Oggi ricorre il 150° anniversario della nascita di David Hilbert, uno dei maggiori matematici di tutti i tempi. Lo commemoro illustrando una sua tesi, squisitamente “finitista” secondo la sua concezione della matematica ed interdisciplinare com’era la sua visione epistemica. La tesi riguarda un’ampia categoria di strutture (gli insiemi cantoriani) ed ha un corollario con ricadute in fisica ed in filosofia: un intervallo infinito di tempo passato è una contraddizione. Ne consegue che il tempo ha avuto un inizio, ed il mondo con esso: si ritrova così per via logico-matematica il risultato cui erano arrivati Agostino ed i filosofi del Kalam per via metafisica e cui perviene la fisica moderna nella teoria standard del Big Bang e con il teorema di Borde, Guth e Vilenkin (BGV, 2003) nelle speculazioni cosmologiche quanto-gravitazionali.
Prima di enunciare il “veto di Hilbert”, devo analizzare il concetto di “infinito”, perché la parola può essere usata in tre significati distinti che conviene esplicitare. In una prima accezione, infinito significa senza restrizioni. L’attribuzione non è data in positivo attraverso l’assegnazione di una qualità, ma negando limiti ad una qualità. Così si dice che un tale ha una pazienza infinita, a significare che ha una pazienza senza limiti; che Dio è bontà infinita, ecc. Questo tipo di accezione non appartiene alla matematica, perché non è operativa. C’è poi un secondo significato d’infinito, quello d’un processo indefinito che non arriva mai alla conclusione. Hilbert sulla scia di Aristotele lo chiama infinito potenziale. Un esempio è dato dall’operazione di dimezzare un segmento: è chiaro che, dopo averlo dimezzato una volta, posso dimezzare la metà; e poi dimezzare la metà della metà; ecc. Questa procedura di suddivisione può procedere in teoria quanto si vuole. Essa è genuinamente matematica perché è operativa, tanto che un teorema prevede (come risulterà evidente a tutti i lettori) che più si avanza nella procedura, più la lunghezza del risultato si avvicina a zero. Un altro infinito potenziale è la serie numerica 1 – 1/3 + 1/5 – 1/7 +…, dove si procede indefinitamente in operazioni alterne di addizioni e sottrazioni dei reciproci dei numeri dispari. La procedura è matematica perché è operabile, tanto che un teorema di analisi prevede (e ciò risulterà forse sorprendente a qualche lettore) che più si avanza nella procedura più la somma parziale si avvicina a π/4. (Tra parentesi: queste procedure matematiche indefinite non sono eseguibili da un computer, perché un software deve contenere un numero finito di istruzioni! Per quanto sia veloce il suo processore e grande la sua memoria, una macchina non potrà mai eseguire tutte le operazioni d’un infinito potenziale. Così, a differenza della mente umana, nessuna macchina potrà mai predire il risultato π/4 della serie a segni alterni che ho scritto sopra.)
La terza accezione d’infinito è l’infinito attuale. Con ciò s’intende un “insieme cantoriano”, ossia una collezione contenente un numero di elementi superiore ad ogni numero dato. L’alfabeto inglese è un insieme di 26 lettere, pertanto non è un insieme cantoriano; né lo è l’insieme dei granelli di sabbia del mare (come Archimede dimostrò al tiranno di Siracusa), né l’insieme delle particelle dell’Universo, il cui numero non supera 1080, il numero di Eddington. Invece l’insieme dei numeri naturali (che in matematica si indica con N) è un insieme cantoriano, perché contiene un numero di elementi maggiore di qualsiasi numero prefissato. Si può dire che N ha un numero infinito di elementi, dove in questo caso infinito va inteso nell’accezione d’infinito attuale, realizzato. Nella matematica – che è un dominio fuori dallo spazio e dal tempo – esistono molti insiemi cantoriani, anzi il loro numero è un infinito attuale! Oltre ad N, altri insiemi cantoriani sono: Z (l’insieme dei numeri interi), Q (l’insieme dei numeri razionali), R (l’insieme dei numeri reali), C (l’insieme dei numeri complessi), un segmento o la retta o il piano o lo spazio intesi come insiemi di punti, l’insieme di tutte le curve, ecc., ecc.
