Per questo appuntamento col venerdì del libro di homemademamma riflettori puntati sul romanzo di Zelda Sayre Fitzgerald Lasciami l’ultimo valzer edito da Bollati Boringhieri (2009).
Si tratta della storia romanzata di Alabama Beggs alter ego cartaceo di Zelda, la musa del jazz, la bella e dannata sposa dello scrittore Francis Scott Fitzgerald. A quest’eroina di carta e carne, di passioni violente e di brama di vivere, una farfalla dalle ali di cristallo, sono arrivata tramite un blog sapete? è Zelda was a writer, la cui autrice non mi stancherò mai di ringraziare a vita per avermi fatto conoscere indirettamente un personaggio così coinvolgente.
ritratto di Zelda SayreFitzgerald a 17 anni da wikipedia.org
il romanzo è stato scritto in meno di un mese, sapete? rinchiusa in una clinica psichiatrica americana, Zelda diede sfogo a tutto il suo estro creativo in quelle poche settimane. probabilmente per questo anche la sua scrittura è così turbolenta, lirica, ricca di pathos e di meravigliosi spunti paesaggistici come se fossero dei dipinti su tela – ed è una scrittura che coinvolge. all’inzio dirò la verità un po’ ostica perchè ricca di subordinate e periodi attorcigliati tra loro. ma penso Zelda abbia volutamente dare un tratto psicologico alle vicende narrate in terza persona, di una giovane donna insoddisfatta della vita e della sua conseguenza ricerca di un’autorealizzazione personale. perchè Alabama ama ballare , anzi danzare ma lo scopre in ritardo, già troppo adulta per affermarsi nel mondo del balletto classico. ma lei non demorde ormai è schiava delle ore di studio trascorse sulle punte e degli arabesques e con le infinite limature sull’Adagio. abbandona anche la famiglia, il suo ruolo materno, seppur con rammarico, per realizzare il suo sogno. e con mai grande sorpresa ad un certo punto nel romanzo appare come una visione Napoli, la mia città. ogni volta che viene descritta nel bene o nel male, vengo presa da un sussulto di piacere… rivedo con gli occhi dell’artista scene che sono appartenute alla Partenope del tempo che fu. brevi frasi come pennellate fiabesche, che racchiudono un mondo, una scoperta improvvisa.
come questa ad esempio:
“C’è una traccia d’oro su ogni cosa a Napoli, e per quanto Alabama non riuscisse a scorgerne alcun cenno nella sua stanza, sentiva in qualche modo che anche i suoi soffitti erano rivestiti in foglia d’oro. Le notti sembravano uscite dai grandi classici; le persone sparivano rapide dalla vista vista suggerendole escrescenze fantastiche di un’esistenza felice. I cactus arpionavano l’estate, i dorsi dei pesci brillavano sulle barche come schegge di mica.”
Non so se qualcuno di voi ha avuto l’occasione di imbattersi nel romanzo di Zelda, ricevendone impressioni tanto intense come le mie: del libro ho ancora flash delle sue frenetiche lezioni parigine, con ballerine pronte a qualsiasi colpo basso pur di diventare la preferite di Madame, con la deliziosa descrizione dei piccoli e costosi pani russi, come della dolcezza dei panorami provenzali, o lo struggente ricordo del Sud degli Stati Uniti, unito alla monumentale figura paterna. soprattutto una potente evocazione della caparbietà umana, di come è capace un desiderio di rendere schiavo chi ne è posseduto. un romanzo alla fine di formazione, un cerchio che si chiude con un finale familiare e una partenza, dove l’anima di Zelda/Alabama pare voler sfuggire sino alla fine a qualsiasi convenzione della società.
quello che mi ha appassionato più di tutto è stata quindi l’assoluta volontà di vivere nella realizzazione di un sogno, fin quasi ad esserne intrappolata nel romanzo come nella vita reale. una farfalla dalle ali di cristallo, scrittrice dalla penna arguta e dall’anima irremidiabilmente tormentata.