IL TESORO PIU' GRANDE di Fabiola D'Amico ( Cap. 3- 4 )
Creato il 27 febbraio 2011 da Francy


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3
L’aveva seguita per più di tre ore. Quella volta il capitano avrebbe dovuto sborsare un bel gruzzolo per il suo lavoro. La donna non si era fermata neanche un minuto a riposare, gironzolando tra i vascelli, cercando qualcosa. Che cosa? Si chiese infinite volte Michelito. Si avvicinava a ogni nave, le guardava per un momento poi tornava a camminare. Era quasi buio, quando si sarebbe fermata! Aveva una fame, pensò indispettito.
Ormai doveva essere esausta, nell’ultima mezzora l’aveva vista barcollare diverse volte. Si era addirittura tolta le scarpe e andava a piedi nudi. Osservandola da lontano, Michelito si disse che quella signora che aveva davanti era ben diversa da quella che era uscita dalla locanda poche ore prima. I capelli si erano completamente sciolti, il vestito era tutto sporco e il suo viso era ansioso e stanco. L’aveva anche vista piangere, nonostante questo, restava comunque bellissima. Bella ma pazza. Adesso si era incamminata in un cunicolo tra due magazzini e si era seduta a terra. Possibile che non sapesse che a quell’ora era pericoloso per le donne restare nel porto? E ora cosa doveva fare? Accidenti! Si stavano avvicinando due uomini dall’aria non proprio innocua. Se l’avessero vista, sarebbero stati guai grossi, d’altra parte da solo non avrebbe potuto difenderla, era troppo mingherlino per darle aiuto. Doveva trovare Juan e in gran fretta. Si allontanò correndo verso la zona ovest del porto dove era attraccato il vascello del capitano. Per fortuna non era troppo distante, sarebbero bastati pochi minuti. Non ce la faceva più. Era troppo stanca. Aveva camminato tanto che aveva perso la cognizione del tempo e non aveva trovato quella dannatissima nave! Doveva riposarsi qualche minuto, poi avrebbe ripreso la ricerca. S’infilò tra due magazzini e si sedette a terra incurante della sporcizia che le stava intorno. Chiuse gli occhi. La testa le stava scoppiando, avvertiva un dolore lancinante che rimbombava nel suo cervello ad ogni passo. Ormai era allo stremo delle forze. Non mangiava dalla mattina e quel boccale di birra non le aveva certo fatto bene. Aveva controllato quasi tutte le imbarcazioni del porto, piccole e grandi, ma non aveva trovato il Madre de Dios da nessuna parte. Dove diavolo era quella stupidissima nave? Le salirono le lacrime agli occhi, stava fallendo ancor prima di cominciare. Padre perdonatemi! Si asciugò le lacrime con le mani sporcandosi il viso. Doveva riprendere il cammino. Forza non è ancora detta l’ultima parola, non puoi arrenderti così! Si alzò con gran fatica, prese le scarpe e uscì nuovamente sulla banchina. «Ehilà, amico. Abbiamo compagnia. Bella vieni a farci divertire!». Due uomini dall’aspetto trascurato si avvicinarono. Isabella si guardò intorno sperando di vedere qualcuno, ma si accorse che il porto era deserto. Guardò i due uomini: indossavano due ampi capelli di feltro, bucati in più parti, camice di cotone grezzo, strappate e prive di maniche, dei corti calzoni e avevano i piedi, privi di scarpe, imbrattati di fango. Nervosamente, Isabella cercò di scansarli, ma quelli presero il gesto come l’inizio di un gioco, così si misero davanti impedendole di proseguire. «Josè vuole giocare!». Uno dei due strascicò le parole e dalla sua bocca uscì un odore nauseante. «Ehi bellezza, un po’ di gioco ci farà desiderare ancora di più quello che hai da offrici. Hai visto che palle di cannone tiene la donna?». L’uomo scoppiò a ridere alle sue parole, subito seguito dall’amico. Isabella li guardò completamente disgustata e intimidita, probabilmente la avevano scambiata per una meretrice. Indietreggiò pian piano cercando di approfittare di quel momento. Quando fu lontano da loro di almeno un metro, si volse di scatto e cominciò a correre. Credeva di farcela, in