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Il tramonto dell’Euro

Creato il 25 gennaio 2012 da Idispacci @IDispacci

Il tramonto dell’Euro

È trascorso quasi un ventennio da quando è stato quotato per la prima volta in borsa, e più di un decennio da quando è stato adottato dai paesi dell’Unione Europea. Eppure la crisi economica sembra ne stia segnando il destino. L’Euro appare ormai in declino, scosso alle fondamenta da una crisi speculativa senza precedenti. Se in passato la moneta unica europea è servita a salvare più di una nazione dalla recessione (non da ultima l’Italia), adesso sembra una zavorra a molti stati in crisi, che a causa del “nuovo” conio, sono costretti ad accettare sacrifici enormi per evitare una svalutazione della moneta con conseguente perdita di potere economico (cioè di peso internazionale) delle nazioni più ricche.

Eppure, quando fece la prima comparsa nelle tasche degli europei, pochi avrebbero creduto ad una previsione così fosca riguardo al destino della moneta unica. Come mai in dieci anni il futuro dell’Euro (e con esso quello delle economie europee) si è ribaltato a tal punto?

Si potrebbe affermare con sufficienza che sia stata la crisi economica iniziata nel 2008 a scuotere la già fragile moneta, decretandone un prematuro tramonto.

Ciò è senz’altro vero, ma corrisponde solo ad una parte della verità: il fallimento dell’Euro, sempre più alla portata di tutti, corrisponde ad un fenomeno molto più ampio.

L’Euro come moneta unica era stata progettata per uno scopo preciso: unificare, o quantomeno avvicinare il più possibile le economie delle nazioni dell’UE. Un progetto ambizioso, per il quale sarebbe servita una cooperazione economica strettissima tra le varie nazioni europee. Ma, nonostante ciò, un progetto minato alla base fin dal principio.

Il primo ostacolo fu il rifiuto inglese di entrare a far parte della moneta unica. Era un rifiuto non soltanto dettato dal conservatorismo culturale della classe politica di quel paese, ma soprattutto dall’egoismo tipicamente britannico, dall’idea che usare la stessa moneta di nazioni meno potenti avrebbe equivalso a diventare meno potente (cosa inaccettabile per un governo, quello Blair, teso al “gioco di potenza” anglo-americano nel mondo).

Qualcuno rimase perplesso da un tale, secco rifiuto. Ma gli inglesi rimasero della propria opinione, senza ascoltare le richieste e i consigli delle altre nazioni. Qualcuno potrebbe dire a posteriori che quella britannica si sia rivelata una mossa vincente. Eppure, per almeno cinque anni (su per giù dal 2000 al 2005), l’economia europea ha trainato le borse di mezzo mondo, l’Euro si è imposta come moneta di mercato affiancata al dollaro (in sostanza scalzando la sterlina da un lato e lo yen dall’altro), e i ritmi di crescita (PIL) di molti paesi europei (Germania, Spagna, Grecia, Finlandia, e poi Polonia, Ungheria, Romania,) hanno oltrepassato abbondantemente quelli dell’isola dove si guida al rovescio.

Ciò era naturalmente compensato dalla posizione di iniziale svantaggio di alcuni dei paesi europei sopra elencati, dove tra l’altro la crescita era favorita dai costi di manodopera bassissimi, che attiravano capitalisti e avvoltoi dal resto dell’UE. Comunque, per alcuni, lunghi anni, il “sistema Europa” sembrò reggere la prova che si era data. Ma sinistri scricchiolii minacciavano già da allora l’intera struttura.

Il tramonto dell’Euro
Anzitutto, c’è da dire che la crescita non fu uniforme: mentre le industrie si spostavano ad oriente, dove masse di lavoratori poco retribuiti potevano essere asservite senza problemi di ordine morale e sindacale, i capitali, ovvero i proventi di questo processo di asservimento senza precedenti, si spostavano ad occidente, verso i paesi che all’Est avevano investito: Germania e Francia tra i primi, ma poi anche Italia, Inghilterra, Spagna.

E fu dunque proprio in quel momento che il concetto di economia unita vacillò per la prima volta. Infatti, una volta che furono entrate nella zona euro (vale a dire tra il 2005 e il 2010), le nazioni dell’est non ricevettero aiuti solidali dalla BCE e dagli altri paesi europei per incentivare lo sviluppo economico. La Banca Centrale si limitò a ribadire i punti che avrebbero dovuto essere raggiunti da queste nazioni per poter adottare la moneta unita: privatizzazioni a tutto spiano (tanto per mostrare chiaramente di aver aborrito il socialismo) e introduzione del lavoro precario.

In cambio di tanti sacrifici, le nazioni fondatrici dell’UE affidarono alle proprie società private il compito di creare posti di lavoro. E se un operaio ungherese guadagna l’equivalente di 600 euro al mese, poco importa. E se con una simile concorrenza le industrie si spostano all’Est mandando sul lastrico i lavoratori dell’Ovest, poco importa. Il mercato prima di tutto.

Bisogna dire che un sistema del genere non poteva durare in eterno. La risposta di numerosi economisti ad un tale stato di cose fu: “l’est Europa produrrà beni a basso costo, l’Europa occidentale produrrà beni di lusso”. Come se i centomila operai della FIAT potessero fabbricare solo Ferrari.

