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Il sommerso

Creato il 11 aprile 2012 da Lundici @lundici_it

La storia di uno sconosciuto morto per la colpa di voler essere un cittadino. La vicenda di un uomo ben raccontata da Monica Zapelli (Un uomo onesto, Sperling & Kupfer pp.178), sceneggiatrice che già si è distinta per aver fatto riemergere, dall’oblio della storia dei sommersi, un eroe, stimolo per un’intera generazione: Peppino Impastato.

 Se ci si trovasse in un mondo sottosopra le abitudini, i costumi e il sistema di valori che si apprendono mediante regole non scritte, conoscenza della legge e rispetto per gli altri assumerebbero dei contorni difficili da comprendere. Sarebbero difficili perché non si conoscono e ciò che non si conosce atterrisce. Alla domanda su cosa gli facesse paura, Fabrizio De André rispondeva: quello che non conosco perché quello non conosco io non capisco e ciò che non capisco mi fa paura.

La breve storia che si intende raccontare parla di un uomo che ad un certo punto non capiva e, dopo diversi tentativi, ha deciso di farsi fuori, probabilmente perché privo della capacità di sopportare un mondo, appunto,sottosopra.

Ambrogio Mauri è stato un imprenditorie lombardo, nato nel 1921 a Desio in provincia di Monza, che si è trovato in un mondo sottosopra dove il rispetto delle regole si paga con l’emarginazione mentre la corruzione, le raccomandazioni e i favoritismi portano all’inclusione, se non alla partecipazione attiva e permanente. In questo mondo quello che concorre a creare il sistema di valori e i costumi da seguire sono gli apparentamenti, le mance sottobanco, le segnalazioni, tutto ciò che può ascriversi al modus operandi vasto della clientela.

Tutto è clientela nel mondo in cui Ambrogio ha deciso di morire. Clientela per lavorare, per stare al centro, per avere visibilità e onori, clientela per esistere. Perché il dramma di Ambrogio si rappresenta  nella certezza matematica di non esistere. E chi non esiste è costretto a scegliere: decidere di morire oppure stare come un essere senza spirito né motivazioni ma solo animato da interessi e sopravvivenza. Tuttavia Ambrogio voleva vivere ed è questa la ragione che lo ha spinto al suicidio. Ambrogio si è suicidato perché voleva vivere. 

La sua storia è scarna di colpi di scena, è la parabola di un uomo qualunque con un desiderio di decenza minima: lavorare ed essere sereno. Titolare di un’azienda che fabbricava autobus, Ambrogio, per tutta la vita, cerca di migliorare il proprio prodotto (gli autobus) per vendere, vincere appalti e fornire i propri servizi alla comunità. Il classico esempio di piccolo imprenditore del Nord Italia, un tipo industrioso, attento ai particolari, aperto al nuovo che la tecnologia offre. Uno di quei tipi di cui spesso i politici settentrionali si riempiono la bocca credendo di rappresentarli.

Ambrogio Mauri

Ambrogio Mauri

Le vie sono due per Ambrogio: apparentarsi a qualche politico o lavorare sodo per essere valutato nel merito di quello che fa. Ambrogio sceglie la seconda via, progetta, si sacrifica, insieme ai suoi dipendenti, per autobus sempre migliori e ne inventa un modello, quello in alluminio, che consente di sprecare meno risorse nei costi di gestione e avere mezzi più leggeri e più mobili. All’avanguardia, Ambrogio, non si dà per vinto, dà invece del suo meglio, si comporta bene, viene addirittura nominato assessore all’Urbanistica nella sua città natale Desio, subisce minacce perché non accetta di partecipare ad alcun banchetto, giochi squallidi orditi da pezzenti della politica, infine non cede e continua ad essere un uomo del Nord, un italiano come ce ne sono tanti, democristiano (nel senso non deteriore che si dà al termine) e cattolico. Ma lavora poco, pochissimo.

