro Paese ma si potrebbe cominciare giusto da quello per dare un colpo di coda a questa crisi, oramai decennale, del sistema economico e sociale italiano. Un tempo le nostre Università erano tra le migliori al mondo. Oggi, non più. Leggi più giuste, eque e solidali per la maggioranza dei cittadini invece che ad personam potrebbero fare il resto. Comunque sia, credo che non si deve uccidere la mafia ma trasformarla o, almeno, darle modo di trasformarsi, attraverso una specifica presa di coscienza, in qualcosa di meglio rispetto a quello che oggi è.
Mafia e stato sembrano coincidere. Le istituzioni non sembrano essere specchio di onestà e correttezza. Storia lontana, di mala-politica decennale, oggi pensi con l’attuale situazione politica qualcosa possa cambiare?
Se lo Stato eliminasse quelle sacche di povertà in cui pesca la mafia per arruolare individui da utilizzare per i suoi sporchi traffici ed eliminasse quelle sacche di degrado, sociale e culturale, in cui versa una parte della popolazione, resterebbe da “redimere“ solo quella parte di “società civile”, frutto degli ultimi centocinquant’anni di storia italiana: quella che discende dai notabili ottocenteschi e dai loro sottoposti che hanno fatto strada e carriera. Non dimentichiamoci che i figli dei mafiosi hanno studiato come i figli dei notabili, si sono laureati, hanno fatto carriera, soprattutto politica, oramai da generazioni. Oggi si parla di mafia “pulita” e il termine dovrebbe farci riflettere. Quelli che ci mostrano in televisione come i capi dei capi, non sono altro che sottoposti, strategicamente utili a mantenere una immagine costruita ad hoc di un fenomeno gestito da alte sfere e colletti bianchi. Per quanto venti di novità sconvolgano la politica odierna, presto nuovi equilibri saranno attuati e dipende solo da tutti noi il risultato finale.
Avendo parlato con Iole del sistema letterario mafioso ripropongo un articolo denunciando nuovamente. C’E’ CHI LA CREDE LETTERATURA IO LA CHIAMO MAFIA LETTERARIA.
La mafia è un fatto umano diceva Giovanni Falcone e in quanto fatto umano è prodotto da umanità, da persone. Ora spesso queste umanità sono persone arriviste, false, prepotenti e senza scrupoli. La prepotenza è un tipico atteggiamento mafioso poi. I Badalamenti insegnano e non solo. Come dice Dario Fo in un recentissimo articolo su l’Unità ” più nessuno al suo posto” tipico del prepotente invece prendere posti non propri, o come dice ancora meglio la Gabanelli ” poi questi si allargano” o meglio fanno e dicono cose che non sono di loro competenza. Ecco un’altra cosa tipicamente mafiosa: l’incompetenza, non si accettano competenze sul territorio mafioso, non si accettano professionalità, nel territorio mafioso vige la regola del controllo (dei territori quindi anche quelli letterari) vige la regola della svalutazione ( come la svalutazione o meglio la distruzione del territorio messo in atto con l’abusivismo edilizio) vige una sorta di medioevo, che io chiamo basso evo letterario in questo caso.
La mafia poggia poi le sue basi o meglio la sua forza su la quantità non certo sulla qualità. La quantità di rapporti che si creano e si intessono come una grigia ragnatela di favori, scambi, occupazione di luoghi e di ruoli. Poi magari qualche rapporto qualche filo si spezza e subentra il ricatto. La mafia è un sistema quindi dato da fattori numerici, da numeri, da persone. Persone legate da rapporti mafiosi quindi, rapporti non di qualità appunto. E così anche nel sistema letterario esistono una serie di numeri o di persone che spesso rappresentano gruppi che si muovono per il controllo del territorio e che si muovono e agiscono su quanto detto sopra.
Il sistema è medievale appunto. Abbiamo critici Re legati ovviamente alle università che rappresentano in maniera equivalente il baronaggio segue da buona partitura clientelare, la protetta o i protetti, seguiti a sua volta da faccendieri ruffiani al servizio e da una serie di cortigiani pronti a dare plauso e a gettare fiori e tappetti rossi, sarebbe buono se si gettassero loro. Un sistema appunto. Un fatto numerico. Fatto da più persone. Nel fare confusione i mafiosi sono bravi, a volte mettendo bombe altre volte semplicemente abusando di termini come “nuovi mistici dalle laicissime visioni” dicendoselo da sé in maniera barbara autoreferenziale e offendendo anche la cultura come se Theresa D’Avila per citarne una di mistica fosse dopobarba. La mafia penetra nell’ignoranza è lì che sta, e come dice la mamma di Peppino Impastato ” studiate perché solo con la cultura si combatte la mafia” perché la mafia uccide la cultura. La nega. Così il territorio si controlla. Nell’ignoranza. Nell’incompetenza. Ora non mi stupisco se la protetta me la ritrovo ad un Festival Letterario perché proprio quel festival chiedeva a me nomi/conoscenze da fare per portare un progetto che ovviamente non è che mi si valutava il progetto ma c’era bisogno di un nome e cognome che io ho fatto, dopodiché mi è stato confermato la possibilità di essere in certi luoghi, ma dopodiché ancora io non usato quel nome e cognome e il mio progetto me lo sono portato altrove in luoghi magari meno come dire “letterari” ma più umani. Perché la mafia è appunto un fatto umano. So benissimo che c’è un sistema mafioso letterario, lo conosco, l’ho visto, e me ne tengo lontana, come se fossero la peste, perché la mafia è la peste. Uccide. Uccide vita e futuro.
Per denunciare quello che io so utilizzo la satira come in poesie in forma di satira metaforizzando nomi e personaggi reali che magari vi capiterà di incontrare ( e non ve lo auguro) perché infondo la satira smaschera, ti da la possibilità di un riscatto da certe prevaricazione, che appunto i mafiosi prepotenti compiono. Brutto dirlo ma la mafia è oramai un sistema culturale, appunto un fatto umano, ma se come diceva Falcone proprio come fatto umano è destinato a morire, bé spero che muoia presto, perché non né poesia né letteratura è mafia letteraria.