fondo quei due erano ubriachi. Non osava voltarsi indietro per vedere cosa facevano, ma non aveva tenuto in conto la stanchezza che l’aveva vinta pochi attimi prima. Ad ogni passo le pietre sulla strada si conficcavano nei piedi. Quello che l’era sembrato un gioco da ragazzi si stava rilevando un compito arduo. Le mancava il fiato, dovette rallentare. Qualcuno le afferrò un piede. Cadde a faccia in giù. L’urto fu violento, un dolore acuto si propagò in testa; per un attimo dimenticò gli aggressori. Qualcuno la girò con forza, la colpì al viso: «Zitta, puttana. Vuoi fare arrivare altri pretendenti?». Doveva aver gridato, ma Isabella non riusciva a ricordarsene: le girava la testa e la vista si era annebbiata e soprattutto aveva paura. S’impose di reagire,di provare a scappare di nuovo. Non poteva arrendersi. Cercò di allontanare il corpo sudicio che si dimenava sopra di lei, premendo con forza i palmi contro il petto dell’uomo, che cercava di baciarla, rilasciando il suo alito puzzolente sul suo viso. Conati di vomito la minacciarono. Volse la testa a destra e sinistra per non sottostare a tutto ciò. «Ehi, la piccola ha forza. Mi piace, ma io sono più forte. Josè tienila ferma. Il primo turno è mio, poi tocca…». Non terminò la frase, perché due braccia forti lo staccarono dalla donna, mandandolo a sbattere contro il muro. «Ti diverti a sbatterti una donna indifesa, non è vero? Ti piace pensare di avere abbastanza potere da soccombere uno più debole di te, non è vero? Anche a me, sbatterti contro il muro e fracassarti la testa, mi darà un enorme piacere. Allora che ne dici, ti soddisfa l’idea?». Juan non riusciva a dominare l’ira. Sentiva crescere dentro di sé una rabbia pericolosa, che voglia aveva di ucciderlo! Gli si avvicinò, prendendolo per la gola e cominciò a stringere. Vide il viso dell’uomo diventare verde, i suoi occhi imploravano pietà. Quante volte aveva ucciso in quel modo? «Juan, smettila. Vuoi cacciarti in qualche guaio?». La voce di Felipe s’insinuò nella sua mente, allontanando un sentimento di odio, che pensava di aver per sempre controllato. Dannazione aveva ragione. Per quel porco avrebbe potuto rischiare tutto quello per cui aveva lottato duramente. Lo lasciò andare, non prima di avergli detto: «Per questa volta, sei salvo; ma sta sicuro che la prossima volta non ascolterò i consigli del mio amico. E dopo averti strangolato, ti strapperò il cuore e lo darò in pasto agli squali. Non azzardarti a toccare più nessuna donna, hai capito? E, di al tuo amico, quando smetterà di correre, di fare lo stesso». L’uomo cominciò a scuotere la testa, massaggiandosi il collo. «Juan, la donna è svenuta. Che cosa facciamo?». Juan si voltò a guardare Isabella riversa sulla banchina del porto. Aveva il viso pallido, e il suo biancore era più evidente per il sangue che le colava dalla fronte. Si accostò e si accorse che inspirava a fatica. Stupide donne! Non avevano ancora capito che l’uso delle stecche di balena causava problemi seri alla respirazione. Le strappò i lacci che le tenevano stretto il corpetto. Per il momento non avrebbe potuto fare altro, poi la prese in braccio. «La portiamo con noi». E senza dire più una parola si avviò verso la sua nave. Mentre percorreva lo spazio tra il luogo in cui l’aveva trovata e il suo vascello, Juan si chiedeva che diavolo poteva averla portata fin lì. Da quando era uscito dalla locanda, a causa dei problemi che immancabilmente sorgevano all’ultimo minuto, aveva del tutto dimenticato la donna. Fino a quando non era arrivato Michelito a dirgli che Isabella si trovava in difficoltà. Era andato a passi veloci verso la direzione che il ragazzo gli aveva indicato, precedendo Felipe e il suo fidato informatore. Quando, poi, aveva udito le urla della dama, aveva cominciato a correre. La paura di arrivare troppo tardi gli aveva messo le ali ai piedi. Aveva provato un’ira profonda, quella stessa rabbia che