Magazine Politica

Il “Sistema Italia” e l’America Latina

Creato il 27 marzo 2013 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
Il “Sistema Italia” e l’America Latina

La pubblicazione degli atti del convegno “America Latina: tentativi di unità”, tenutosi il 21 gennaio a Roma presso la Sale delle Colonne di Palazzo Marini, Camera dei Deputati, su iniziativa dell’IsAG, prosegue coll’intervento di Francesco G. Leone, direttore del programma “America Latina” e ricercatore associato del programma “Sistema Italia” dell’IsAG. Di seguito testo e video del suo intervento.

 

L’IsAG ha due programmi di ricerca che studiano l’area latinoamericana: uno chiamato “Sistema Italia” e l’altro denominato, appunto, “America Latina”. Sulla base di questa distinzione, si è deciso di suddividere la presente relazione in due momenti. All’inizio saranno evidenziati alcuni aspetti controversi non solo del nostro sistema produttivo ma anche delle politiche commerciali adottate nei confronti dell’America Latina e, successivamente, saranno illustrate le ricerche inerenti la regione. Vediamo ora nel dettaglio entrambi i punti.

Il “Sistema Italia” e l’America Latina

La normativa relativa al commercio con l’estero e quella riguardante l’internazionalizzazione delle imprese italiane spesso collidono, creando confusione. Il Report n° 5 dell’IsAG del mese di gennaio 2013 intitolato La disciplina pubblica in materia di internazionalizzazione delle imprese italianeha evidenziato questa antinomia, ossia che il legislatore ha affidato il compito di dare supporto all’internazionalizzazione contemporaneamente a più soggetti. Tale contraddizione ha dato origine ad una paradossale sovrapposizione dei compiti assegnati ai vari enti pubblici, associazioni di categoria, aziende speciali e società per azioni «costrette» ad operare, non solo dalla legislazione vigente, ma anche dai propri statuti e regolamenti nello stesso settore, quello dell’internazionalizzazione delle imprese e del commercio con l’estero.

Infatti l’intero comparto che si occupa della promozione all’estero, estremamente stratificato a livello statale, regionale e locale, è divenuto col passar degli anni troppo oneroso e scarsamente competitivo. Il mercato si evolve. Nuove realtà commerciali stanno emergendo. E l’Italia sembra inerme, ostaggio delle sue leggi e contraddizioni. Il «Sistema Italia», secondo avviso dello scrivente, resterà «inceppato» fino a quando non sarà snellita la burocrazia e fino a quando non saranno concesse effettive agevolazioni creditizie alle piccole e medie imprese che vorranno internazionalizzare. Queste ultime sono, lo ricordiamo, le vere e proprie fondamenta dell’apparato produttivo italiano e cuore pulsante delle nostre esportazioni.

La soppressione dell’ICE, ex Istituto nazionale per il commercio estero, ora Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane, avvenuta con decreto legge e senza procedura di liquidazione, ha paralizzato quasi totalmente le attività di promozione e sostegno alla piccola e media impresa durante quasi un anno, cioè dall’inizio del secondo semestre 2011 fino alla fine del primo semestre 2012. Ovviamente diverse attività furono cancellate, molti programmi sospesi e tante altre iniziative bloccate fino a quando non si è conclusa la cosiddetta «gestione transitoria» che portò alla nascita dell’agenzia. Appare chiaro, a quasi due anni da quel fatidico 6 luglio 2011, data dell’approvazione del Decreto Legge n. 98, che l’affrettata decisione di sopprimere l’ICE è stata presa in controtendenza rispetto ad una politica di Stato export oriented soprattutto in un momento di forte congiuntura negativa globale, di debolezza istituzionale e con la crisi ormai alle porte. Ricordiamo che l’ICE, con la sua estesa rete estera costituita principalmente da trade analysts reclutati sul posto, con il suo ufficio studi multidisciplinare, ma soprattutto, grazie al suo approccio «microeconomico», non offriva i suoi servigi ai soli «consociati», ma ad una variegata cerchia di soggetti pubblici e privati, prevalentemente composto da piccole e medie imprese.

L’approfondimento n° 46 del 2012, a cura dell’Osservatorio di Politica Internazionale della Camera dei Deputati, dal titolo L’Italia e l’America Latina. Insieme verso il futuro, oltre ad auspicare “(…) un’intensificazione dei rapporti politici ed economici con una delle aree più dinamiche del mondo” spiega che “il commercio tra Italia e America latina (…) non corrisponde all’effettiva importanza dei paesi della regione sotto il profilo dell’internazionalizzazione delle imprese italiane, molte delle quali giocano ormai un ruolo prioritario nell’economia del sub-continente”. L’approfondimento continua sottolineando come l’Italia sia divenuta “(…) solo il nono mercato per l’America latina e quest’ultima incide sull’interscambio commerciale complessivo del nostro paese con una quota appena superiore al 2%”.