Ma il problema era forse ancora più profondo. Bisognerebbe infatti considerare che l’Euro venne introdotto in Europa in base a canoni precisi riguardanti le varie economie europee fotografate nel 2000. L’Euro, però, avrebbe potuto funzionare solo se le economie dei vari stati europei avessero agito spalla a spalla. In caso contrario, infatti, si sarebbero creati squilibri economici troppo ampi, e l’Euro sarebbe stato troppo ingombrante per paesi emergenti oppure troppo svalutato per nazioni già ricche.

È più o meno quello che è accaduto in Europa prima della crisi economica. Le nazioni tradizionalmente più ricche si sono sentite con le mani legate a dover condividere la stessa moneta con stati più poveri; e comunque non hanno fatto nulla per aiutare i paesi emergenti a portarsi su un livello di parità, a parte continuare le proprie speculazioni in quei paesi, donando un po’ di ricchezza riflessa comunque non compensata da un adeguato sistema di welfare.

Dal canto loro, le nazioni più povere si sono accontentate di questo parziale arricchimento accettando di interferire il meno possibile nelle questioni economiche.

La BCE ha usato ogni mezzo per eliminare il residuo statalismo economico ancora presente in molte nazioni (gestione statale di ferrovie, rete elettrica, gasdotti, compagnie aeree e commerciali) senza assumersi responsabilità: le manovre di privatizzazione erano richieste dalle banche e dai paesi ricchi, e gli eventuali fischi se li sarebbero presi i singoli governi, non gli organismi economici europei.

Dal canto loro, i governi non hanno mai contestato una simile linea economica: in fondo il modello tedesco-francese sembrava a tutti quello vincente: poco stato, molto privato, discreta attenzione all’ambiente e un po’ di welfare come contentino ai più poveri.

La crisi economica ha mandato in frantumi una simile concezione di sviluppo, eppure il seme che avrebbe portato a questo tracollo era già stato piantato da anni. Un’economia che conceda così tanto spazio alle imprese private, che accetti di sottostare ai ricatti delle banche, che abbassi le tasse ai più ricchi, che riduca il welfare e che curi gli interessi del proprio orticello senza badare alle richieste del vicino non poteva finire altrimenti.

Il tramonto dell’Euro
Il declino dell’Euro è stato quasi inevitabile. L’unico modo per creare una moneta unica forte per tutti i membri dell’area euro sarebbe quello di progettare una politica economica comune a livello europeo. Ci sarebbero voluti statisti come Charles De Gaulle, Olof Palme o Enrico Berlinguer, ma abbiamo avuto Sarkozy, Merkel e Berlusconi. Senza politici abili e carismatici in grado di comprendere e supportare le aspettative dei lavoratori, in grado di possedere un pensiero proprio, che prescindesse dalla volontà delle banche, il concetto di economia unica è venuto meno.

L’Euro, per sopravvivere come moneta realmente unitaria ed equa, aveva bisogno di una collaborazione intensa e reciprocamente costruttiva tra nazioni ricche e povere. È accaduto l’opposto: è stato utilizzato da nazioni come come la Francia e la Germania (e non da ultima l’Italia) per imporre privatizzazioni ai paesi più poveri, in modo da poterli poi sfruttare brutalmente prima che nei popoli di quelle nazioni rinascessero pretese di equità sindacale ed economica con gli stati-guida.

È difficile dire quale futuro attenda adesso la moneta unica. Certo è che la situazione sta già mutando e muterà radicalmente in futuro. Per il momento, ad eccezione dell’Inghilterra, l’Europa sta reggendo alla prova imposta dalle banche: per il momento l’annunciata macelleria sociale sta venendo portata avanti in maniera unitaria e senza eccessivi intoppi. Per il momento i lavoratori stanno pagando il salato fio dell’ottusità congenita nel sistema bancario. Per adesso i popoli di buona parte dei paesi europei stanno dissanguando i propri portafogli perché l’Euro non perda valore.

E proprio qui risiede il germe dell’ingiustizia: i paesi più ricchi (Germania in testa) vogliono un Euro che non sia svalutato. Ma per condividere una moneta dal valore così alto con paesi più poveri l’unica soluzione equa sarebbe stata quella di strutturare di comune accordo la politica comunitaria, senza imposizioni o ricatti. Invece, a causa della scarsa lungimiranza dei governi più influenti (cioè più ricchi), i popoli di mezza Europa stanno pagando gli squilibri monetari tra un paese e l’altro servendo gli interessi di chi è mediamente più benestante.

Insomma, prima i paesi più ricchi hanno sfruttato le altre nazioni dell’UE per maturare congrui profitti, poi quando il sistema si è ritorto contro di loro a causa sia della crisi economica sia del proprio stesso egoismo, hanno costretto il resto d’Europa a chinare il capo nei confronti delle banche. E il resto d’Europa (a parte gli inglesi, salvati dal proprio egoismo), ha offerto collo e polsi senza obiettare.

Per ora questa spirale di sfruttamento e di ingiustizia ha retto. Per ora. In futuro molte cose dovranno cambiare. O la moneta unica conoscerà due valute, una più “pesante” destinata ai paesi più ricchi, una “leggera” pensata per i più indigenti (tra i quali, è bene sottolinearlo, potrebbe tranquillamente trovarsi l’Italia).

Oppure si arriverà al definitivo crollo del progetto Euro. In tal caso crolleranno banche, economie di interi stati. Forse le nazioni europee usciranno per sempre dal novero delle grandi potenze mondiali.

Valerio Cianfrocca


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