Nessuno è disposto a valutarlo, perché alle gare d’appalto alle quali partecipa c’è sempre qualcuno che conosce qualcun altro, il suo posto è preso, ogni volta e irrimediabilmente, da un imprenditore che paga una mazzetta, da un leccapiedi funzionale ad un partito politico per il proprio finanziamento o per il circuito dell’accaparramento dei voti. Ambrogio se ne accorge, sa di essere incappato in un sistema/Paese di clientela dove chi non conosce o non appartiene è un invisibile. Sottosopra è il mondo dove vive, ma sa che la normalità è la sua e questa consapevolezza lo mantiene aggrappato alla vita.

Non si scoraggia e va avanti, così nel 1996 partecipa ad un grande appalto da sessanta miliardi di lire. Sarà l’ultima corsa. La mazzata avviene a Milano, quando l’ATM, l’azienda che gestisce il trasporto pubblico meneghino, decide di escluderlo per l’ennesima volta.  Sebbene avesse le credenziali maggiori, la competenza, sebbene la sua ditta fosse l’unica in grado di costruire gli autobus che la gara d’appalto richiedeva (quelli a pianale ribassato), Mauri viene escluso. Non a favore di qualcuno, viene solo escluso. Mauri è il solo a partecipare a quella gara e dopo poco, quando la vittoria questa volta non può sfuggirgli, viene a sapere che la gara è stata  invalidata.

Prima di questo ultimo decisivo episodio Mauri ebbe una speranza, un periodo nel quale le acque livide e limacciose di questo sistema clientelare sembravano far posto ad una marea di limpidezza che prometteva di invadere il Paese: la stagione di Mani Pulite.

Mauri vide in quei giudici, quei sostituti procuratori, una speranza salvifica, un riscatto, una possibilità per capovolgere il mondo sottosopra in cui era da sempre vissuto. Collabora di sua sponte con i magistrati, parla delle tangenti che non ha mai pagato e che sempre gli sono state chieste, del sistema del dare e dell’avere tra politica e imprenditori, della sua emarginazione nelle gare a favore di persone legate da entrature ed interessi nella politica e con la politica, confessa la frustrazione nel vedersi scalzato, palesemente o in modo oscuro, da persone meno competenti nel lavoro imprenditoriale che producono servizi pessimi per i cittadini, tutti, e che fanno in modo che il lavoro si allunghi al fine di nutrire quel sistema clientelare che sempre di soldi ha bisogno e che tanto concorre a far esplodere il debito pubblico.

La stagione di Tangentopoli però dura poco, un paio di anni i più caldi. Durante quella stagione dal sommerso si estrae e si rende pubblico qualcosa che tutti, delinquenti e brav’uomini, hanno sempre saputo: non solo il mondo di Mauri è sottosopra, è il mondo di tutti gli Italiani onesti ad esserlo. Quello che conta non sono valori come onestà, competenza, lavoro, sacrificio ma raccomandazioni, clientele, compravendite e battaglie disperate del cittadino comune che fa la guerra dei poveri. Una guerra che, in palio, mette la conoscenza del politico più influente in grado di aprire le porte ad una carriera, un’opportunità: una vita.

Gianni Letta, Paolo Scaroni, Carlo De Benedetti, uomini diversi che hanno confessato di aver pagato e/o mediato

Gianni Letta

Gianni Letta

tangenti rimangono ai loro posti, osannati, dopo qualche anno in sonno, in patria e fuori dalla patria, mentre l’invisibile Mauri viene lasciato ancora più solo.

Il mondo sottosopra si restaura, nascono nuove forze politiche, nuovi legami indissolubili per sostentare e arricchire il sistema che indebolisce, giocoforza, il Sistema, cioè lo Stato.

