5 LUGLIO – La modernità ha meccanismi complessi, spazi vuoti, e il più delle volte l’ esigenza che tutto abbia una risposta . E’ un vortice che attira nelle trame dell’incertezza da quando il sole, che illuminava le ferree convinzioni dei padri, è tramontato. Inesorabilmente. Di questo ne ha risentito la società e il singolo individuo, monade impazzita che vaga alla ricerca di un punto d’orientamento. Così di fronte a dati che mostrano un’impennata dei casi di sindrome depressiva diventa necessario arrivare al cuore dei fenomeni sociali e di quello che noi siamo.
Risponde alle nostre domande Giorgio Donini, medico e psicoterapeuta sistemico relazionale, oltre che co-direttore e didatta presso ISCRA di Modena nei corsi di psicoterapia, mediazione e counselling. Tutor presso la scuola di Specializzazione in Medicina Generale all’Università di Modena e Reggio Emilia. Autore inoltre di diversi libri, fra i quali si segnala, per l’argomento dell’intervista, “La lunga notte del moderno” (QuattroVenti, Urbino, 2010).
La vita dell’uomo moderno è all’insegna della ricerca della felicità. Una felicità che si gioca nella quotidianità della vita terrena, a differenza dell’uomo medievale, teso ad una dimensione estranea alla contingenza del mondo. Si vive per il successo, per il lavoro, per tutto ciò che ci fa sentire dei privilegiati. Ma forse troppo dimentichi del fatto “che nella popolazione delle società opulente forse non c’è alcun legame tra aumento della ricchezza e aumento della felicità” (Bauman, L’arte della vita).
E’ possibile secondo lei che la crescita dei casi di depressione sia data spesso non tanto da un modo sbagliato con cui il soggetto si rapporta con l’esterno, ma dalla ricetta errata che il mondo consumistico ci propone per essere felici?
La modernità determina nell’uomo contemporaneo un’accentuazione dell’incertezza ontologica. Quell’incertezza che nella singola biografia di ogni uomo ripercorre l’incertezza filogenetica affrontata e subita dalla specie umana nel dipanarsi della storia. Incertezza che sembra avere acquistato oggi un aspetto paradossale inedito. Soprattutto quando il moderno viene colto nelle sue declinazioni virtuali e disincantate. Declinazioni pervasive che promettono scenari di rassicurazione collettiva. Nella cornice di potenza correlata alle sue conoscenze tecnico-scientifiche il moderno in Occidente ostenta presunte verità e sapere indiscusso. L’ incertezza esistenziale dell’uomo contemporaneo non trova quindi riparo, e neppure accoglienza, nell’organizzazione sociale. Piuttosto l’insicurezza quotidiana viene amplificata dalle contingenze socio-ambientali e dalle loro velocissime trasformazioni. Contesto spazio-temporale fluido come inedita espressione destabilizzante della società-mondo. Questa incertezza genetica e fenotipica si connette, secondo legami complessi e spesso insondabili, con il dolore mentale di cui la depressione rappresenta una delle sue sempre più frequenti declinazioni. Incertezza che si ripropone anche nelle categorie interpretative del vissuto depressivo da parte dei sistemi a vario titolo deputati alla cura.
Il malessere epocale si dischiude così negli scenari embricati sia dell’osservazione “competente”di chi ha il ruolo di terapeuta, sia dell’esperienza esistenziale dell’uomo che chiede ascolto e terapia. Disagio diffuso come tono del sentire invariante e cronicizzato. Una tonalità collettiva dell’umore quotidiano che stabilisce con la depressione, intesa come categoria classica psichiatrica, un rapporto di inquietante continuità.
Un continuum tratteggiato attraverso scivolamenti impercettibili che solo per esigenze classificatorie si coagulano in descrizioni psichiatriche strutturate. Quali la depressione sotto-soglia, la distimia, la depressione mascherata. Lo scenario dicotomico della depressione reattiva e della depressione endogena nella descrizione classica..Anche la malinconia. Tonalità malinconica secondo alcuni come scenario già posizionato sul versante psicotico. Secondo altri vissuto malinconico come ingrediente imprescindibile dell’avventura esistenziale.
Fino al rifiuto della vita stessa. Esistenza “senza-vita” che, congelata in una buia cappa, è sostenuta (trascinata) senza prospettive di risoluzione. Senza rappresentazione di una temporalità che apre alla “guarigione”. Senza neppure la configurazione di un possibile rimedio nell’emergenza. Un rimedio temporaneo che non risolve ma può dare parziale sollievo. Come ad esempio un sostegno psicoterapeutico. Spesso il paziente con depressione importante è estremamente ed inconsciamente abile nell’agire una potente disconferma verso il terapeuta. Fino ad indurre nel terapeuta stesso sentimenti di sconfitta, impotenza, inutilità del proprio mandato di cura. Lo scenario che il clinico si trova davanti è quello desertificante della morte psichica che può scivolare nella morte auto-indotta del corpo. Suicidio agito attraverso un ultimo terribile guizzo di energia ritrovata. Vita rovesciata che dai primi tratti annichilenti del “sentirsi morti senza esserlo” scivola nel “dover morire per sentirsi vivi”. Capaci di scelta fondamentale, di azione innominabile, di testimonianza biografica forte. Eredità lacerante. Lascito indimenticabile.