Il problema che Hilbert si pose fu: nel mondo reale possono esistere insiemi cantoriani? Ovvero: una struttura aggregata fisica può contenere un infinito attuale di elementi? Per gli atomisti greci la risposta era positiva, ed un infinito attuale reale sarebbe il mondo stesso, che immaginavano composto d’infiniti atomi. Nel “De rerum natura” il poeta latino Lucrezio, adepto di Leucippo e Democrito, canta: “Gli atomi delle cose che hanno figure simili tra loro sono infiniti. […] E in verità, dato che l’intero spazio è infinito fuori dalle mura di questo mondo, l’animo cerca di comprendere cosa ci sia più oltre, fin dove la mente voglia protendere il suo sguardo, fin dove il libero slancio dell’animo da sé si avanzi a volo. In primo luogo, per noi da ogni punto verso qualunque parte, da entrambi i lati, sopra e sotto, per il tutto non c’è confine: come ho mostrato, e la cosa stessa di per sé a gran voce lo proclama, la natura dello spazio senza fondo riluce. In nessun modo quindi si deve credere verosimile che, mentre per ogni verso si schiude vuoto lo spazio infinito e gli atomi volteggiano in numero infinito e in somma sterminata, in molti modi, stimolati da moto eterno, soltanto questa terra e questo cielo siano stati creati, e niente facciano là fuori quei tanti corpi di materia”. Dunque, anche i mondi sono infiniti per i filosofi atomisti, precursori del multiverso delle stringhe! Né c’è via logica di scampo per chi, non credendo in un Logos creatore ma nel caso, deve giustificare l’ordine del “nostro” cosmo: “Ammettono vari mondi coloro i quali non stabilirono una sapienza ordinatrice come causa del mondo, ma il caso” (Tommaso, “Summa Theologiae”).
La poesia però è “poìesis” (in greco, fabbricazione), non è matematica (dal greco “màthema”, conoscenza). La risposta alla domanda se una struttura aggregata reale possa contenere un infinito attuale di elementi, trovata per via logica da Hilbert fu “no”: non possono esistere insiemi cantoriani fisici. Nelle parole di Hilbert il veto suona: “Abbiamo dimostrato così che nella realtà non si trova l’infinito in nessun luogo, qualsiasi sia l’osservazione o l’esperienza che facciamo. […] Il nostro principale risultato è che l’infinito attuale non può esistere nel mondo reale, è un’illusione” (D. Hilbert, On the infinite, in “Philosophy of Mathematics” – 1964. Edited by Paul Benacerraf and Hilary Putnam. Englewood Cliffs, NJ: Prentice-Hall). Hilbert stabilì così l’esistenza d’un limite per il numero delle particelle dell’Universo, che Eddington s’incaricò di calcolare.
Ebbene, contro il veto di Hilbert andrebbe un mondo che esistesse da sempre, perché in tal caso il tempo fisico conterrebbe infinite unità di Planck: se ne deduce che gli anni passati dall’inizio del tempo ad oggi sono un numero finito e che il mondo ha avuto un inizio. Se poi la sua età sia di 13 miliardi e mezzo di anni (secondo la teoria del Big Bang) o maggiore (come prevedono teorie non standard per le quali comunque vale il teorema BGV d’incompletezza del passato), questo è un problema della cosmologia scientifica. È notevole rilevare che già Aristotele, nella sua “Fisica”, era arrivato duemiladuecento anni prima, sempre per via logica, allo stesso risultato generale, senza trarne però l’applicazione alla necessaria origine del mondo. A margine segnalo che il veto di Hilbert non vale per un infinito tempo futuro: in questo caso, infatti, l’infinito sarebbe potenziale, non attuale. Nulla ci può dire la matematica sulla fine del mondo!
Giorgio Masiero