Sono ormai dieci anni che l’Italia ha collocato al centro della sua agenda politico-istituzionale i paesi dell’America Latina. Precisamente nell’anno 2003 si è tenuta la prima conferenza «Italia – America Latina» con l’obiettivo di rilanciare non solo le relazioni politiche ma anche quelle economiche. Da allora, ogni due anni, alternativamente fra Roma e Milano, i rappresentanti italiani interagiscono direttamente e senza intermediari con i loro omonimi latinoamericani. Orbene, oltre a questo importante traguardo politico, certamente significativo, non possiamo non menzionare il legame, come dire, «sanguineo», dovuto principalmente alla capillare presenza delle comunità di connazionali soprattutto in Argentina, Brasile, Venezuela, Cile e Messico e del cospicuo numero di politici latinoamericani di origini italiane che siedono nei rispettivi parlamenti nazionali. Siamo in presenza di una potenziale «lobby» al servizio dei supremi interessi dell’Italia che potrebbe essere coinvolta, a vario titolo, nelle attività di promozione del Made in Italy.

Ciò posto, la domanda sorge spontanea. Perché nonostante aver raggiunto traguardi politico-culturali così significativi le esportazioni italiane in America Latina non decollano? Perché l’Italia si accontenta di una quota di mercato pari al 2%? Facciamo il paragone con altri paesi europei. La Spagna, ad esempio, durante gli anni ’90, diede vita ad una strategia commerciale molto aggressiva che portò nelle casse di Madrid un discreto successo: ingenti profitti a seguito della privatizzazione selvaggia del patrimonio pubblico latinoamericano. Erano gli anni del «Consenso di Washington» e le privatizzazioni avrebbero aiutato i paesi latinoamericani ad affrontare la crisi del debito pubblico. Almeno così dicevano i fautori del Consenso.

In realtà i governi latinoamericani furono costretti a garantire gli investimenti stranieri concedendo alle imprese privatizzate vaste aree geografiche, comprendenti la relativa utenza, in cui poter esplicare una vasta gamma di servizi pubblici. Le cosiddette «concesiones» attribuivano al capitale straniero la facoltà di aumentare i canoni e le tariffe a detrimento del consumatore locale. Si costituirono veri e propri monopoli commerciali disegnati a tavolino tracciando alcune «righe» sulle carte geografiche. Il caso più eclatante fu la spartizione dell’utenza telefonica argentina dividendo il suo territorio nazionale in due macroaree: la zona nord, di competenza esclusiva di France Telecom, e la zona sud, ambito esclusivo di Telefónica de España. Dato che circa la metà della popolazione argentina risiede nei dintorni di Buenos Aires, anche la città fu divisa nord-sud.

Dunque, prima di continuare la presente relazione è doveroso introdurre l’indagine conoscitiva sulle caratteristiche e sullo sviluppo del sistema industriale italiano, delle imprese pubbliche e del settore energetico a cura del dott. Daniele Franco, Direttore Centrale per la Ricerca economica e le Relazioni internazionali della Banca d’Italia presentato alla X Commissione della Camera dei Deputati il 26 settembre 2012. L’indagine esordisce citando i dati ISTAT relativi al 2009: “(…) su 4,5 milioni di imprese attive, il 95 per cento ha meno di 10 dipendenti e assorbe complessivamente il 47 per cento dell’occupazione totale (Istat, 2011b). All’altra estremità della distribuzione, le imprese con più di 250 addetti sono solo 3.718, circa un terzo nel settore manifatturiero”. L’indagine prosegue spiegando come la piccola dimensione delle imprese “continua a dare al sistema produttivo una grande flessibilità. Più piccola è la dimensione, più difficoltoso è tuttavia sostenere gli elevati costi fissi connessi con l’attività di R&S, l’innovazione e l’accesso ai mercati esteri (…)”.

Ciò che però l’indagine non spiega, ma che lascia intendere sottilmente, è che la principale fonte di finanziamento di queste piccole e medie imprese italiane non sono i mercati finanziari, ma gli istituti di credito. Ed è proprio questo il fulcro della nostra relazione. Forse il problema dell’Italia risiede, giustamente, nella mancanza di strutture finanziare stabili all’estero a sostegno delle imprese che vogliono internazionalizzare. Ad esempio, fino alla fine degli anni ’90, le imprese italiane in Sudamerica potevano contare sul sostegno finanziario di alcune banche italiane, come ad esempio Sudameris e la Banca Nazionale del Lavoro. Attualmente ciò non è più pensabile dato che, entrambe, sono state cedute ad altri istituti di credito e le filiali in loco sono state chiuse, smantellate o non più operative.

