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Il trade off sesso-intelligenza

Creato il 02 settembre 2011 da Symbel

Il trade off sesso-intelligenzaMartedì 30 agosto 2011, homepage del sito internet dell’Ansa. Una copertina curiosa cattura l’attenzione, il cui titolo recita “Il sesso non è cosa per intelligenti” . Nel contenuto dell’articolo associato, sono sintetizzati i risultati di alcune ricerche in tema evoluzionistico, psicologico, sociologico e sessuale. In particolare, la sociologa Rosemary Hopcroft dell’Università della Carolina del Nord a Charlotte, sembrerebbe aver provato che “l’intelligenza è associata negativamente con la frequenza dell’attività sessuale”. Anche il grado di istruzione non sarebbe esente dallo scaturire ulteriori effetti, giacché viene citato il risultato del sondaggio National Survey of Family Growth:” più alto il livello di istruzione, minore il numero di partner collezionati in passato”. Infine una materia grigia troppo sollecitata e non lasciata a sonnecchiare, secondo gli studi di Carolyn Halpern della Università della North Carolina a Chaperl Hill, è suscettibile di ulteriori conseguenze sulla vita sessuale, in quanto la professoressa ha osservato “un’alta concentrazione di giovani ancora vergini tra coloro che hanno le doti per sedere sui più alti gradini della scala dell’intelligenza”.

Soffermandosi sui risultati clamorosi (?!) di queste brillanti linee di ricerca (!?), va intanto sottolineato che il titolo dell’articolo risulta una efficace scelta di marketing per attirare lettori, ma non certo aderente con il contenuto dello stesso. Tant’è che non sembrerebbe assolutamente esserci una insanabile contraddizione tra il saper far funzionare il cervello, e l’azionare ritmicamente e con risultati godibili i muscoli del basso ventre. Una delle tre affermazioni di cui sopra, infatti, sostiene che più una persona è istruita (che per inciso non è assolutamente garanzia di intelligenza), meno partners ha avuto. Ma il numero di persone con cui si è avuto rapporti sessuali è indice di sfiga o scarsa accuratezza nella scelta della coppia, in caso di ricerca di relazioni stabili, o dell’esercizio della opzione “meno impegno, più fidanzati”, in caso contrario: non certo di frequenza e intensità dei rapporti sessuali.

E le argomentazioni a demolizione della idea di contraddizione tra intelligenza e sesso, non si fermano qui. Quanto infatti ai risultati delle due ulteriori ricerche citate, non si fa minimamente riferimento alla intensità e qualità dei rapporti fisici, ma solo ed esclusivamente alla frequenza ed alla data di inizio. Bisognerà dedurne che tre sveltine occasionali siano preferibili ad una unica unione, magari fantasiosa e con tanto di trasporto affettivo, di un’ora e mezza? Senza contare che la frequenza è funzione del tempo in cui viene calcolata, e se il momento della perdita della verginità viene spostato in avanti nel tempo, automaticamente l’asticella da cui si comincia a calcolare la frequenza viene inevitabilmente traslata, alterando così il risultato.

Detto ciò, l’articolista dell’Ansa, che ha riportato queste mirabili e rivoluzionari conclusioni sul sesso, inteso come variabile dipendente dall’intelligenza e dalla cultura, non si è limitato a riportare i risultati delle ricerche, ma si è spinto a trarne le conclusioni (sintetizzate del resto nel titolo), e condendo qua è là il testo con chiari verdetti. Come nell’esordio del pezzo, con il laconico e poco fraintendibilela ricerca scientifica dimostra che chi spicca per intelligenza e ha curriculum scolastico e accademico di tutto rispetto è “carente” su un altro versante, il sesso”, per ribadire poi in seguito che “l’associazione negativa tra sesso e intelligenza si rileva sin dall’età adolescenziale”.

A conti fatti, i messaggi veicolati sono i seguenti: che un buon sesso equivale ad alta frequenza di coiti, possibilmente collezionando più partners possibili, e che perdere la verginità non precocemente sia negativo. In un contesto come quello di oggi dove l’esigenza di veicolare messaggi positivi giunge da più parti, niente male!

In fin dei conti, gli stessi risultati potevano dare adito a considerazioni ben diverse. Per esempio, il fatto che i più acculturati annoverino meno ex tra le loro fila, potrebbe essere segno di maggiore capacità e attenzione nella scelta del compagno/a, anziché essere visto come segno di goffaggine. E che le ragazze intelligenti conservino per qualche tempo in più la verginità, rispetto alle coetanee di statura intellettuale inferiore, magari come una riscoperta del dono della illibatezza, e l’attesa di una maggior consapevolezza per vivere il momento della sua perdita.

Chissà, magari chi ha redatto il pezzo per l’Ansa ha in realtà tratto queste stesse conclusioni, ma ha voluto far credere di non averle comprese per ostentare maggiore virilità, in ossequio alla tesi da lui esposta. Al contrario dello psicologo evoluzionista Aurelio José Figueredo dell’Università dell’Arizona, le cui tesi chiudono l’articolo, e che si possono riassumere così: i più intelligenti lo fanno di meno perché si conservano, studiano, e nel momento della riproduzione hanno quindi più risorse da destinare ai propri discendenti. Chissà che il buon Aurelio José non stia nascondendo certe pochezze dietro il velo del patentino di intelligentone…

Quanto a noi, l’angoscia è finita! Come avremmo potuto accettare di essere solo intelligenti o solo ben forniti e capaci di accontentare i partners? E nella malaugurata ipotesi di dover accettare il trade off, dove mai avremmo scelto di schierarci?
Vivaddio ora possiamo comprendere la notizia delle ricerche della Carolina del Nord sotto una nuova luce. Possiamo sentirci intelligenti, ma modestamente anche abili sotto le lenzuola.
Ovvio che ci potranno essere anche quelli un po’ tontoloni e contemporaneamente mosci. Ma, per fortuna, questo non è il nostro caso, giusto?

Masonmerton (collaboratore)

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