Taranto, rione Italia
L’Italia è il paese delle capitali. Ce n’è una quasi in ogni regione. Dipende dai primati, nel bene e nel male. Roba da guinness.
Roma, un tempo caput mundi, resta la capitale del “palazzo”. Assediato da tecnocrati bocconiani e lacchè politici, ratifica la sorte assegnata al Paese, dopo che tutto è stato meditato a Milano, nella capitale della finanza globale intenta a frugare nella borsa degli italiani.
Palermo è la capitale della mafia, imponente come un elefante. Reggio Calabria la capitale della ‘Ndrangheta e della ‘ndujia. Napoli della Camorra e della pizza. Da sempre, la malavita investe, ricicla capitali, ovunque, ormai anche in borsa a Milano. Firenze è la capitale dell’arte e della cultura, dove anche i tagli sono fatti ad arte, orditi nelle capitali della finanza globale. Torino quella dell’auto, che non c’è più, delocalizzata. E così via, fino ad arrivare a Taranto, la capitale dei veleni.
E così, come ogni altra capitale italiana, Taranto concentra in sé il meglio e il peggio della tipicità levantina e rappresenta dell’intero Paese l’Italia dei veleni. A Taranto i veleni ci sono tutti, quelli dell’aria e quelli della terra, quelli dell’acqua, delle coscienze, delle tradizioni locali e della politica. Veleni ambientali e sociali. Basta scegliere. E se proprio non si è in grado di scegliere puoi prenderteli tutti. È questione di culo.
I veleni di Taranto hanno lontane radici. Lontane quasi 50 anni, come gli anni dell’Ilva. Cinquant’anni di diossina e benzopirene che hanno agito sulla città e sul territorio come un lievito che cresce dappertutto, soprattutto nella carne viva dei tarantini, intossicandola, uccidendola. Il lievito dei veleni si è diffuso nel palazzo. A Taranto tutto è avvelenato: il tessuto sociale, la politica, la scuola, il lavoro, la terra, l’aria, il mare. Le cozze tarantine sono famose in tutta Italia e chissà se non è anche merito della diossina e dei liquami sversati come il lievito a Mar Piccolo. Avvelenati. Il lievito della carne di uomini e animali è il cancro. Cresce e non s’arresta. Il rione Tamburi di Taranto è il brodo di coltura del peggiore dei lieviti. Lo sanno anche le case, i tetti, gli alberi, i giardini e l’aria.
Dopo 50 anni di fermentazione, la capitale dei veleni potrebbe fermarsi una volta per tutte dal produrre il suo lievito mortale. Nella capitale dei veleni, un altro palazzo, quello della legge, fa tremare la politica, i vertici di Regione, Provincia, Comune, e i vertici dell’Ilva, Archinà e Riva. Per il giudice Patrizia Todisco l’Ilva deve fermarsi. Complici tutti. Sette arresti. Responsabili della salute dei tarantini, del disastro ambientale che lievita da 50 anni e della corruzione: purché si tritano profitti. La proprietà così preferisce chiudere, mandando a casa 5mila operai tra tutti gli impianti italiani legati alla produzione dell’acciaio di Taranto.
Sembrerà un ricatto, ma pur non prendendo le difese dell’azienda, il sequestro ordinato dalla procura di Taranto impedisce il proseguo delle attività di produzione. Il mercato, del resto, ha le sue leggi – produrre e vendere -, l’impianto sociale le sue – trattativa, conflitto, mobilitazione -.
Se si ferma l’Ilva della diossina e del benzopirene, si attiva l’Ilva dei veleni sociali: disoccupazione, precarietà, fame, disperazione, delinquenza, droga, furti, rapine, truffe. Bisogna pur tirare a campare. Manifestazioni che la città di Taranto, la provincia e tutta la Puglia conoscono bene, fin da troppo tempo.
Taranto resta pur sempre una capitale, ma ferita, lacerata, un po’ come tutte le capitali italiane. Una ferita purulenta che lievita velocemente e raggiunge ogni angolo e ambito della Puglia e dell’Italia. Il Magistrato dice che il Presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, ha fatto pressioni, ma non è indagato. A volte anche il palazzo della giustizia se la suona e se la canta. Anche il palazzo della giustizia è avvelenato. Il lievito cresce.
Sanare questa ferita, bonificarla, restituire il corpo alla sua natura è la più grande scommessa da mettere in campo. Territorio, lavoro e salute, ma anche politica e giustizia non posso più essere in conflitto e produrre malattia e morte, fisica e sociale. Il lavoro e le coscienze dovranno essere recuperate dall’Italia delle capitali per la più grande opera di bonifica della storia e riconvertire. Ci vuole un alchimista che trasformi il piombo in oro. Trasformare Taranto nel più grande cantiere della riconversione industriale d’Europa. Restituire Taranto e il suo ambiente alla loro bellezza naturale. Fare dell’ambiente il primo vero e autentico capitale economico e sociale. Tornare a respirare, a vivere e a lavorare.
Alle 23 di lunedì 26 novembre, lo stabilimento Ilva è chiuso. Gli operai dell’Ilva e la magistratura sono riusciti a far chiudere la seconda acciaieria d’Europa. L’Ilva non potrà più produrre acciaio né vendere quello già prodotto. Tutto sotto sequestro. L’Italia dovrà comprare l’acciaio all’estero. Chi ha interesse che un così duro colpo ferisca il Paese delle capitali già profondamente ferito a morte?
Taranto potrebbe avviarsi a ritornare la capitale della Magna Grecia, ritornare al suo splendore. E non è una questione di culo. Ci vuole un grande accordo, un accordo di amore, profondo, un accordo politico e sociale che parta da Taranto e dalla Puglia, passi da Roma e arrivi in Europa. Prima che i veleni, tutti, come un lievito crescano fino a Bruxelles. Prima che sia troppo tardi e ci si trovi tutti, tutta l’Europa, come la Grecia, violentata nelle sue radici più profonde e lontane. Prima che ci si ritrovi tutti estirpati, senza origine e identità.
pubblicato su: http://www.largobellavista.it/notizie/nazionali-ed-estere/item/3297-ilva-taranto-capitale-dei-veleni