Come si può far fronte a quelle frustrazioni che possono condurre alla sindrome depressiva?
Penso ultimamente che una via potrebbe celarsi nella capacità di attenuare l’attenzione su di sé, sul proprio “io” come centro del mondo.
L’altra faccia del naufragio solipsisitico e narcisistico del proprio sé stereotipato è l’ascolto. Ascolto di sé: conoscenza di sé compenetrato con l’ ascolto dell’altro..
Quindi l’altro. L’attenzione all’altro è connessa al gusto della narrazione. Al gusto dell’ascolto e dell’immaginazione. Ascolto come far tacere le proprie voci interne e permettere all’altro di scrivere in noi la sua storia. Come desituarsi. Come pensiero non calcolante o sapiente ma che ringrazia e che contempla. Verità storica e verità proposta: non importa. L’importante è il nuovo racconto che in relazione a noi che ascoltiamo viene scritto. Ogni volta per la prima volta. Ti conosco da sempre e ti vedo ogni volta per la prima volta.
Ora ad una solidificazione solipsistica del sé, narcisistico e nichilistico (il narcinismo come cinismo più narcisismo) si accoppia una liquidità del legame fino alla frattura dei legami. Isolamento straordinariamente sterile. Ora il mondo è solipsistico. Il piacere ricercato individualmente. Senza condivisione. Non si accetta più il confronto delle reciproche narrazioni perché destabilizza. Rende insicuri. Fa nascere la paura. Soggetti ridotti a monadi individuali. Moltiplicazione delle barriere. Godimento dell’Uno senza Altro. Non più l’imperativo kantiano del “tu devi” ma quello sadiano del “Godi! Subito”. La sua patologia maggiore è la sua estraniata normalità. La sua separazione sia dall’altro che dal suo altro interno. Ossia dal suo inconscio. Maschera che schiaccia l’altro da sé e l’altro in sé. (L’inconscio come voler dire, come volontà di significazione. Annichilisce la creatività soggettiva. Unico principio fondamentale è il principio di prestazione. Il falso sé come delirante difesa dall’altro e dalle sue possibili narrazioni. Unica uniformata narrazione di sé e della vita . Non propria ma adottata senza variante da quella proposta uniformemente dalla modernità. La narrazione permette la costruzione di legami pur sul fondo della precarietà e permette di sfuggire al rischio della personalità normotica (uniformata e stereotipata).
Gli antichi chiamarono “desiderio” (de-sidus) quella tensione tipica dell’uomo che lo porta a guardare le “sidera”, le stelle. Il cielo e la romantica propensione dell’anima di interrogarsi sulla natura delle cose rappresentano il fisiologico bisogno di trovare il senso del nostro stesso esistere.
Come può la coscienza, da impulso del desiderio, annichilirsi nella “di- sperazione” e lasciare il soggetto incapace di rapportarsi con se stesso e con gli altri?
L’epoca attuale si configura come una modernità liquida e come una ricerca di godimento immediato. Senza tolleranza delle frustrazioni. Senza capacità di attesa. Senza mentalizzazione. Godimento senza desiderio. Eclissi del desiderio. Il linguaggio introduce nel soggetto una mancanza. Toglie l’immediatezza del godimento. Senza capacita’ di soggiornare nel luogo dell’appagamento. Non serenità ma psicoastenia. Sindrome da stanchezza cronica. Nichilismo. Senza sogni. Sogni che invertono e scompaginano le coordinate dello spazio e del tempo. Bisogno fondamentale della nostra psiche. Attraverso la narrazione si raggiunge una nuova alleanza con l’inconscio. Possibilità di scegliere la via più lunga del desiderio -differire- per godere della sua realizzazione e soggiornare in esso. Reintrodurre il tempo come direzione e movimento non come congelato e puntiforme. Così anche il passato non è più qualcosa da ricordare ma piuttosto da ricomporre, da re-iscrivere continuamente.
Si deve dormire perché bisogna sognare. L’insonnia. I sonni interrotti che non raggiungono lo stadio REM. Disturbi del sonno che risuonano con la tendenza a eliminare i sogni non solo di giorno ma anche di notte. Le distrazioni giornaliere, i momenti di estraneità vengono etichettati come patologie. Quasi assenze psicogene o epilettiche che non si adattano a ritmi ottimizzati, alla presenza totale sul lavoro. Alla competizione selvaggia ma regolamentata: sempre attenti. Totalmente compresi nella mansione. Più che altro nel fare e non nell’agire. Fare senza vedere né finalità né motivazione che prende il posto della simbolizzazione. Disastro epocale dalla tragedia del secondo conflitto mondiale in poi. Non c’è spazio concesso alla narrazione creativa. Ad una modernità liquida corrisponde una identificazione solida in un ruolo. Magari euforico ma vuoto. In un atomo identico agli altri. Oggetti, impressioni, stimoli che non sono coordinati in una funzione simbolica rappresentativa adeguata come oggetti non inclusi in una trama narrativa condivisa. Come direbbe Ricoer “in un racconto”. Oggetti scorporati da ogni testualità, caotici, denarratizzati. Senza auto-coerenza. Bion: difficoltà di trasformazione degli elementi beta in elementi alfa. Impossibilità di trasferirli in immagini visive della pellicola del pensiero. Nasce la banalità del male.
