Concordo anche io sul fatto che Napolitano sia stato in assoluto il peggior presidente della Repubblica di sempre, anzi quello il cui scopo è stato quello di affossare i valori della Repubblica stessa e la sua Costituzione sia formale che materiale. Ma saremmo degli ingenui se attribuissimo tutto questo alla sostanza umana e politica di un’uomo che nell’intera vita è stato un camaleonte del potere, cambiando pelle a seconda dello scenario e trascinato sempre dalla fede nel principio dell’autorità e dunque della governabilità. Sfruttando il senno di poi possiamo dire che Napolitano è stato ed è un frutto dei tempi: della subalternità della politica, trasformatasi in aggregazione personale o in comitato d’affari, di un progetto oligarchico di sapore autoctono -padronale nella destra ed europeista nel centro sinistra.
Ci sarebbe da domandarsi come faccia un Paese, pur tenendo conto di tutte le difficoltà politiche e politicanti, ad eleggere come presidente una persona già oltre gli 80 anni, già da tempo mandato nella dorata pensione del Parlamento europeo e già da se stesso messosi nella prospettiva del ritiro tramite un’autobiografia politica. Non trattandosi di un padre della patria, ma di un personaggio di secondo piano in ciascuna delle sue numerose trasformazioni, la cosa risulta incomprensibile se non nella logica di una scelta provvisoria o di comodo oppure in quella di un garante del sistema politico nel senso più ampio e meno nobile del termine. Forse nessuno poteva poteva immaginare a Roma come a Bruxelles che da garante l’uomo si sarebbe trasformato in gestore di cui una politica svuotata ha avuto bisogno come di una droga, tanto da rivotarlo per disperazione una seconda volta. Anzi con l’affacciarsi della crisi è divenuto il primo ministro ombra, garantendo lui per il Paese al tavolo della Troika e imponendo di fatto cambi di governo, ostracismi politici e indirizzi sociali volti a soddisfare le tesi e le richieste ora della Bce, ora dei centri finanziari, ora di Bruxelles per non parlare di Berlino.
Insomma ancora una volta quello che 9 anni fa era sembrato un male minore, si è rivelato il guaio peggiore di tutti, visto che Napolitano ha preso le redini del declino italiano, favorendo lo sfascio di ciò che rimaneva della politica e delle idee, schiacciandole tutte in nome di una governabilità vista come fidejussone nei confronti dell’austerità e dei diktat esterni. Certo si può dire che è stato un personaggio perfetto per fare da pastore verso la post democrazia: caparbio e allo stesso tempo così timoroso da essere stato soprannominato “coniglio bianco”, trasformista ma senza darlo a vedere tanto che è riuscito a passare indenne dal Guf al Pci dopo un ‘opportuna residenza a Capri per riflettere, dall’appoggio all’Urss per i fatti di Ungheria, al tradimento di Berlinguer sulla questione morale, dalle simpatie craxiste all’approdo al liberismo con un compiacente editore chiamato Berlusconi. La mia impressione è che tutti questi passaggi non siano stati di idee che peraltro paiono del tutto assenti nel personaggio, ma dettate piuttosto da opportunità e occasionalità. Tutto questo dipinge perfettamente l’uomo e rende ragione del fatto che ogni opposizione viene vista da lui come “patologia eversiva” o perché abbia accolto come lesa maestà la richiesta di lumi sulla trattativa stato mafia, inalberando anche un vittimismo per interposta persona, degno di certe macchiette di Totò.
Adesso dopo essere stato rieletto, non certo obtorto collo, come suggeriscono tutti per pura piaggeria, si è finalmente deciso ad andarsene. Chi dice per problemi di età, chi perché ritiene di aver raggiunto il suo scopo con le riforme, chi per permettere elezioni a primavera e favorire una vittoria renziana, ultima occasione prima del disastro. Ed è probabile che qualcuna di queste motivazioni sia esatta. Ma ho la sensazione che la rapida uscita dopo nove anni abbia anche un altro scopo: quello di defilarsi rispetto al disastro che si sta annunciando, al clamoroso fallimento delle ricette sociali ed economiche che ha voluto farsi dettare e a una crisi più che probabile della governance europea, determinata dagli eventi economici, dalla disunione continentale, dalle elezioni in molti Paesi feriti dall’austerità e persino dalle differenze in politica estera fra i Paesi del continente che cominciano a palesarsi. Ne fanno fede lo sconcerto e la rabbia espresse appena un mese fa di fronte al “diluvio” propiziato dalle “smisurate speranze” vendute sulla bancarella del guappo di Rignano. Non si tratta di un ravvedimento, ma di un defilarsi, come al solito cauto, dalle proprie responsabilità .