«Non dimentichiamoci che il padre di Mario Monicelli si era ucciso con un colpo di pistola in bocca. Sento già qualcuno dire “poveracci, ma allora era una famiglia di pazzi”. Tutto il contrario: era una famiglia colta e profondamente laica». Questa frase, di Chiara Rapaccini, compagna del suicida Mario Monicelli, contiene la risposta del perché il tema della morte sia diventata una vera ossessione della nostra secolarizzata società. Non è vero che si sceglie l’eutanasia per la sofferenza, ma perché si ritiene la propria esistenza indegna di essere vissuta.
Papa Francesco ci ha insegnato che «quando non crediamo in un orizzonte che va oltre quello della vita presente; quando si vive come se Dio non esistesse», concezione «tipica del pensiero ateo, che interpreta l’esistenza come un trovarsi casualmente nel mondo e un camminare verso il nulla», allora «non abbiamo altra scelta che quella di occultare la morte, di negarla, o di banalizzarla, perché non ci faccia paura». E una forma di banalizzazione della morte è la “fiera del voyeurismo funebre”, come definita da “Il Foglio”, della celebrazione di coloro che si sono suicidati, come fossero eroi da imitare: Mario Monicelli, Carlo Lizzani, Lucio Magri e Carlo Troilo. In comune l’appartenenza politica, culturale e sociale al comunismo laico.
I loro parenti hanno voluto ricordarli in un articolo su “Repubblica”, dove si invoca l’Illuminismo, l’autodeterminazione assoluta, la laicità e l’avversione alla Chiesa. E dove alcuni cercano di giustificare il suicidio del loro caro come “atto di coraggio” o di “libertà”. Ma quale coraggio? Il coraggio è rimanere a lottare per afferrare il senso della vita, non abbandonare la barca. Ma quale libertà? Il suicidio è l’antitesi della libertà, ed infatti tramite esso non si diventa più liberi ma si perde tutto.
La loro era «una generazione che non si accontentava di sopravvivere», ha detto Luciana Castellina, compagna di Lucio Magri. E’ vero, senza un reale Senso che dia scopo e vigore alla vita, gli uomini sono destinati a sopravvivere, non a vivere. E nessuno si accontenta di questo. E’ una dichiarazione di fallimento dell’utopia laica, comunista ed illuminista in cui credeva Magri, e in cui credono ancora in tanti.
Per questo Papa Francesco ha iniziato la sua enciclica, “Evangelii Gaudium” con queste parole: «La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia. Nessuno potrà toglierci la dignità che ci conferisce questo amore infinito e incrollabile. Egli ci permette di alzare la testa e ricominciare, con una tenerezza che mai ci delude e che sempre può restituirci la gioia».
La proposta cristiana è ancora più attuale per gli uomini di oggi. Come ci ha insegnato anche Benedetto XVI, «All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e, con ciò, la direzione decisiva». Rispettiamo Lucio, Mario e Carlo, ma non sono per noi degli esempi. Non è il fallimento ciò a cui aspira l’uomo, ma un nuovo orizzonte in cui colmare la sua inquietudine. “Ci hai fatti per te, Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te” (Sant’Agostino).
La redazione