durante la sua giovinezza lo aveva reso spietato e crudele verso i suoi nemici. In quel momento non aveva analizzato quel sentimento ma, ora, mentre procedeva spedito attraverso la banchina, con il morbido corpo della donna tra le sue braccia, ebbe paura. Era bastato un niente e il pirata barbaro che tutti disprezzavano era resuscitato: anni e anni di autocontrollo, spazzati via dall’urlo di una sconosciuta. Per un attimo i suoi occhi si posarono sul volto di Isabella: era bella da togliere il fiato. Distolse rapidamente lo sguardo: chiunque fosse, era sempre più convinto, che gli avrebbe portato soltanto guai. Eppure, stringendola tra le sue braccia, sentiva il desiderio di proteggerla. L’espressione dei suoi occhi si adombrò, la fronte corrugata in un cipiglio d’irritazione verso un folle sentimento che gli attorcigliava le budella e non lo faceva pensare. La sua andatura non barcollava sotto il dolce peso che trasportava, in fondo era abituato a carichi molto più pesanti, che non avevano certo quelle morbide curve, che stavano cominciando a torturarlo. Sentì il turgore del suo sesso crescere, pensieri licenziosi si frapposero al ricordo del passato. Con un sospiro di sollievo, avvistò la sua nave, l’unica casa che conosceva. Il Madre de Dio era un vascello a tre ponti. Era stato costruito alcuni anni prima e nel corso del tempo aveva subito parecchie riparazioni. Aveva scelto il legname per la sua costruzione personalmente: rovere per le cinte e i puntali, olmo per i draganti, pino per il fasciame interno ed esterno. Sulla poppa vi era una scultura di gran pregio, raffigurante una madonna attorniata da numerosi angeli. Aveva tre splendidi alberi portanti, tre pennoni e altrettante vele quadre, che con il vento in poppa si gonfiavano spingendo il vascello sulla distesa azzurra del mare. Ne era orgoglioso, coma una madre del proprio figlio, e il solo guardarla lo riempiva di felicità. La amava, intensamente. Con rapide falcate, attraversò la pedana che collegava la banchina alla nave, urlando: «Luis, abbiamo bisogno di te! Ferita alla fronte». Non si fermò ad aspettare che il medico di bordo lo seguisse, ma si diresse verso la sua cabina. Con un senso di disagio, adagiò il giovane corpo sul letto e le sbottonò del tutto il busto. Non appena la donna fu libera da quella mostruosa tortura, fece un gran respiro. «Cos’è successo?». Domandò Luis, mentre prendeva dalla sua borsa un fazzoletto pulito e lo bagnava nel rum, poi lo strofinò sulla ferita. «È stata aggredita, deve aver sbattuto la fronte, cadendo a terra». Mentre Juan parlava, Isabella schiuse gli occhi. «Si sta riprendendo. Segnorita riuscite a vedere quante dita sono?». La voce di Isabella era così fioca che Luis dovette abbassarsi per ascoltarne la risposta: «Due». «Bravissima. Adesso ditemi, dove vi fa male?». Dov’erano finiti i suoi aggressori? Dov’era? «Io devo andare. Vi prego aiutatemi a rialzarmi». Isabella cercò di sollevarsi, ma il dolore alla testa era insopportabile. Si lasciò ricadere tra i cuscini; doveva tornare a cercare Velazquez. I capelli si sparpagliarono sul cuscino, circondandole il viso, reso ancora più pallido per il contrasto con il nero della chioma. «Non andrete in nessun posto. Adesso siete al sicuro». Riconobbe subito la voce di quell’uomo. Aprì lentamente gli occhi e gli disse: «Signore, siete voi. Vi sono molto grata per avermi salvato da quei balordi. Se non foste arrivato chissà cosa mi sarebbe successo. Vi devo la vita». Aveva parlato con voce sommessa, anche pensare, le costava fatica e dolore. Un improvviso tremore lo assalì. Soltanto in quel momento, si rendeva conto di quel che aveva corso. Il capitano le prese la mano, stringendola delicatamente. «Vedervi qui, tranquilla, mi ripaga. Non dovete sentirvi in debito con me». Juan era attratto da quella bocca, da quegli occhi neri come la notte; era così diversa dalle donne che era abituato a