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“Il tuo nome sulla neve. Gnanca na busìa. Il romanzo di una vita scritto su un lenzuolo” di Clelia Marchi

Da Vivianap @vpicchiarelli

www.inmondadori.itSettant’anni, molti ricordi, un solo amore. Può capitare che si perda quell’unico amore e che venga voglia di scrivere. Per sanare la ferita, sfogare la rabbia, colmare il tempo vuoto. Si riempiono fogli, quaderni, ma la carta non basta ancora. Allora capita di aprire un armadio e di prendere un lenzuolo bianco dal corredo, uno di quelli che non si useranno più per riposare, per amare. E ci si rovescia sopra tutta una vita. Si torna alle origini, umilissime, quando si andava a scuola solo d’inverno, con gli zoccoli ai piedi e un cappotto rammendato. Quando si mangiava solo polenta, ché di pane ce n’era poco. Nel resto del tempo bisognava lavorare la terra, seminare, raccogliere. E prepararsi alla guerra, con lo straniero in casa, le tessere al mercato, i muri crivellati, la paura delle bombe e del padrone. Ad alleviare la fatica, l’amore per i figli, quelli allevati e quelli persi. E per un ragazzo dagli occhi azzurri, conosciuto a quattordici anni e sposato a diciotto. Questa è la storia semplice e straordinaria di Clelia Marchi, “gnanca na busia”. Quando il marito muore in un incidente, Clelia è già anziana e inizia a trascrivere la storia della sua vita su un lenzuolo a due piazze, distillata in righe numerate, perché non si perda nulla di quel racconto “sul filo della sincerità”.

Mi sono imbattuta in questo genuino racconto di vita per puro caso. Non conoscevo la storia del lenzuolo – libro di questa donna forte, coraggiosa, avvezza al sacrificio e profondamente devota al marito e alla famiglia. Il libro – “Gnanca na busia” (Neanche una bugia) – trascritto fedelmente e quindi denso di errori grammaticali e di parole in dialetto mantovano, è il resoconto lucido e talvolta spietato delle impietose condizioni in cui dovevano sopravvivere i contadini nel secolo scorso. Ma è anche una lunga storia d’amore e condivisione scritta nelle solitarie e insonni notti seguite alla morte improvvisa dell’amato marito Anteo.

Fa tenerezza leggere di questa donna che ha frequentato solo la prima e la seconda elementare e che, nonostante le evidenti carenze, scrive, scrive e scrive, anche poesie, dense di quella semplicità e schiettezza proprie di donne che non hanno mai potuto concedersi il lusso di cadere in depressione, nonostante la perdita di quattro figli, l’estrema povertà e la morte del marito.


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