di Eleonora Mosti
Il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Stefania Giannini, il 3 marzo 2015 ha presentato al Consiglio dei Ministri le linee guida della riforma che prende il nome di “La Buona Scuola”.
Matteo Renzi ha annunciato che il governo ha deciso di varare solo un disegno di legge, chiedendo la sua approvazione in tempi rapidi, escludendo però l’annunciato decreto legge riferito all’assunzione di 120 mila precari.
Motivazione? “L’esecutivo vuole dare un messaggio al parlamento e coinvolgere le opposizioni nello spirito delle dichiarazioni del presidente della Repubblica”. Ma il centro della riforma scolastica non doveva essere “Mai più precari” come proclamato dal premier qualche giorno fa dal palco del PD a Roma?
Con il decreto legge, il Miur avrebbe potuto infatti cominciare subito a lavorare per l’assunzione dei precari della scuola già dal primo settembre. Ma tra il dire e il fare c’è di mezzo il “Tesoro” in fondo al mare… e non solo.
Ma quali sono gli obiettivi della Buona Scuola? Per gli studenti, rafforzare le loro competenze con flessibilità nei programmi, potenziando inclusione e integrazione. Avere un organico funzionale e rafforzare l’offerta formativa. I dirigenti scolastici diventano leader educativi con strumenti e personale adeguati per il miglioramento dell’offerta formativa. Gli organi collegiali dovranno essere più efficaci e rappresentativi. Importante sarà il tema della valutazione, della formazione e della carriera degli insegnanti. La novità sarà un rapporto più stretto e stabile fra scuola e lavoro con alternanza obbligatoria nell’ultimo triennio delle superiori. Per quanto riguarda l’edilizia scolastica si vuole procedere con bandi per la costruzione di scuole altamente innovative, creare un’anagrafe dell’edilizia che sia trasparente sugli immobili della scuola. Aumentano le risorse, si semplificano le procedure per costruire nuove strutture.
Si procederà verso una scuola digitale con un nuovo piano nazionale che metta al centro formazione dei docenti e competenze degli studenti. Infine dare vita ad una scuola che goda di una semplificazione amministrativa.
Da non sottovalutare poi altri aspetti inseriti nella Buona Scuola che potrebbero essere importanti, uno è riferito alla riforma dell’Infanzia, come unico percorso educativo da 0 a 6 anni, l’altro riguarderebbe il capitolo delle scuole paritarie con la proposta della detrazione fiscale per le famiglie che le scelgono come itinerario formativo per i propri figli.
La scuola pubblica italiana è composta sia dagli istituti statali sia da quelli paritari. Scuole che, oltre a concorrere al pluralismo dell’offerta educativa, contribuiscono a far risparmiare lo Stato nella spesa per l’istruzione. Anche se si tratta solo di un inizio è importante che si cominci ad andare verso una reale parità scolastica a tutela della libertà di scelta educativa.
Don Francesco Macrì, presidente di Fidae, la federazione che riunisce le scuole cattoliche italiane, in una sua intervista, afferma che “Noi saremmo per un mix di interventi a sostegno della libertà di scelta educativa, che vadano dal finanziamento diretto, come previsto dalla legge 62/2000, alla detassazione o defiscalizzazione delle spese, oppure il bonus sul modello del Buono scuola; purché il finanziamento pubblico alla scuola paritaria, però, avvenga con regole certe e criteri di trasparenza assoluta e senza escludere nessuno, soprattutto le fasce più deboli… perché l’istruzione pubblica, in Italia è quella cui concorrono le scuole paritarie e statali insieme. A meno che qualcuno, anziché credere nella democrazia e nella sussidiarietà dei corpi intermedi, preferisca ancora un modello di scuola fortemente omologato e statalizzato, tipico dei liberalismi autoritari ottocenteschi oppure dei regimi comunisti che sopravvivono ormai soltanto in pochissimi Paesi al mondo”.
Si deve in gran parte al sottosegretario Gabriele Toccafondi l’inserimento di questo aiuto alle famiglie, che senz’altro non risolve il difficile momento economico che stanno attraversando le scuole paritarie e leggiamo direttamente da una sua intervista le ragioni di questo provvedimento fiscale.
“È un dato di fatto che la scuola italiana, dopo la Legge Berlinguer del 2000, è un mondo unitario che cammina su due gambe: le realtà statali, che comprendono 9 milioni di bambini e ragazzi, e gli istituti paritari, che contano 1 milione di studenti. Visto che siamo in una fase di riforma, è necessario far correre entrambe le gambe, che fanno parte dello stesso corpo. Fornendo un aiuto indiretto alle scuole paritarie, che operano entro regole pubbliche ben precise e non possono essere assimilate ai diplomifici privati”.
A farsi portavoce degli istituti non statali, anche 44 deputati della maggioranza di governo che hanno rivolto il loro appello al Presidente del Consiglio Matteo Renzi.
“Il Piano per la ‘Buona Scuola’ è il più importante tentativo di riformare globalmente la scuola italiana dall’epoca della riforma gentiliana”, scrivono i deputati di diversi partiti. “Proprio per questo lo slancio riformatore che il governo sta portando avanti in molti campi non può perdere un’occasione irripetibile per avviare nei fatti lo storico gap della scuola italiana in tema di pluralismo e libertà di educazione. Un sistema fondato sulla detrazione fiscale, accompagnato dal buono scuola per gli incapienti, sulla base del costo standard, potrebbe essere un primo significativo passo verso una soluzione di tipo europeo”.
“Lo Stato moderno – si sottolinea nella lettera, a prima firma G. Luigi Gigli – dovrebbe saper trasformarsi da gestore in controllore e garante della qualità formativa di tutta l’offerta pubblica… Come parlamentari della maggioranza che sostiene il governo, siamo convinti che lo slancio riformatore che esso sta portando avanti in molti campi debba tradursi in opere concrete anche a favore del pluralismo e della libertà di scelta educativa per le famiglie, senza ulteriori inaccettabili discriminazioni per quelle che intendono avvalersi delle scuole pubbliche paritarie. Si tratta semplicemente di ottemperare a quanto previsto già dalla Risoluzione del Parlamento Europeo approvata a Bruxelles il 14.3.84 e ribadito di recente nella Risoluzione del 4-10-12”.
Ricordando al premier che l’adeguamento all’Europa non passa solo per il versante economico del nostro Paese, né può essere circoscritto a tematiche sulla valutazione della scuola in termini di sfide sui saperi, attendiamo le prossime azioni di governo come prova tangibile di voler camminare in avanti verso un’autentica trasformazione del Sistema scuola, per il bene soprattutto del Paese e perché no, per divenire modello di cultura per gli altri Stati europei.