In una delle mie rare velleità artistiche, scrissi un racconto che parlava di un malato in fase terminale, il quale per sfuggire alla sua situazione si ritagliava una via di fuga verso altri ambienti e mondi perfettamente realistici, dove ogni capriccio sessuale era alla sua portata.
Mi resi conto che il plot offriva una serie di spunti pressoché illimitati, per personaggi, fantasie, e situazioni. Quando però pubblicai una bozza su neteditor, una piattaforma di scrittura, mi si fece notare, al di là dei commenti perlopiù lusinghieri, che abbinare epiteti e comportamenti a nomi propri facilmente riconducibili a personaggi reali, fosse alquanto sconsigliato dal punto di vista legale.
L’utente in realtà fu fin troppo gentile. Il racconto di per se non era memorabile, e avrebbe meritato una totale riscrittura o meglio ancora l’oblio.
E ora veniamo alla cronaca quasi recente.
In questi giorni ha riempito le prime pagine la testimonianza di Ruby finita nelle motivazioni della sentenza di condanna in primo grado, processo che ha per imputato l’ex primo Ministro ed ex senatore Silvio Berlusconi. Secondo la testimonianza Ruby apre la porta (forse cercava il bagno, non è dato sapere), e si imbatte in un triangolo amoroso con Berlusconi, Belen e Nicol Minetti, dove l’iperattivo imprenditore brianzolo dà e riceve piacere oralmente. Sempre Ruby si fa testimone di un’altra immagine evocativa e perturbante: Barbara D’Urso, Mara Carfagna, la Yespica, Belen e compagnia bella, completamente nude, intente a masturbarsi sinuosamente quasi fossero partecipanti ad un rito misterico pre-cristiano.
manca solo la De Girolamo, peccato
Al centro del rito un estatico Berlusconi vestito elegantemente, che successivamente lo vedrà impegnato in un cunnilingus con Sara Tommasi. Testimonianze che ritraggono un Berlusconi insolito, con in bocca più il sesso femminile che la parola “comunisti”.
Nulla importa che le dirette interessate abbiano prontamente smentito presso i loro avvocati ed uffici stampa, e nemmeno che l’appetito sessuale di un ultra settantenne risulti un po’ inverosimile, perché ciò è praticamente irrilevante ai fini del racconto. Un aspetto interessante è che viene aggirato il limite legale dello sfruttamento dei personaggi, aspetto che in parte mi frenava nel racconto di cui sopra, perché in un certo senso è lo scrittore collettivo, la magistratura stessa, a suggerirne la trama.
È irrilevante persino la forma. Dove finisce per incepparsi una prosa più lirica e formale, arriva in soccorso un linguaggio legnoso e tecnico tipico del grigio leguleio, capace però di dipingere immagini che si stagliano alte e irregolari come ombre danzanti di un falò, parole che si infiltrano come un virus nei racconti e nelle chiacchiere degli uffici, infettando come una gonorrea lessicale l’immaginario collettivo.
Era quello che succedeva coi grandi romanzi popolari seppur in maniera meno virale. Il tono neo-puritano che permea l’intero processo e i giudizi al di fuori di esso, appare solo un peccato veniale. Non ne mina la forza letteraria, non ne interrompe il racconto, per quello che può essere definito il romanzo popolare 2.0 in cui tutti si ricorderanno del protagonista e nessuno dello scrittore.