Inoltre, spesso, i progetti per l’internazionalizzazione delle imprese ed i piani per l’export vengono redatti in maniera poco chiara e, nella peggiore delle ipotesi, scambiati come se fossero sinonimi. Questo problema è stato riscontrato sia a livello istituzionale (legislatore) che a livello operativo (addetti ai lavori). Infatti il più volte citato Report n° 5 dell’IsAG bada bene dal confondere il commercio internazionale con l’internazionalizzazione. Il primo termine si riferisce “alla sola attività imprenditoriale finalizzata all’importazione ed esportazione di beni e servizi” mentre il secondo allude al processo “di continuo adattamento delle imprese che vogliono trovare una collocazione nei mercati esteri”.

I grandi gruppi industriali e le società multinazionali italiane, non conoscono questo dilemma, dato che possono permettersi di reclutare professionisti altamente qualificati nei vari settori dell’economia e del diritto e di partecipare, in via preferenziale, alle diverse missioni commerciali ufficiali consolidando così la propria posizione, già di per sé dominante. Lo sanno bene gli amministratori della Pirelli ed i dirigenti del colosso energetico ENEL che in America Latina hanno trovato «El Dorado», tanto per utilizzare una metafora. Merita di spendere alcune parole il parlare della cosiddetta «cabina di regia». La attuale cabina di regia per l’internazionalizzazione continua a riflettere, ed ad escogitare i suoi piani, in chiave «macroeconomica». Al suo interno siedono esponenti delle associazioni di categoria, soprattutto banchieri e grandi industriali oltreché burocrati provenienti dai ministeri, che non possono in alcun modo rappresentare le istanze di quel 95% d’imprese costituite dalla piccola e media imprenditoria con meno di dieci dipendenti.

Orbene, dopo le anzidette considerazioni, ci si domanda quali sono i punti di forza del «Sistema Italia»?. Quali assi si potrebbero giocare gli imprenditori italiani in America Latina? Oltre alla qualità intrinseca del prodotto italiano, dobbiamo considerare una importante realtà di fatto: il sistema giuridico latinoamericano è molto simile al nostro e gioverebbe senz’altro lo stabilimento delle aziende italiane. Gli imprenditori italiani sanno che per internazionalizzare le proprie imprese devono confrontarsi con realtà economiche e culturali diverse e che l’asimmetria informativa, i fattori di rischio e le inadeguate conoscenze tecniche, soprattutto giuridiche, sono questioni cruciali che non possono essere sottovalutate e che richiedono, da parte di costoro, la massima attenzione prima di conquistare nuovi mercati internazionali. Dal punto di vista prettamente operativo, che il sistema giuridico latinoamericano sia affine a quello italiano, agevola e non di poco lo stabilimento e la permanenza delle nostre imprese. Tuttavia qualunque intervento azzardato e senza una accurata progettazione supportata da un piano strategico per l’internazionalizzazione, saranno interventi a sé stanti e, di conseguenza, inefficaci nel lungo periodo. Non dimentichiamolo.

Il programma di ricerca “America Latina” dell’IsAG

L’IsAG ha individuato, per l’anno in corso, una serie di ricerche tematiche così suddivise:

  1. Oro nero, oro azzurro. Le ricchezze naturali dell’America Latina e i risvolti politici e strategici. L’analisi riguarderà in particolare le politiche pubbliche degli Stati latinoamericani in relazione alle risorse naturali, le dottrine militari latinoamericane connesse alla protezione/conquista di risorse naturali ed il consolidamento del colosso energetico brasiliano Petrobras.
  2. Verso il decennale. Stato e prospettive dell’integrazione sud- e latino-americana. Nel 2014 sia l’UNASUR sia l’ALBA compiranno i dieci anni di vita. L’approfondimento riguarderà i successi e gl’insuccessi ottenuti dalle due organizzazioni e dagli altri organismi d’integrazione latinoamericana (Mercosur, CELAC, Comunità Andina) negli ultimi anni, le loro prospettive e il modo in cui questa pluralità di entità internazionali si rapporta al suo interno nel quadro generale dell’integrazione regionale.
  3. “Puntos calientes”. Panama, Tripla Frontiera, Malvinas, Antartide: i punti caldi dell’America Latina. L’analisi si focalizzerà su quei crocevia strategici che attualmente sono fonte di tensione all’interno dell’America Latina, tra paesi regionali o con potenze esterne. L’obiettivo è determinare cause, attori, dinamiche e conseguenze delle tensioni, ipotizzare evoluzioni e scenari futuri, proporre possibili soluzioni.

 
Per l’IsAG non solo sono importanti i piani nazionali di sviluppo e le strategie collettive attuate dai paesi latinoamericani, ma anche i fattori esterni che, nel medio-lungo periodo, potrebbero destabilizzare la regione. Un mutamento dello status quo attuale, potrebbe avere ricadute sul «Sistema Italia», dato che la maggior parte delle importazioni che provengono da queste zone sono materie prime, indispensabili per sostenere il fabbisogno delle nostre industrie.


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :