In questi giorni i Baustelle hanno rieditato a dieci anni di distanza il loro primo album, Sussidiario illustrato della giovinezza, che negli ultimi tempi era reperibile solo su ebay e a prezzi assurdi intorno ai 200 euro. Ora che si può trovare a prezzi minori, per quanto a volte altrettanto assurdi, finalmente l'album potrà arrivare ai fan che il gruppo ha faticosamente acquisito con il tempo, a partire da La malavita e soprattutto dopo Amen e I mistici dell'occidente. In fondo è il destino di chi ce la fa, quello di essere recuperato e rivalutato. Ma con il Sussidiario dei Baustelle, nonostante loro per primi ci tengano a dire che è un lavoro ingenuo, non c'è molto da rivalutare, perché era e resta un album bellissimo, acerbo e inventivo come il lavoro di una band può essere quando non c'è una major a produrre, quando la rabbia adolescenziale e il coraggio di scelte che vanno dal melodramma spinto alla melodia più bieca sono discusse solo tra i musicisti e non con gli esperti di music business. Se qualcosa i Baustelle l'hanno persa, oltre al contributo fondamentale del tastierista Fabrizio Massara, che fino a La malavita è stato con Bianconi il leader e il responsabile delle scelte musicali, è proprio la capacità di spaziare tra stili e influenze, senza troppa consapevolezza e con parecchio istinto in più. Non hanno smarrito il loto talento, quando sono arrivati sugli scaffali in vista del Fnac, ma un po' della loro sacra innocenza forse sì.
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In questi giorni i Baustelle hanno rieditato a dieci anni di distanza il loro primo album, Sussidiario illustrato della giovinezza, che negli ultimi tempi era reperibile solo su ebay e a prezzi assurdi intorno ai 200 euro. Ora che si può trovare a prezzi minori, per quanto a volte altrettanto assurdi, finalmente l'album potrà arrivare ai fan che il gruppo ha faticosamente acquisito con il tempo, a partire da La malavita e soprattutto dopo Amen e I mistici dell'occidente. In fondo è il destino di chi ce la fa, quello di essere recuperato e rivalutato. Ma con il Sussidiario dei Baustelle, nonostante loro per primi ci tengano a dire che è un lavoro ingenuo, non c'è molto da rivalutare, perché era e resta un album bellissimo, acerbo e inventivo come il lavoro di una band può essere quando non c'è una major a produrre, quando la rabbia adolescenziale e il coraggio di scelte che vanno dal melodramma spinto alla melodia più bieca sono discusse solo tra i musicisti e non con gli esperti di music business. Se qualcosa i Baustelle l'hanno persa, oltre al contributo fondamentale del tastierista Fabrizio Massara, che fino a La malavita è stato con Bianconi il leader e il responsabile delle scelte musicali, è proprio la capacità di spaziare tra stili e influenze, senza troppa consapevolezza e con parecchio istinto in più. Non hanno smarrito il loto talento, quando sono arrivati sugli scaffali in vista del Fnac, ma un po' della loro sacra innocenza forse sì.
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