di Stefano Martella
Nel 2001, in una relazione della Goldman Sachs a cura di Jim O’Neill, fece la sua comparsa nello scenario economico internazionale l’acronimo BRIC. L’autore spiegava come i Paesi che ne fanno – Brasile, Russia, India e Cina – sarebbero divenuti i protagonisti dell’economia mondiale nel prossimo mezzo secolo. La relazione sosteneva che le economie di questi Stati sarebbero cresciute a tal punto da rendere entro il 2050 il loro PIL paragonabile a quello dei Paesi del G6. Oltre a questo dato e all’incremento del commercio mondiale, questi Stati sono accomunati da una popolazione numerosa, da un esteso territorio e da abbondanti risorse naturali. Al raggruppamento si è aggiunto negli ultimi tempi un nuovo “acquisto”: la Repubblica del Sudafrica. Il Paese africano ha occupato l’ultima lettera dell’acronimo in questione, dando cosi vita ai BRICS. Tuttavia il Sudafrica, come tutti questi Paesi emergenti, presenta varie difficoltà e contraddizioni interne, che in futuro potrebbero mettere un serio punto interrogativo sulla capacità di divenire un effettivo traino dell’economia mondiale.
I perchè del boom economico sudafricano
Dopo la contrazione dell’1,8% registrata nel 2009, nel primo semestre 2010, l’economia sudafricana ha registrato un incremento del 2,3% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Il campionato del mondo di calcio e la ripresa della domanda mondiale hanno infatti stimolato la crescita nella prima metà del 2010; la ripresa della domanda interna, inoltre, ha favorito l’aumento delle importazioni di beni e servizi. Notevole impulso hanno avuto anche le esportazioni, i cui volumi sono stati positivamente stimolati dalla ripresa della domanda internazionale. Attualmente il Sudafrica produce da solo oltre un terzo del reddito continentale africano, con un reddito reale che nel primo trimestre del 2011 ha fatto registrare un incremento del 4,8%, mentre il PIL nel 2011 è cresciuto del +0,3% (3,1% totale) rispetto all’anno precedente (confermando le stime sulla crescita dei BRICS).
Un ruolo fondamentale per la crescita economica di questo Paese è giocato dalle numerose riserve minerarie presenti sul territorio. Il Sudafrica è il primo produttore mondiale di platino, cromo e rodio, il terzo produttore mondiale di oro (220 tonnellate annue) e il quarto di diamanti. Dunque l’ industria estrattiva rappresenta un’importante fonte d’entrata di valuta estera, (l’oro rappresenta oltre 1/3 delle esportazioni). Rilevante non di meno è la quota di mercato occupata dall’estrazione e produzione di carbone: sui 250 milioni di tonnellate che il Sudafrica produce ogni anno, 71 milioni sono esportati. Quest’aspetto rende il Paese africano il sesto maggior esportatore di carbone del mondo, senza dimenticare che resta tra i maggiori produttori di ferro e nichel.
L’agricoltura, ad ogni modo, contribuisce notevolmente all’espansione della quota di esportazioni sudafricane: di elevata qualità è la produzione di cereali, concentrata nell’interno del Paese dove sorge il cosiddetto “triangolo del mais”, cioè l’area compresa fra la città di Mafikeng, il Lesotho e lo Swaziland. Il 69% del terreno agricolo del Paese è destinato all’allevamento, contribuendo a fare del Sudafrica uno dei principali produttori di lana di pecora e di pellicce di karakul.
Tuttavia, il vero motore della crescita economica è rappresentato dal settore manifatturiero che nel 2010 ha manifestato un incremento del 5,5%; in ogni caso anche tutti gli altri principali settori produttivi hanno espresso un trend positivo: costruzioni + 4,2%, servizi governativi + 4%, servizi sociali + 3,4%, agricoltura + 2.1%, trasporti e telecomunicazioni + 1,8, minerario +1,7%.