Mauri è sottosopra di nuovo e stavolta non ce la fa, la consapevolezza di essere un uomo onesto si frantuma, forse è lui a sbagliare, pensa, non sono gli altri a comportarsi male. La rassegnazione ed un senso immanente di sconfitta prendono piede, afferra la sua pistola e si ammazza lasciando scritto: “Come tanti ho cercato disperatamente di fareil mio dovere di uomo, di imprenditore. In politica come nella vita. Sempre. C’è anche chi rinuncia alla vita perché non riesce a lavorare per troppa trasparenza. E’ un vero peccato tutto questo. Io ho tentato ma…non sono riuscito a pagare. Che stupido”.

Il mondo sottosopra ha vinto. Ha fatto credere ad Ambrogio che la normalità è quella di pagare, di raccomandarsi, di adulare, di entrare nelle grazie del più potente, a scapito del lavoro, del talento, delle motivazioni e dell’onestà che fanno di qualsiasi uomo un uomo. Ma in un mondo sottosopra la normalità viene vista come anormalità ed un uomo che segue la sua onestà e il proprio lavoro è un uomo messo ai margini perché diverso, al pari di un negro nelle campagne della xenofobia che si ripercuotono ciclicamente nella storia dell’uomo, al pari di un omosessuale insultato come un frocio, un invertito, o di una lesbica che fa schifo ai benpensanti, al pari di un ebreo vittima dell’antisemitismo. Un ebreo, un negro, un frocio sono tre emarginati a cui viene concesso l’onore delle armi, perché diventano nemici di un nazista, di un razzista o di un omofobo, mentre a Mauri e ad un cittadino onesto, che vivono in un mondo sottosopra, si negano anche l’abisso della caccia all’uomo. Nel mondo sottosopra Mauri è solo uno da evitare e si uccide invece che con le armi, con l’indifferenza. E se l’ebreo, il negro e il frocio subiranno morte o violenza, al cittadino Mauri sarà inferta la lama tenace dell’indifferenza che è, né più né meno, la stessa persecuzione destinata alle altre tre categorie e, che senza appelli, sfocia in morte.

Mauri, e i cittadini come lui, muoiono perché, dopo un po’, si rendono conto dell’inutilità dei propri valori, del nonsenso arrembante della vita, della voracità con cui il mondo sottosopra sbrana le loro convinzioni. Mauri è sì un esemplare simbolo di uomo sommerso, tuttavia il sommerso è  in tutte quelle cose che si sanno e che non si dicono, è l’enorme sommerso di risentimento e ferita morale che attanagliano la mente di milioni di cittadini che mai vedranno garantiti i propri diritti. Tutti sapevano che il Partito Socialista rubava così come tutti sanno che i concorsi, le gare d’appalto sono per lo più truccati eppure niente si dice così che, nel mondo sottosopra, il sommerso stia sempre nel sotto e non venga mai a galla, rimanendo invisibile al sopra.

Il grande scrittore, ignorato in vita, Guido Morselli

Il grande scrittore, ignorato in vita, Guido Morselli

Guido Morselli, uno scrittore sommerso e solo post mortem riemerso, descriveva così questo senso di inutilità che prende alla gola coloro che vogliono seguire le regole e puntare sulle proprie forze.

In tutte le cose, e non solo nel mio lavoro, io mi sono visto opporre pareti scoscese, invalicabili, contro le quali è stato inutile farsi insanguinare e piedi e mani e ginocchia…Tutto è inutile. Ho lavorato senza mai un risultato; ho oziato, la mia vita si è svolta nella identica maniera. Ho pregato, non ho ottenuto nulla; ho bestemmiato, non ho ottenuto nulla. Sono stato egoista sino a dimenticarmi dell’esistenza degli altri; nulla è cambiato né in me né intorno a me. Ho amato, sino a dimenticarmi di me stesso; nulla è cambiato né in me né intorno a me. Ho fatto qualche poco di bene, non sono stato compensato; ho fatto del male, non sono stato punito. – Tutto è ugualmente inutile. (6 novembre 1959).


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