Mentre ero in vacanza ho visto mezz'ora della cerimonia inaugurale delle Olimpiadi di Londra (pardon, London), la parte finale del balletto sulla storia dell'Inghilterra nel '900 (o almeno credo fosse così: c'erano le suffragette), il filmino con Daniel Craig e la regina, l'intrusione di Mr Bean in Momenti di gloria e poi un pezzetto dell'orribile sitcom con la casa montata sul palco e le scene girate in studio, in un dialogo tra l'universo del reale e l'universo della finzione che mi immagino fosse incomprensibile per chi era allo stadio, a conferma, se ce n'era bisogno, che lì ogni cosa è fatta per la tv, che nemmeno il mitico evento vale più per quel che fa vedere, ma per come lo si fa vedere. Nelle intenzioni generali dello spettacolo, mi immagino, c'era la voglia di creare un unico grande spettacolo dell'immaginario britannico, oltre il polverume del té e delle tovagliette (con la regina a dare il suo contributo) e verso il pop e le mille luci della supercittà London York (o se volete New London), con i Queen, i Sex Pistols e i Prodigy a fare da guida musicale, e mica Peter Gabriel, gli Stone Roses o i Radiohead, giudicati forse troppo di nicchia, e un pacco di immagini da film un po' inglesi e un po' americani a celebrare, non la magica Albione, ma Hollywood ovviamente, perché in fondo quello era, una celebrazione dell'immaginazione pop pigra e sciatterella, tanto che a un certo punto arrivavano pure il musical di Broadway e il rap di strada, che almeno in origine di inglese non hanno un tubo. Nelle intenzioni, insomma, c'era l'idea di svecchiare la madre Inghilterra e renderla un linguaggio universale per il mondo intero, un vaso di Pandora pieno di miti e di sogni come l'America, ma il risultato era piuttosto quello di una bacheca scolastica in cui ciascuno attaccava la sua fotina - un po' a caso, dove capitava - e finiva per incasinare il quadro generale. Da casa, in tv, si capiva tutto, o quasi, ma l'effetto, invece di essere complessivo, era frammentato, caotico, a conferma che non basta sperare nelle virtù sciamaniche di un mezzo espressivo, o in un produttore esecutivo con le palle (mi immagino cosa volesse dire coordinare in diretta le decine di telecamere piazzate nello stadio, i montaggi pre-registrati e i filmati d'archivio), ma bisogna sfruttarne al meglio le potenzialità. Che nel caso della tv sono la capacità di registrare l'evento, il qui e ora, il frammento che contribuisce a creare il tutto, e non il contrario, cioè il tutto che giustifica il frammento.
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Mentre ero in vacanza ho visto mezz'ora della cerimonia inaugurale delle Olimpiadi di Londra (pardon, London), la parte finale del balletto sulla storia dell'Inghilterra nel '900 (o almeno credo fosse così: c'erano le suffragette), il filmino con Daniel Craig e la regina, l'intrusione di Mr Bean in Momenti di gloria e poi un pezzetto dell'orribile sitcom con la casa montata sul palco e le scene girate in studio, in un dialogo tra l'universo del reale e l'universo della finzione che mi immagino fosse incomprensibile per chi era allo stadio, a conferma, se ce n'era bisogno, che lì ogni cosa è fatta per la tv, che nemmeno il mitico evento vale più per quel che fa vedere, ma per come lo si fa vedere. Nelle intenzioni generali dello spettacolo, mi immagino, c'era la voglia di creare un unico grande spettacolo dell'immaginario britannico, oltre il polverume del té e delle tovagliette (con la regina a dare il suo contributo) e verso il pop e le mille luci della supercittà London York (o se volete New London), con i Queen, i Sex Pistols e i Prodigy a fare da guida musicale, e mica Peter Gabriel, gli Stone Roses o i Radiohead, giudicati forse troppo di nicchia, e un pacco di immagini da film un po' inglesi e un po' americani a celebrare, non la magica Albione, ma Hollywood ovviamente, perché in fondo quello era, una celebrazione dell'immaginazione pop pigra e sciatterella, tanto che a un certo punto arrivavano pure il musical di Broadway e il rap di strada, che almeno in origine di inglese non hanno un tubo. Nelle intenzioni, insomma, c'era l'idea di svecchiare la madre Inghilterra e renderla un linguaggio universale per il mondo intero, un vaso di Pandora pieno di miti e di sogni come l'America, ma il risultato era piuttosto quello di una bacheca scolastica in cui ciascuno attaccava la sua fotina - un po' a caso, dove capitava - e finiva per incasinare il quadro generale. Da casa, in tv, si capiva tutto, o quasi, ma l'effetto, invece di essere complessivo, era frammentato, caotico, a conferma che non basta sperare nelle virtù sciamaniche di un mezzo espressivo, o in un produttore esecutivo con le palle (mi immagino cosa volesse dire coordinare in diretta le decine di telecamere piazzate nello stadio, i montaggi pre-registrati e i filmati d'archivio), ma bisogna sfruttarne al meglio le potenzialità. Che nel caso della tv sono la capacità di registrare l'evento, il qui e ora, il frammento che contribuisce a creare il tutto, e non il contrario, cioè il tutto che giustifica il frammento.
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