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Il viottolo dell'artista

Creato il 07 maggio 2012 da Lanterna
Sto leggendo questo libro, consigliatomi da diverse persone che vogliono trovare il coraggio di esprimere la propria creatività.
Non so dire se potrà aiutarmi. Per ora, mi irrita un po' il suo continuo rimando alla divinità come fonte della creatività. Per carità, so benissimo che posso interpretare questo rimando come un riferimento al divino che c'è dentro di noi, ma non posso farci niente: troppo spesso questo Dio che lei nomina mi sembra una specie di giustificone totale globale per essere artisti.
Al di là di alcune ingenuità e di certe mie idiosincrasie, il libro ha uno scopo interessante: liberare l'artista bloccato che può esserci in ognuno di noi. Per liberarlo, l'autrice agisce in due modi principali: da un lato va a cercare le cause del blocco, dall'altro propone esercizi per rafforzare l'artista interiore.
È sicuramente interessante per una persona come me, che non ha mai creduto realmente di poter vivere della propria creatività e che per certi versi si (è) vergogna(ta) di avere un lato creativo. Però secondo me, per ora non coglie un punto: essere artisti non è la stessa cosa che saper promuovere la propria opera.
Per dire: Michelangelo, col suo caratteraccio, di certo oggi farebbe la fame. Raffaello no, eppure non è un artista né migliore né peggiore di Michelangelo (nonostante nella critica d'arte ci siano le due fazioni raffaellesca e michelangiolesca, che si odiano).
Per me, scrivere non è mai stato un problema: non ho mai avuto un blocco così forte da impedirmi di produrre le mie cosine nel segreto dei miei quaderni e del mio PC. Di più: se guardo ai miei scritti con totale onestà, non mi sento per niente indegna di pubblicare (non tutto, ma le cose migliori sì). E penso onestamente che le cose non degne di essere pubblicate comunque contengano buone idee sviluppate male o con troppa fretta o senza la giusta maturità: non è detto che un giorno io decida di farne qualcosa di meglio.
Quello che mi devasta è promuovere i miei progetti. L'ho provato con Viola, ed è stato estenuante: ogni volta che mi sono trovata davanti a qualcuno, cercando di spiegargli perché avrebbe dovuto pubblicare il mio lavoro, mi sono sentita come... non lo so, come se fossi la persona peggio equipaggiata per quel compito. Forse dipende dal fatto che Viola veniva presentata come soggetto e non come progetto finito. Ma più di tutto c'era l'inadeguatezza di esprimere il motivo per cui, secondo me, Viola merita di essere letta da più dei miei 5 lettori.
Fermo restando che non stiamo parlando di capolavori, che cosa rende un'opera più meritevole dell'altra? Le storie, nella mia testa, non hanno uan graduatoria di merito: quelle belle le voglio leggere, quelle brutte no. Le altre considerazioni mi sembrano inconsistenti, soprattutto se una storia ho deciso di scriverla per un impulso irrazionale e non certo per una considerazione di mercato.
Per me Viola è sicuramente un fallimento, una ferita aperta più delle storie che non ho mai portato alla luce. Mi rode non tanto il fatto di non essere stata pubblicata, quanto il fatto che senza la pubblicazione Viola non può nascere, perché nessun disegnatore disegna prima di avere la certezza di essere pagato e pubblicato.
La sensazione peggiore che ho provato con Viola è quella di essere ostaggio di altri per vedere realizzata un'opera pensata da me. Ho messo insieme questa sensazione all'incapacità di promuovermi e ci ho lavorato. Per sei mesi. E poi ho fatto qualcosa che mi ha permesso di superare lo stallo.
Che cosa? So di essere pessima, ma ve ne parlo un'altra volta.

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