frequentare. Nonostante la dura prova che aveva vissuto, era pronta a ripartire. Tuttavia, non poteva permetterglielo. «Allora lasciatemi andare. Sto già bene». Lo guardò con occhi imploranti. Dannazione, nessun uomo poteva rifiutare niente a quel meraviglioso sguardo. «Su non fate la sciocca. Non siete in grado di andare da nessuna parte. C’è forse qualcuno che vi aspetta?». «Voi non capite; io devo andare…». Stavolta era riuscita a mettersi seduta. Le girava un po’ la testa, ma era sicura di farcela. Doveva farcela. Juan le mise le mani sulle spalle spingendola delicatamente contro il letto. «Se avete bisogno di qualcosa, dite pure. Sono sicuro di potervi aiutare». «No, non potete. Vi prego lasciatemi andare. Non posso perdere altro tempo». Isabella non riuscì a trattenere le lacrime. Juan provò una fitta al cuore. «Fidatevi di me, chiedetemi qualunque cosa e ve la darò». «L’ho fatto e mi avete detto di non essere in grado di aiutarmi». «Io non ricordo. Forse ho sbattuto anch’io la testa». Riuscì a strapparle un sorriso. Un sorriso stanco. «Oggi, alla locanda. Devo trovare Juan Velazquez». Se fino a quel momento, lo sguardo dell’uomo era stato limpido, magari preoccupato, ora si adombrò. Strinse gli occhi, in modo minaccioso, scrutandola in silenzio, poi fissandola intensamente disse: «Avete cercato per tutto il pomeriggio il capitano Velazquez?». Che cosa doveva dirgli di così importante? Chi era? «Sì, e non mi fermerò fino a quando non l’avrò trovato. Dove sono le mie scarpe?». Doveva andarsene, nessuno poteva costringerla a rimanere. Juan la vide alzarsi e piegarsi verso il pavimento, alla ricerca delle scarpe. Con un sospiro, si disse che solo la verità l’avrebbe tranquillizzata. A questo punto, poteva solo confessare e scoprire il mistero. D’altra parte i segreti non gli erano mai piaciuti. «Tornate a letto. L’avete già trovato. Sono io Juan Velazquez». «Vi sono molto grata per le vostre attenzioni, ma mentirmi non risolverà il mio problema. Allora dove sono le mie scarpe?». Le aveva mentito per tutto il pomeriggio e ora che dichiarava la verità, lo prendeva per un bugiardo. E dire che aveva pensato che fosse una donna intelligente, ma cominciava a dubitarne seriamente. «Non so dove sono le vostre scarpe, non le avevate quando vi abbiamo trovato. E non vi ho mentito. Almeno non in questo momento». «Devo averle lasciate cadere mentre cercavo di fuggire. Andrò scalza». Si avviò zoppicando verso la porta,. Al dolore della testa si aggiunse quello dei piedi. Quando sarebbe finita quella giornata? All’improvviso si sentì sollevare. «Accidenti. Volete lasciarmi stare? Voi non capite quanto sia importante per me trovare il capitano Velazquez». «Se fosse così importante, mi dareste ascolto e la smettereste di fare la testarda». La mise di nuovo sul letto, e avvicinò il suo viso a quello di lei. «Sono io Juan Velazquez. E non intendo più ripeterlo. Ora siete libera di credermi o no, ma ricordatevi che se lascerete questa nave perderete l’occasione di parlami. Allora cosa decidete?». Isabella lo fissò confusa; era possibile che quell’uomo, così affascinante e gentiluomo, fosse lo stesso che aveva sequestrato il padre? Non poteva correre il rischio di sbagliare. «Perché avreste mentito alla locanda? Ho bisogno di prove. Dimostratemi che siete il capitano Velazquez». Lui la guardò stupito, poi furiosamente. Si allontanò di scatto; quella donna lo attraeva fisicamente, non poteva negarlo, ma lo infastidiva psicologicamente. Cominciò a camminare nervosamente per la stanza. «È incredibile. Volete delle prove per dimostrarvi la mia identità!». Si avvicinò di nuovo al letto e si chinò verso Isabella. E si perse in quei meravigliosi occhi neri; soltanto un ferreo autocontrollo gli impedì di tacerla con un bacio, rispondendo offeso: «La mia parola è una prova». «Quello che devo dire al capitano è una questione troppo delicata. Non posso correre il rischio di