30 ottobre 2014 Lascia un commento
E’ la finzione di un diario ritrovato 700 anni dopo la sua scrittura da parte di Avis Cunningham moglie di Ernest Everhard, ossia colui che si mise alla testa della rivoluzione che volle cambiare le sorti del mondo.
La storia inizia i primi anni del 1900 e si protrae sin verso 1932 laddove tutta la prima parte altro non e’ che l’enunciazione delle idee socialiste del protagonista e di London ovviamente, in forma di dialoghi contrapposti ad altri personaggi la cui logica viene smembrata dalla limpidezza del pensiero del nostro. Il sistema e’ buono, soprattutto evitando dissertazioni in forma di trattato che avrebbero avuto un ben diverso appeal col lettore per quanto diciamocelo, e’ un facile metodo retorico per spruzzare di democrazia un monologo mascherandolo da dialogo.
"Il tallone di ferro" che anticipa di un anno il ben piu’ celebre "Martin Eden", funge da prefazione o anticipazione non certo nel soggetto ma quantomeno nella struttura di alcune sue parti, ovvero Everhard come Eden, ha queste cene di incontro-scontro nelle quali si mette e viene messo alla prova e che nel contempo fungono da sfondo allo sbocciare dell’amore qui con Avis controparte della Ruth del romanzo successivo, figura mutuata dalla realta’ da Mabel Applegarth.
Impossibile evitare la politica con un libro che e’ stato emblema e vettore delle idee socialiste anche laddove queste non erano ben accette ma per farlo servirebbe definire una volta per tutte l’uomo politico London, operazione ancora oggi incompiuta malgrado i decenni, anzi il secolo ormai intercorso dalla sua morte.
Quando un’opera o un autore vengono assurti a simbolo di fazioni opposte o al contrario da esse rifiutato, allora stiamo parlando di un uomo libero ma libero veramente. London fu certamente un socialista quando ricordiamoci che tutti i peggiori "ismi" del secolo scorso vantano le medesime origini ma al contrario dei piagnucolosi e imbelli rappresentanti di questa corrente di pensiero, egli si fece icona dell’uomo forte che sa conquistare la propria liberta’ economica e filosofica, attraverso il duro lavoro, lo studio e l’intelligenza, con nulla regalato e nulla dovuto. Consapevole delle proprie possibilita’ e dei sacrifici occorsi per le vittorie, non pote’ accettare l’idea di una uguaglianza a prescindere, di pari opportunita’ quello si ma all’interno dell’arena della vita dove alla fine, a vincere era necessariamente il piu’ forte. Credo che questo conflitto contribui’ alla sua distruzione e la sua fine, forse un suicidio, dopo aver ripudiato quel socialismo buono sulla carta, che gia’ rivelava le prime idiosincrasie e che presto avrebbe mostrato al mondo l’orrore in esso implicito. Chissa’ London cosa avrebbe pensato se avesse visto scorrere il sangue di decine e decine e decine di milioni di morti che a breve Stalin avrebbe esposto al mondo e soprattutto che avrebbe pensato scoprendo che il socialismo applicato si manifesta come amplificazione dell’orrore che lui attribuiva all’oligopolio.
Nel "Tallone di ferro" tutto cio’ e’ ancora a venire ma e’ ben chiaro che il privilegio delle classi abbienti, si doveva estirpare e che per farlo serviva un uomo piu’ uguale degli altri e in cio’ soluzione e sua negazione.
L’aurea epica e’ voluta e spicca lampante in quello che gia’ pare il proclama romanzato di un re condottiero nobile e antico. L’idea della fantascienza e’ blanda e la s’intende piu’ nell’uso delle date che nel racconto vero e proprio che per due terzi si occupa di santificare il London-pensiero e nella parte rimanente si susseguono una serie di fatti non particolarmente coerenti e pregni di mezzucci letterari dove i propri morti sono martiri trucidati, gli altri assassini puniti. Opera pesante e la sconfitta inflittagli dalla storia, depotenzia un’idea che seppur viziata dall’assenza di un contraddittorio, aveva le sue ragioni d’essere.
Comunque un pezzo interessante di storia e letteratura.