Come già accennato, i mondiali di calcio hanno rappresentato un importante slancio all’espansione dell’economia sudafricana, poiché da lì in avanti si sono registrati considerevoli e crescenti flussi di investimenti diretti esteri principalmente da USA, Cina, Giappone e Regno Unito. Le transazioni in entrata nel Paese sono state pari all’8,9% degli investimenti lordi, mentre lo stock è pari a 95 miliardi di euro (44% del PIL). I flussi in uscita, invece, hanno registrato uno stock totale di investimenti diretti pari a 48 miliardi di euro. Per quanto riguarda quest’ aspetto, negli ultimi anni il Sudafrica ha realizzato investimenti soprattutto nell’area sub-sahariana del continente in settori come il minerario, le assicurazioni, il commercio all’ingrosso e al dettaglio, le costruzioni e i trasporti, tutte iniziative che sono state funzionali ad acquisire notevole competitività internazionale. Inoltre la solidità del Paese sotto il profilo politico ed economico-finanziario rende fruibili i prodotti assicurativi e i finanziamenti agevolati concessi alle esportazioni e agli investimenti. La strategia è dunque quella di favorire investimenti che comportino grossi trasferimenti di tecnologia, un massiccio impiego di manodopera locale e produzioni di beni destinati all’esportazione (che nel 2010 è stata di 55,70 miliardi di euro, + 10,3%). Non a caso tra i settori considerati prioritari dal Ministero dell’Industria e del Commercio Estero (DTI) troviamo il comparto agroalimentare, chimico-farmaceutico, minerario, energetico e turistico. Ma il Sudafrica non è solo questo
Le ombre del Sudafrica: criminalità, istruzione, povertà e la piaga dell’Aids
Il primo grande problema con cui Jacob Zuma deve fare i conti è il notevole tasso di criminalità, uno dei più alti al mondo: secondo il rapporto annuale della Polizia, nel biennio 2008-2009 si sono registrati circa 2,1 milioni di casi di criminalità. Di questi un terzo sono stati crimini contro la persona: più di 18.000 omicidi (una media giornaliera di 50 omicidi al giorno), 71.500 violenze sessuali e 121.000 furti con gravi conseguenze. Col passare degli anni le statistiche non sarebbero migliorate. La maggior parte di questi crimini avviene nelle grandi città: Durban, Città del Capo, Pretoria e infine Johannesburg che detiene il triste primato. Il fenomeno è cresciuto esponenzialmente ed il governo si è visto costretto ad istituire, nel 2007, un “Centro per gli studi sulla violenza e riconciliazione”, necessario ad intraprendere uno studio sulla natura dei crimini. Lo studio ha dichiarato che l’origine di tale criminalità è da ricondurre a diverse cause:
1) una radicata cultura di criminalità e violenza, che varia dal criminale comune a gang organizzate. Rilevante è l’importanza attribuita alle armi all’interno di questa sottocultura;
2) il forte grado di disuguaglianza, povertà, disoccupazione, esclusione sociale e marginalizzazione;
3) la vulnerabilità dei giovani, che si unisce alla carenza di strutture idonee alla crescita e alla socializzazione dei bambini. La povertà, le precarie condizioni di vita, l’essere cresciuti senza le adeguate cure o con genitori dediti alla criminalità espone i bambini sudafricani al rischio di diventare, a loro volta, dei criminali;
4) la normalizzazione e la tolleranza della violenza. Ciò riflette le diffuse credenze che vedono la violenza come un mezzo necessario e giustificato per risolvere conflitti o altre difficoltà;
5) un sistema di giustizia penale inadeguato a causa di inefficienza e corruzione, unito ad un apparto carcerario che non sostiene la riabilitazione del detenuto ma, anzi, ne consolida la tendenza criminale.
Le conseguenze di questa situazione sulla società civile sono varie e preoccupanti, ma due fenomeni sono particolarmente emblematici: da un lato la crescente e costante migrazione di parte della popolazione (soprattutto bianca) verso altri Paesi ritenuti più sicuri e, dall’altro, il proliferare delle “gated communities“, ovvero zone residenziali private, recintate, sorvegliate e con accesso consentito solo ai residenti.
Il quadro appena esposto è utile per comprendere anche altri aspetti della società e della politica sudafricana che rappresentano degli ostacoli alla crescita del Paese: l’istruzione e l’insufficiente preparazione della forza lavoro sono un esempio. Secondo il World Economic Forum del 2009, su una classifica mondiale di 134 Paesi, il Sudafrica si presenta al 110° posto nella scala di qualità del sistema d’istruzione (il 104° se il dato si limita alla scuola primaria). Metà degli studenti della scuola secondaria lasciano i corsi prima dell’esame finale e solo il 15% riceve un voto sufficiente per poter accedere all’università. Un aspetto riguardante questo comparto e che merita di essere osservato è relativo ai passi in avanti fatti nella riduzione delle disparità tra bianchi e neri: nel 2007 il 42% delle lauree erano conseguite da bianchi, mentre secondo uno studio del “South African Institute for Race Relations” del 2011 il numero dei laureati di colore negli ultimi vent’anni è più che quadruplicato. Eppure tale aspetto, pur promettente, non appare cosi eclatante se rapportato alla percentuale che la popolazione bianca rappresenta nel Paese: appena il 13%. Al riguardo è doveroso ricordare come, in seguito al regime dell’apartheid, lo Stato abbia investito per ogni bambino bianco sedici volte di più rispetto ad uno nero, per un periodo che va dal 1960 al 1994.
Altro aspetto allarmante riguardagli indici di miseria. I dati non lasciano dubbi: il 43% della popolazione è al di sotto della soglia di povertà, un milione di famiglie vivono nelle bidonville, la disoccupazione è al 40%. La distribuzione del reddito in Sudafrica è tra le meno equilibrate al mondo: vi convivono livelli di affluenza vicini a quelli dei Paesi industrializzati con livelli di povertà al limite della sussistenza. Infine, è strettamente correlata a questo contesto la piaga sociale dell’Aids, che riguarda il 18,3% della popolazione: questa cifra fa del Sudafrica il Paese con il maggior numero di sieropositivi al mondo (5,5 milioni) e che ha conseguenze non solo dal punto di vista umano e sociale, ma anche economico: l’Aids dimezza la manodopera, riduce la produttività e incrementa esponenzialmente la spesa sanitaria.
I contesti sopra esposti sono tutti problemi a cui il Sudafrica dovrà cercare di trovare una soluzione. La strada per Pretoria è ancora molto ripida e, nel lungo periodo, puntare esclusivamente su una sfrenata crescita economica potrebbe non bastare a garantirsi un posto nel “club” dei Paesi emergenti e ad assumere il ruolo di solido “mattone” dell’economia globale del nuovo secolo.
* Stefano Martella è Dottore in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali (Università del Salento)
Approfondimenti:
Camera di Commercio italo-sudafricana, Scheda Paese Sudafrica, 2011