Crisi del desiderio tra reale, immaginario e simbolico. Crisi della narrazione soggettiva del proprio desiderio. Crisi del sogno. Cancellazione dell’inconscio. De-sidera. Sotto le stelle. Abbiamo perso le stelle. La cappa nera del cielo configura un’epoca depressiva. Quando non si narra ci si ammala e come terapeuti si fallisce. La narrazione permette di comprendere la differenza singolare del proprio desiderio.
Negli ultimi 30 anni si è assistito a un progressivo aumento della depressione giovanile. Lei sostiene che “Ora il moderno si associa ad una incidenza statisticamente elevata di adolescente protratte. Adolescenze lunghe che intrappolano in un fase di vita e bloccano il passaggio all’esperienza adulta”(Giorgio Donini, La lunga notte del moderno).
Anche all’interno della cornice moderna ogni età, come fase del ciclo vitale, configura una possibile peculiare declinazione depressiva.
Particolarmente significativa nel moderno appare la connessione tra depressione e adolescenza. Esperienza adolescenziale diffusa nell’epoca delle “passioni tristi” e del nichilismo. La significativa incidenza epocale di questa declinazione della depressione è connessa alla peculiarità dell’adolescenza rispetto agli altri periodi esistenziali che la psicologia distingue allorché modellizza il ciclo vitale. Infatti l’adolescenza è l’ unica fase del ciclo esistenziale non determinata biologicamente ma solo culturalmente. (Non così l’infanzia, la pubertà, la maturità, la senescenza). Non essendo regolata come le altre fasi dell’esistenza da un orologio biologico l’adolescenza, oltre a potere essere praticamente assente, presenta comunque incredibili variazioni di durata. Oltre che di inserimento tra altre fasi biologicamente ritmate. Variazioni connesse da un canto ad eventi dell’esistenza singolarmente colta, solitamente traumatici, dall’altro a congiunture socio-culturali. Ora il moderno si associa ad una incidenza statisticamente elevata di adolescenze protratte. Adolescenze “lunghe” che intrappolano in una fase della vita e bloccano il passaggio all’esperienza adulta. L’adolescenza “infinita” ha quindi un effetto di congelamento esistenziale e di blocco del tempo psichico. Blocco temporale che ha assonanze significative con il rallentamento del tempo percepibile nel depresso. Nell’adolescenza ospitata nel moderno diviene difficile strutturare la propria identità in quello che, anche nell’apparente ricchezza di esperienze e stimoli, si svela psichicamente ed emotivamente come un falso movimento del processo psichico immerso nella società-mondo. Isomorfico con il falso movimento a livello sociale nell’ottica valoriale e di salute collettiva. Non c’è correlazione infatti tra la frenesia dell’agire a-finalistico, dettato dal “comportamento omologante dei più”, ed esperienze psichicamente fondanti. In particolare non c’è traccia di equivalenti di riti d’iniziazione tali da sancire coralmente il passaggio verso l’età adulta. La mancanza di riferimenti d’autorevolezza nel mondo adulto, con cui confrontarsi ed eventualmente scontrarsi, peggiora la difficoltà concitata in cui l’adolescente si dibatte per anni. In un’inquietudine improduttiva. Emerge una identità fragile proprio in relazione alla mancanza di una struttura adulta potente con cui entrare in conflitto costruttivo e identificatorio per differenza. Tra l’altro il mondo adulto è portatore, a sua volta, di vissuti depressivi più o meno mascherati, debordanti la fisiologica tristezza esistenziale, che facilmente contagiano il vissuto dell’adolescenza. Nel palcoscenico della recita sociale prevale nell’adolescente la kenosis, la protesta vuota. La sensazione che “qualcosa/tutto non va”. Ma senza la possibilità/capacità di vedere cosa non va. Da sempre l’esperienza adolescenziale, nei contesti storico-culturali che permettevano di viverla, ha conosciuto la protesta, il sentire “contro”, l’antitesi, il rifiuto. Ma ora è venuto a mancare il contenuto ideale che strutturava la ribellione. Valori antichi sono naufragati. Nuovi valori non emergono. Emerge anzi la convinzione che valori proprio non esistono/non possono più esistere in questo mondo postmoderno che la generazione dei padri ha confezionato. Il nichilismo, che pervade la società postmoderna, trova nell’adolescenza un terreno dove esercitare un trauma devastante.Linda Tonarini