Il sogno ricorrente
Da Galadriel
L’amore fra Lal e Lelay diventava ogni giorno più forte, ma le crisi di Lelay e la bestia maledetta che ancora aveva il controllo su di lui, privavano Lal di ogni energia. Anche il Baba e Donna Leo temevano per Lal, la sua sottile figurina appariva loro sempre troppo fragile e l’energia che essa convogliava al suo Lelay era tutto ciò che essa aveva. Se Lal non si fosse ricaricata che le sarebbe accaduto? Se si fosse ammalata, che ne sarebbe stato di Lelay? Lelay stesso ne era profondamente consapevole, e si massacrava per questa sua incontrollabile dicotomia, la sua disperazione era continua, aveva il terrore che Lal si sarebbe stancata e che lo avrebbe lasciato, abbandonandolo, preda della bestia, solo con il desiderio di farla finita per sempre. Senza Lal per Lelay non ci sarebbe stata speranza alcuna.
Il legame che essi avevano creato, coltivato, rafforzato subì un grave attentato da parte della bestia, proprio in un periodo in cui Lal aveva dovuto far fronte ad una serie di gravi problemi familiari che l’avevano portata ancora in Inghilterra presso la casa materna. Nonostante le fitta corrispondenza con Donna Leo, che la teneva al corrente di tutto e le visite che il Baba le faceva in sogno, Lal cominciò a deperire, ogni luce si spense sul bel volto d’avorio e gli occhi persero la loro radiosità. Stava per cedere.
Una mattina decise di fare una lunga passeggiata in un bosco caro alla sua infanzia inglese, e che era stato il suo rifugio, quando, ribelle ai conformismi e alle etichette britanniche, fuggiva le ire di sua madre che la voleva pacata e sottomessa, mentre in lei ardeva un fuoco inestinguibile che la portava a vagare in quella foresta d'alberi antichi e a rifugiarsi nel tronco cavo di una annosa quercia.
Ivi si sedette, chiuse gli occhi e pensò intensamente al suo Lelay, visualizzando il volto quasi di bambino, e fu allora che le affiorò alla mente un ricordo lontano. Ci fu un periodo, durante la sua infanzia, in cui Lal faceva sempre lo stesso sogno, ogni notte. Si trovava in un paese straniero, a lei sconosciuto, di fronte ad un palazzo, di quelli che il padre di ritorno dai suoi viaggi le descriveva. All’ingresso, c’era un giovane con uno splendido turbante che gli incorniciava il volto e che la accoglieva con un profondo inchino, la prendeva per mano e la portava in giro, fra il palazzo e il giardino. Il suo viso era dolce e i suoi occhi scuri come la notte, la guardava intensamente e le diceva che sarebbe stata sua sposa per sempre. Ogni volta che Lal raccontava del sogno, i genitori ridevano, compiacendosi del fatto che la loro figlia avesse una fantasia tanto sfrenata. Ma Lal non si spiegava perché questo sogno si ripetesse in continuazione. Ma così come il sogno si era manifestato nella sua mente per tanto e tanto tempo, all’improvviso svanì. Per anni Lal lo tenne bene a mente, ma come succede, ad un certo punto esso scomparve. Ma sotto quella quercia fu un particolare a scuoterla: il viso del giovane, quel viso così dolce, quegli occhi…..era il viso di Lelay!
Spalancò gli occhi, come se fosse uscita da una trance o da uno stato di consapevolezza intensa, attraversò correndo il bosco, l’immagine del viso del giovane del sogno e il viso di Lelay erano impresse nelle sua mente in maniera chiarissima; un’inquietante sensazione la invase, il viso le avvampava, le sue gote divennero purpuree.
Arrivò alla casa materna con parti delle vesti scucite, i capelli in disordine, ansante, e salì i gradini a quattro a quattro, lasciando i domestici esterrefatti. Si mise allo scrittoio e con mano tremante riempì i fogli pergamenati della sua carta da lettere. Un fiume di parole, pensieri, sensazioni le scuotevano tutto il corpo. Asciugò l’inchiostro ancora fresco, mise tutto in una busta e così com’era, ridiscese a rotta di collo le scale, rischiando di farle con la testa invece che con i piedi. Nell’uscire, dimenticò persino di chiudere la porta e si diresse all’ufficio postale. L’impiegato, un giovane molto timido, rimase immobile, mentre Lal gli farfugliava della lettera, dell’urgenza, con parole sconnesse. La lettera era indirizzata al Baba. Solo sulla via del ritorno si rese conto delle condizioni in cui si trovava, ma solo perché tutte quelle vecchie cariatidi che incontrava la guardavano come se avessero visto i tre capelli d’oro del Diavolo.
Rientrò sfinita, e senza proferire verbo, si ritirò in camera sua. Si distese sull’ottomana e attese.
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