Una delle affermazioni più usate da chi si ritiene troppo emancipato per essere cristiano è che le religioni sarebbero una via di fuga dai problemi della vita, dalla morte e dalla malattia. Un rifugio dove riparare, pensando all’aldilà piuttosto che all’aldiquà. Lo confermerebbe il fatto che la religione sarebbe più diffusa in aree del mondo povere e piene di miseria (su questo abbiamo già riflettuto in passato).
Come tutte le spiegazioni che resistono per più generazioni, anche questa contiene una parte di verità: le religioni sono effettivamente un tentativo umano di approdare al quel mistero a quella “X” che chiunque percepisce come completamento di sé. L’uomo che riflette seriamente e onestamente su se stesso riconosce di essere teso continuamente verso un qualcosa, in ricerca verso una soddisfazione che non riesce mai a raggiungere. “Attesa” è la parola che più di tutte definisce l’uomo, in qualunque epoca storica e in qualunque area del mondo. «Qualcuno ci ha mai promesso qualcosa? E allora perché attendiamo?» si domanda ad esempio Cesare Pavese (Il mestiere di vivere, Einaudi 1973, p. 276). Certamente le condizioni di miseria sociale portano l’uomo a riflettere maggiormente sul senso della sua vita, dunque non sarebbe affatto strano se -ammesso sia vero- gli abitanti dei Paesi con maggior benessere riuscissero a distrarsi maggiormente dal loro “vero” bisogno, ripiegando sul consumismo sfrenato (questo sì, un rifugio!).
L’uomo fin dalla preistoria ha imparato a chiamare ”Dio” l’oggetto di questa attesa. «Chiuso fra cose mortali / (Anche il cielo stellato finirà) / Perché bramo Dio?», si domanda Ungaretti. Il cristianesimo, tuttavia, si colloca ben oltre alle altre religioni e testimonia una rivelazione di questo “Dio” alla ragione umana, attraverso Gesù Cristo. Questo oggetto di attesa è divenuto incontrabile nella storia, ha deciso di mostrarsi e lo ha fatto in modo credibile (tanto che ancora oggi la storia è divisa in prima e dopo Cristo). La sete di infinito ha trovato una fonte a cui abbeverarsi, senza comunque mai saziarsi (almeno in questa vita).
Dunque le religioni contengono tutte qualcosa di vero (cioè la tensione verso Dio), ma solo il cristianesimo nasce al di fuori dell’uomo: è Dio stesso che si fa incontro, che prende l’iniziativa. Affidarsi al cristianesimo non è però uno scappare dal mondo e dalle fatiche umane, ma è affrontare seriamente la verità più profonda di noi stessi: è proprio il vivere intensamente le “cose mortali”, come dice Ungaretti, che porta alla consapevolezza che ogni risultato raggiunto non basta mai, l’uomo attende perché è fatto per Altro, per l’Infinito.
Da questo punto di vista è molto interessante la recente intervista al celebre sociologo Zygmunt Bauman, uno dei più autorevoli interpreti della condizione umana e padre della fortunata immagine della “modernità liquida” per indicare una situazione di diffusa incertezza, in cui sembra venir meno qualsiasi punto stabile di riferimento. Ha osservato che proprio grazie all’avanzare della secolarizzazione è contemporaneamente aumentato il bisogno di spiritualità, «concepita come qualcosa che potrebbe conferire un senso compiuto alle nostre vite, riempiendole. Evidentemente, si constata che i piaceri materiali (“della carne”, si sarebbe detto un tempo) non bastano: occorre un contatto con qualcosa che trascenda le nostre occupazioni e preoccupazioni quotidiane».
Tuttavia non c’è un ritorno generale al cristianesimo, spiega Bauman, ma una forma di “Dio personale”. Le pretese illuministe e razionalista dell’uomo misura di tutto hanno fallito, si è tornati dunque al riconoscere e prendere sul serio la tensione interna all’uomo verso quella “X”, «l’umanità è intenta a ricercare disperatamente dentro o fuori di se dei punti d’appoggio a cui reggersi». Papa Bergoglio, spiega il sociologo laico, «sa parlare alla spiritualità tipica del nostro tempo: i seguaci del “Dio personale”, in effetti, non sono molto interessati alle prescrizioni morali impartite dai rappresentanti delle istituzioni religiose, ma desiderano rintracciare un senso nella frammentarietà delle loro esistenze individuali. Sono ancora in attesa di un “evangelo”, nell’accezione originaria del termine — di una buona notizia».
Concludendo ha replicato a coloro che spiegano il fenomeno religioso come alternativa di rifugio al malessere sociale: «La seconda parte del secolo scorso, in campo economico, è stato dominata da presupposti apparentemente indiscutibili, che hanno influenzato profondamente i comportamenti individuali e collettivi degli esseri umani. Che la ricerca della felicità andasse di pari passo con un aumento dei consumi: i luoghi naturali dell’appagamento personale sarebbero stati i negozi, piuttosto che le relazioni sociali, o le attività con cui ognuno potrebbe rendersi utile ai suoi simili, cooperando con loro. Queste convinzioni hanno prodotto, di fatto, una gran quantità di miseria materiale e spirituale, oltre a intaccare gravemente le risorse naturali dell’intero pianeta: da un lato, abbiamo vissuto al di sopra dei nostri mezzi; dall’altro, abbiamo scoperto dolorosamente che la felicità non si può acquistare. Dunque, a tutti noi oggi è richiesto di cambiare radicalmente l’assetto delle nostre vite. Per esprimere questa stessa idea, Papa Bergoglio userebbe probabilmente un antico termine della tradizione cristiana: conversione». Per questo Bauman crede «che il pontificato di Bergoglio costituisca una chance, non solo per la Chiesa cattolica, ma per l’umanità intera».
Ovviamente il celebre sociologo parla da un punto di vista laico, ma è vero che il Pontefice indica insistentemente una proposta all’umanità per curare le sue ferite e agli uomini per riflettere seriamente sul loro bisogno di spiritualità, la soluzione è la stessa degli ultimi 2000 anni: «l’incontro con Gesù Cristo Via, Verità e Vita, realmente presente nella Chiesa e contemporaneo in ogni uomo, porta a diventare uomini nuovi nel mistero della Grazia, suscitando nell’animo quella gioia cristiana che costituisce il centuplo donato da Cristo a chi lo accoglie nella propria esistenza», ha spiegato all’inizio del suo pontificato. «La verità cristiana è attraente e persuasiva perché risponde al bisogno profondo dell’esistenza umana, annunciando in maniera convincente che Cristo è l’unico Salvatore di tutto l’uomo e di tutti gli uomini. Questo annuncio resta valido oggi come lo fu all’inizio del cristianesimo, quando si operò la prima grande espansione missionaria del Vangelo».
La redazione