confidarla alla persona sbagliata». Non aveva distolto lo sguardo neanche una volta, sembrava che non fosse per nulla intimidita dagli occhi dell’uomo, che si adombravano spesso, nonostante cercasse di mascherare i suoi sentimenti. La sua voce era calma, il corpo rilassato, stava con le mani giunte come una matrona in attesa. Tutto ciò irritava Juan. «Vi ho salvato la vita e mi considerate la persona sbagliata. Bella gratitudine!». Alla fine avrebbe abbassato lo sguardo. Sì dolce e affascinante quando dorme, una tigre quando è sveglia, pensò Juan. «Avete capito cosa volevo dire. Non fate l’ipocrita!». Gli vide spalancare la bocca e poi richiuderla subito. «In fondo vi chiedo di dimostrarmi chi siete. Non dovrebbe essere così difficile». Oddio, pensò Isabella che stava facendo? Non si era mai comportate in modo tanto puerile. Era chiaro che il capitano stava per perdere la calma. Con il cuore che le batteva furiosamente, gli vide contrarre la mascella. Lui si allontanò di scatto, fissò per attimi interminabili, il mare attraverso l’ampia finestra. Isabella rimase a guardare le larghe spalle, le gambe divaricate e senza rendersene conto immaginò i loro corpi intrecciati. Arrossì di vergogna, mai aveva avuto pensieri così lascivi. «D’accordo. Chiederemo al mio ufficiale di bordo come mi chiamo». Aveva già aperto la porta, quando le parole di Isabella lo fermarono di colpo. «Signore, vi prego, mi reputo una persona intelligente, potreste mettervi d’accordo con lui e fargli dire quello che vi fa più comodo». Juan si voltò verso la donna, non cercò in nessun modo di mascherare l’ira che stava crescendo in lui. Che andasse al diavolo lei e il suo problema! Sbatté la porta con forza, poi si voltò a guardarla. La vide portarsi le mani alle tempie. Ma sì, soffrisse pure, se lo meritava. «Sapete? Me ne infischio di voi, del vostro problema, di chi siete, di chi io sia. Volete andarvene? Fate pure. La porta è questa e quando la attraverserete, credetemi mi sentirò l’uomo più felice sulla faccia della terra. Siete più terrificante di un’invasione di locuste». Dopo averle fatto un inchino, lasciò la stanza. Isabella fissò sconvolta la porta che si chiuse alle spalle del capitano; mai nessuno si era rivolto a lei in quel modo tanto villano. Era tentata di tirargli addosso qualcosa e togliergli dal viso quell’espressione ombrosa; ma subito il pensiero del padre le fece abbandonare quei pensieri assassini… Che cosa aveva fatto! Se era veramente Juan, non aveva più speranze di convincerlo. Quando si era voltato a guardarla, aveva avuto paura. Gli occhi blu erano diventati di ghiaccio e il tono della sua voce misurato. Si era mostrato calmo, ma sotto doveva essere un vulcano. Eppure doveva accertarsi della sua identità, ma come? Il dolore alla testa non le consentiva di riflettere con calma, si sentiva debole e aveva le vertigini. Poggiò il capo sul cuscino. Doveva riposare qualche minuto. Chiuse gli occhi. Si allontanò dalla stanza in preda all’ira. Nessuno aveva mai dubitato della sua parola, men che meno una donna. Era insopportabile, come aveva fatto a trovarla affascinante? «Capitano, come sta la signorina?». Luis apparve dal nulla. «Non lo so e non me ne importa». Da quel momento non esisteva più alcuna Isabella Gonzaga. «L’avete lasciata sola? Non deve assolutamente addormentarsi. È pericoloso dopo aver sbattuto la testa». «Che vuoi che me ne importi. Vada al diavolo!». Luis rimase sbalordito. Il capitano non aveva mai parlato in quel modo. Lo vide percorrere a lunghi passi lo stretto corridoio, sembrava un animale braccato. «Accidenti a lei e a chi me l’ha portata». Con queste parole tornò ad aprire la porta della sua cabina. Luis rimase ancora più sbalordito. Scrollò le spalle, questa volta non riusciva a capirlo. Juan era adirato, soprattutto con se stesso. Quella donna era riuscita a fargli perdere il suo proverbiale autocontrollo. E questo non poteva