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Il superstite, tra dramma psicologico e trattato socio-culturale

Creato il 08 marzo 2014 da Oggialcinemanet @oggialcinema

8 marzo 2014 • Recensioni Film, Vetrina Cinema •

Il giudizio di Antonio Valerio Spera

Summary:

Si staglia tra il dramma psicologico e il trattato socio-culturale l’opera prima di Paul Wright, Il superstite, già passata ed apprezzata alla Semaine de la Critique dell’ultimo Festival di Cannes e in numerose altre manifestazioni internazionali. Il giovane regista scozzese, dopo una fortunata e premiata gavetta nel mondo del cortometraggio, sceglie una storia complessa e stratificata per il suo esordio nel lungo. Quella di Aaron (un ottimo George MacKay), giovane disadattato che vive in un piccolo paese di pescatori della Scozia. Dopo un incidente in mare il ragazzo vive la difficile situazione di essere l’unico sopravvissuto alla tragedia. Con i sensi di colpa, le accuse del resto del villaggio e il dolore per la perdita del fratello, insieme con lui sulla barca e mai tornato a terra, Aaron sprofonda in un tunnel psicologico senza uscita che lo spinge a decidere di tornare in mare.

Il superstite

Un’immagine tratta dal film

Il superstite è un film di attori e di atmosfere, che procede per opposizioni. La prima è quella tra presente e passato (rimosso), che Wright sceglie di portare avanti con continui flashback finalizzati alla ricostruzione dei fatti e del carattere del suo protagonista. La seconda è quella tra il singolo e la società, rappresentata dal contrasto tra il mondo personale di Aaron e le credenze popolari del paese di pescatori. La terza invece è quella che si instaura tra l’universo limitato e quasi claustrofobico di quest’ultimo e l’immensità dispersiva del mare, un’immensità misteriosa, enigmatica e anche dolorosa. Questa serie di opposizioni trovano il loro corrispettivo anche nella forma e nello stile con cui il regista sceglie di cristallizzarle sullo schermo.

Uno stile che gioca continuamente sull’alternanza di formati e di grana, con tonalità che si muovono costantemente tra il dramma realistico e la favola leggendaria e con un continuo scambio di primissimi piani, realizzati con una macchina a mano instabile e frenetica, e poetici campi lunghi che insistono quasi in modo pittoricamente romantico sull’inserimento dei personaggi nel cupo panorama paesaggistico scozzese.

Se questa ricerca formale da una parte affascina e colpisce, lanciando i segnali di un autore coraggioso e interessante, dall’altra però appesantisce la narrazione, che ne risente in ritmo e che così ritorna troppo spesso su stessa stentando a raggiungere con chiarezza i suoi obiettivi.

A salvare il film e a spingerci verso una rilettura completa dello stesso è comunque il finale, emozionante quanto suggestivo, che ci fa venir voglia di rivedere presto il tocco di Paul Wright sul grande schermo. Un tocco che aspettiamo al varco della seconda prova, con la speranza di una maturità maggiore.

di Antonio Valerio Spera per Oggialcinema.net

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