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Il tragico intreccio degli ultimi giorni di vita di due fidentini

Creato il 10 febbraio 2013 da Ambrogio Ponzi @lucecolore

Il tragico intreccio degli ultimi giorni di vita di due fidentini

L'auriga Cap.no Cavanna ed Ettore Ponzi  il 24 04 1942 a Pestani Ocrida 

Un articolo apparso pochi giorni fa sulla Gazzetta di Parma (vedi sotto) ci ricorda la tragica vicenda di due nostri concittadini in Albania nel lontano 1943, aggiungendo altre informazioni a quanto avevamo già scritto in precedenza  nel post "Albania 1943: il Cappellano Militare Cap.no Domenico Cavanna", unendo nel ricordo del cappellano Don Domenico Cavanna il militare fidentino Gino Ramenzoni fratello di Bruno Ramenzoni, ex internato militare recentemente insignito della Medaglia d'Onore.

 
Il tragico intreccio degli ultimi giorni di vita di due fidentini

Don Cavanna, quel gesto eroico che gli costò la vita

(da "la Gazzetta di Parma")
Il tragico intreccio degli ultimi giorni di vita di due fidentini
Durante la recente cerimonia svoltasi in prefettura a Parma per la «Giornata della memoria», che ha visto la consegna dei riconoscimenti anche ai fidentini Bruno Ramenzoni e Arnaldo Vascelli, e all'appuntamento organizzato dal Comune di Fidenza a Casa Cremonini, è riemerso il tragico intreccio degli ultimi giorni di vita di altri due fidentini, il militare Gino Ramenzoni e il cappellano militare don Domenico Cavanna. Il sacerdote (nato a Farini D'Olmo, in provincia di Piacenza, nel 1906), venne ucciso mentre prestava aiuto al concittadino e ad altri soldati feriti. Pochi conoscono il suo gesto eroico. Era il 12 ottobre 1943 quando don Cavanna, appartenente alla Divisione «Arezzo» - durante la campagna di Grecia e subito dopo i fatti dell'8 settembre - si ritrovò in ritirata verso l'Italia sulla strada per Argus Castoria, in Albania, zona in mano alle bande del maresciallo Tito, insieme ad altri militari tra i quali, appunto, il borghigiano Gino Ramenzoni che, armato, stava coprendo la fuga ai commilitoni.  Don Cavanna, uomo di grande fede e con un profondo senso per la patria e il tricolore, teneva uniti tutti i giovani soldati con le sue parole. «L'importante è che noi tutti stiamo uniti: solo così potremo raggiungere la nostra Patria. Eleviamo, intanto, a Dio un'ultima preghiera, prima di incamminarci verso Castoria», furono le sue ultime parole, come viene riportato nell'articolo di Francesco S. Timo sul sito internet di memorie di guerra e prigionia di Ettore Ponzi, che fu amico di don Cavanna (www.ponziettore.it).  Una banda di partigiani di Tito attaccò all'improvviso il drappello in marcia. Una scarica ferì gravemente Gino Ramenzoni (fratello di Bruno, internato nel lager tedesco di Munster), che cadde al suolo. Il fidentino, che capì di essere sul punto di morte, chiamò i commilitoni e in particolare don Domenico affinchè lo raggiungesse per impartirgli l'estrema unzione. Il sacerdote, senza perdere tempo, scendendo da un automezzo, prestò soccorso al ferito che riuscì a ricevere il sacramento. Una nuova scarica, però, lo colpì in pieno mentre portava a termine la sua sacerdotale missione. Uno solo dei 22 uomini riuscì a sottrarsi alla strage e ritornò, dopo tre giorni, al posto di combattimento. Don Cavanna venne soccorso e trasportato all'ospedale di Corizza, dove poco dopo morì pronunciando parole di incitamento verso i soldati manifestando, così, fino all'ultimo, il suo attaccamento alla sua fede e alla Patria. «Quello della salute non è il solo pensiero che mi perseguita ora che sono tornato a casa - ricorda nelle sue memorie Bruno Ramenzoni, fratello di Gino, da poco insignito della medaglia della prefettura e tra i protagonisti dell'incontro organizzato dal Comune di Fidenza - ma l’aver saputo così improvvisamente, con due anni di ritardo, della morte di mio fratello maggiore Gino, quello che io ammiravo, perché più forte e più esperto di me. Quando fu ucciso indossava la camicia nera. Non per volontà propria, ma per decisione della famiglia che gli impose di iscriversi come volontario per evitare che nostro fratello più giovane andasse in guerra. Ci fu un litigio in famiglia: Paola, moglie di Gino, non voleva che il marito partisse ancora per la guerra. Aveva già fatto la campagna d’Africa ed avevano avuto la gioia di avere subito un figlio, Gigi».  «Tutta la famiglia era sconvolta dal racconto sulle circostanze in cui mio fratello Gino perse la vita - racconta ancora Bruno, la cui testimonianza è stata letta in diretta radio, durante il recente incontro, dalla giovane attrice fidentina Gloriamarì Gorreri. Fu circondato quando si trovava in ritirata assieme ad altri concittadini: alcuni provarono a scappare con i camion ma lui, com'era suo dovere di mitragliere, coprì la loro fuga, una ritirata verso l’Italia. Gino fu colpito al collo e alla testa con una ferita mortale.  Era troppo esperto per non capire che quella ferita gli avrebbe a breve tolto la vita. Gino, moribondo, con il volto insanguinato, allungò la mano verso gli amici in fuga gridando con la poca voce che ancora gli rimaneva voglio i sacramenti prima di morire: ''non voglio morire così'', urlò. A quel punto, sulla camionetta che stava sfuggendo all'agguato, il sacerdote e concittadino don Domenico Cavanna, che stava fuggendo grazie al suo sacrificio, fece un gesto di altruismo che gli altri sul camion cercarono di impedire. Provarono ad afferrarlo, cercarono di dissuaderlo, gli dissero che era inutile tentare di salvare Gino, era ormai spacciato, sarebbe stato un suicidio inutile. Ma don Cavanna saltò giù costringendo al camion a rallentare e fece il suo dovere di sacerdote. Riuscì a confessare ed aiutare al trapasso Gino e tutti gli altri soldati feriti e moribondi. Alla fine venne a sua volta ferito mortalmente e volutamente in segno di disprezzo verso il sua missione di sacerdote. Questo gesto eroico è rimasto non premiato e non riconosciuto fino ai nostri giorni. Nessuno, infatti, parlò mai più di questo sacerdote, che io penso sia beato in paradiso». Un gesto eroico, quello di don Cavanna, che pochi fidentini conoscono. Una figura di borghigiano che meriterebbe di essere onorata affinché resti impressa nella memoria dei concittadini.

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