permetterselo; irruppe nella stanza, ben deciso a mettere in chiaro che era lui a comandare. «Avrei dovuto lasciarvi violentare e magari morire. Non avete il minimo senso della gratitudine». Sapeva di dire parole prive di senso, ma voleva ferirla come lei aveva fatto con lui..... Isabella aprì lentamente gli occhi. «Non dite sul serio». Poi cercò di regalargli il suo più bel sorriso. Doveva essere stato più che altro una smorfia, giacché il capitano non mostrò segni di rasserenamento, ma continuava a guardarla con espressione adirata. Con un sospiro tornò a chiudere gli occhi. «Aprite gli occhi. Non vi permetterò di addormentarvi. Se dovesse accadervi qualcosa, sareste capace di apparirmi ogni notte in sogno e torturarmi». Ogni parola che diceva era senza senso, ma era troppo turbato per prestarci attenzione. Si sedette sul letto e le prese una mano. Era così fredda! Dannazione, possibile che una donna sconosciuta potesse mettere sottosopra la sua vita ordinata? La trovava fastidiosa, ma nello stesso tempo voleva proteggerla. Isabella spalancò gli occhi: «Ho trovato. So io il modo per dimostrarmi chi siete!». Juan le lasciò subito la mano, come se si fosse scottato. Non si arrendeva mai? «Sì, si mostratemi il vostro sigillo». Disse tutta eccitata. Che diavolo ne sapeva del suo sigillo? Ancora una volta tornò a chiedersi chi fosse realmente quella donna. Quanto sapeva di lui? La guardò fisso, l’espressione seria. Poi si alzò e andò verso lo scrittoio. Tornò da lei con il palmo aperto, mostrandole l’oggetto che aveva richiesto. Isabella tese la mano verso di lui e, ignorando il brivido che percorse il suo corpo, quando le loro dita si sfiorarono, prese l’oggetto. Quando vide l’aquila reale disegnata sull’anello, tirò un sospiro di sollievo. Non riuscì a trattenere le lacrime, che calde scivolarono sulle guance pallide. Finalmente l’aveva trovato non tutto era perduto. Nonostante il sollievo, provò una fitta di dispetto, lo fissò con gli occhi lucidi… si era fatto beffe di lei, mentendogli; l’aveva costretta a camminare tutto il pomeriggio; aveva rischiato di essere violentata da viscidi individui. Che razza di uomo era? D’altra parte, suo padre l’aveva avvisata, non era altro che un pirata spietato e menzognero. Non poté trattenersi e gli urlò contro: «Bastardo. Avete idea di quello che ho passato per cercarvi? Sono caduta nelle mani di due individui rozzi…». Non seppe mai dove trovò la forza di tempestare di pugni il petto dell’uomo. «Siete l’uomo più odioso che abbia mai conosciuto!». Juan lasciò che la dama si sfogasse, era stata una giornata lunga e faticosa, qualunque cosa l’avesse portata da lui, doveva essere importante e lui non le aveva facilitato il compito. Si era comportato da perfetto bastardo, ma a sua discolpa poteva dire che non sapeva chi era. Dopo alcuni attimi, le imprigionò le braccia e gliele mise sopra la testa. Il suo seno si alzava e si abbassava al ritmo del respiro affannoso. La bocca di Juan era a pochi centimetri da quella di lei, fece un grande sforzo per controllarsi e non baciarla. «Adesso ascoltatemi attentamente. Non so chi siete, né se mi avete detto la verità circa il vostro nome. E non avete alcuna prova per dimostrarmi la vostra identità, al contrario di me! Non vi siete fidata della mia parola, perché mai avrei dovuto fidarmi di voi?! Neanche avevo idea che fosse così importante trovarmi». Isabella si concentrò su quelle semplici parole, poiché l’odore di lui la avvolgeva, la sua vicinanza la inebriava. Che cosa le stava succedendo? Scacciando quegli insensati pensieri rifletté su ciò che lui aveva detto. Dio del cielo, aveva ragione. Chiuse gli occhi per un attimo, era stanca, ma non avrebbe ammesso di aver sbagliato. Adesso doveva concentrarsi e riuscire a convincerlo ad aiutarla, anche se aveva l’impressione che non sarebbe stata un’impresa facile. ...
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