-Di Cinzia Aicha Rodolfi
Non si vuole in questa sede parlare del significato religioso e morale del velo islamico. Nemmeno delle bellissime interpretazioni e motivazioni che hanno a che fare con il pudore come accezione universale del sentimento che trattiene l’ anima dal commettere peccati e la purifica dalle qualità pessime rendendo nobile ogni azione. Bensì parlare dell’ “hijab sociale nella società”.
L’hijab etico oggi rappresenta significati molto importanti e si possono fare delle considerazioni specifiche proprio vivendo in una società laica, laddove diventa una posizione di una minoranza ed assume caratteristiche ben lontane da qualsiasi eventuale tradizione.
L’hijab in Italia oggi è evidentemente un biglietto da visita chiaro: è un simbolo di appartenenza alla comunità islamica . E’ un segnale forte, una bandiera e una manifestazione esplicita che comunica e trasmette informazioni a priori. Certamente un impatto ben preciso , la punta dell’iceberg del mondo dell’Islam come sommerso sotto questo pezzo di stoffa.
Intanto, politicamente parlando, proprio in questo particolarissimo e fondamentale momento storico in cui tanti paesi a maggioranza e tradizione storica islamica si stanno ribellando con vigore alle dittature, l’ hijab qui in occidente diventa, anche, un segnale di solidarietà .
Le musulmane europee sebbene non abbiano radici familiari arabe spesso si sentono in uno stato di grande empatia con i popoli al di là del mediterraneo laddove esista un legame di fratellanza religiosa, ed attraverso quella particolare visibilità esplicitata dall’ hijab sostengono la stessa causa qui in terra cristiana, che è anche la scelta di tornare alla religione. Così il segnale forte è quello che le donne velate in occidente condividono gli stessi sogni e obiettivi di quelle d’oltremare e sperano per loro una realtà di democrazia.
Dopo tanti anni , esattamente 10, di accuse strumentalizzate, dita puntate e biasimo solo perché pochi , direi un pugno di pochissimi musulmani nel mondo si sono fatti sentire con azioni violente e a pagarne lo scotto tutti i milioni di altri pacifici che sono stati messi sul banco degli imputati, ecco che, paradossalmente “grazie” a migliaia di morti, la situazione sembra ribaltarsi. Almeno certe menti ben pensanti e capaci di fare analisi concrete, hanno capito il perché di tanto malessere. Si scopre che i musulmani, la maggior parte nel mondo arabo, hanno a lungo sofferto impensabili ingiustizie. Vittime di rais del terrore e colonnelli assassini, hanno somatizzato in silenzio e sono andati avanti subendo doppia violenza: quella dei loro governi despoti e quella dell’occidente ipocrita amico e alleato; per non parlare prima ancora di quella del colonialismo che li ha massacrati e snaturati. A causa della debolezza umana e del plagio del mondo materialista, hanno abbandonato la loro religione e perso anche dignità e fierezza.
Oggi, insieme alle rivolte circoscritte nel nord Africa, risorge in tutto il mondo, dove vivono gli altri 60% di musulmani, con uno spirito finalmente fiero di appartenenza, e arriva la liberazione dall’accusa ingiusta. In parte assolti da pesanti macigni, alcuni avanzano addirittura la difesa di coloro che prima pregiudicavano colpevoli senza prove.
L’impegno del “velo” qui in occidente è una sfida molto importante; ed è certamente necessario innanzitutto vestirsi del “migliore” hijab, ovvero che sia un velo fiero e solidale, dimostrando poi con l’etica corretta (che è la base della religione di coloro che si sottomettono al Creatore) delle azioni e delle parole i precetti della fede. E’ il momento del corretto risveglio generale, e di poter finalmente uscire vestite dell’ “abito esteriore” migliore e avendo nuovi occhi puntati addosso, poter cambiare certi pregiudizi.
Certamente questo impegno deve avere un comune denominatore attraverso appunto l’etica islamica che diventa evidente e può finalmente essere visibile, anche attraverso le donne velate.
Il modo più semplice e più diretto di fare un opera sana di dawa (diffusione dei precetti religiosi) è proprio quello di spendere tempo e pazienza nel rapportarsi agli altri nel sociale in modo più educato, gentile, generoso e corretto possibile.
Partendo dal saluto doveroso verso tutti, dal sorriso gentile e umile, dalla disponibilità a rispondere e dall’educazione di ogni relazione interpersonale. Ci si presenti con il biglietto da visita appunto, come naturale che sia, per poi arrivare a dimostrarne il coerente contenuto. Evidentemente l’involucro non è solo un vestito, ma ogni parola e gesto e azione dimostra la sostanza, e siccome le donne che indossano il velo islamico sono esplicitamente musulmane, ecco che hanno la responsabilità di “come” dichiarano di appartenere a questa religione.
La donna velata, ovvero pudica, non può, per assioma , essere né volgare, né maleducata, né indisponente.
Se l’hijab oltre ad essere un precetto, un ordine, una protezione, una misericordia …. è anche simbolo di pudore e modestia, ecco che chi lo indossa deve ben tenere in mente sempre come si deve comportare, anche per rispetto alla religione che ben visibilmente rappresenta.
La donna che è metà dell’umanità, nonché madre, moglie, figlia e sorella dell’altra metà, sappiamo quanto male o bene può fare alla reputazione della sua comunità. Con poco, ma costante impegno, la donna musulmana può aiutare molto a cambiare in positivo la percezione che si ha dei musulmani e dell’Islam. Tutto ciò se le donne che lo indossano e quindi si presentano come musulmane, pensano sempre in ogni situazione al vero significato e responsabilità che implica un pezzo di stoffa sulla loro testa, soprattutto dove la minoranza è additata e tenuta maggiormente d’occhio.
L’etica dell’hijab è quindi l’etica dell’Islam. Questa è una grande responsabilità, ma anche una piacevole consapevolezza che rende questo impegno sopportabile, o per meglio dire desiderabile.